La questione prezzi Un €uro uguale a mille lire? CCCVa
In oreficeria a comprare la
verdura e la frutta - La lira in Paradiso, l'€uro all'inferno? -
€uro uguale a 1936,27 lire - €uro uguale a 1936,27 lire: ma é
proprio così? - Dichiarazione del CCCVa al quotidiano "Il
Giorno" - La formazione del prezzo - La debolezza dei
consumatori italiani - Non si può intervenire sui prezzi, ma...
IN
OREFICERIA A COMPRARE LA VERDURA E LA FRUTTA.
In oreficeria a comprare la verdura e la frutta.
E’ una battuta ma vedendo che alcuni prodotti della terra, e
quelli comuni non funghi o tartufi, vengono a costare di più di
tagli di carne, si tratta di una battuta adeguata.
LA LIRA
IN PARADISO, L’€URO ALL’INFERNO?
Un’altra battuta.
Con l'€uro le monete sono morte. Arrivate nell'aldilà alla
reception, quel giorno, si sono messe in fila. Giunto il turno
delle lire, la sentenza é stata questa: le 1, 2, 5, 10, 20, 50,
100, 500, 1000, 5000, 10000 lire in Paradiso. All'inferno le
50.000 e le 100.000. Protesta per la discriminazione ma S.
Pietro irremovibile e con fior di motivazione: voi all'inferno
perché in chiesa io non vi ho mai viste!
In realtà è stato l’€uro ad essere condannato all’inferno, e
dalla gente che ha rivalutato l’antica, cara, lira, anche nelle
pezzature grosse, quelle con le quali non ci saremmo mai
peritati, penna occhiatacce del commerciante, ad andare a
comprare un kg di spinaci o i frutti di bosco.
€URO
UGUALE A 1936,27 LIRE
Un €uro uguale a 1936,27 lire. Così era stato presentato il
cambio prima dell’introduzione della nuova moneta e il
pensionamento di lire, franchi francesi, marchi e compagnia
bella.
Subito qualcuno aveva trovato la ragione di simile cifra. Per i
decimali era stato scelto il 27, notoriamente, o quantomeno
storicamente, simolo del giorno di paga. Per l’intero si era
presa la migliore classe del secolo ventesimo, quella in
particolare che aveva dato l’Impero all’Italia, poi perso da
altre classi. In realtà poi si è trattato di una felice
coincidenza in quanto se è inoppugnabile che il 1936 sia stata
in assoluto la miglior classe del secolo XX° va riconosciuto che
la scelta è venuta dall’applicazione della matematica
finanziaria al corso delle valute.
€URO
UGUALE A 1936,27 LIRE: MA E’ PROPRIO COSI?
Ma un €uro è veramente uguale a 1936,27 lire al registratore di
cassa che quantifica la spesa del consumatore, al banco del
mercato, in pizzeria e via dicendo?
Secondo molti, facendo il confronto dei prezzi di una serie di
prodotti, un €uro è in realtà uguale a 1000 lire. Quel che
costava 1500 lire oggi, dicono, costa un €uro e mezzo.
Non è proprio così, ma non c’è dubbio che che una serie di
prezzi si sono alzati molto, molto di più di quanto non emerga
dalle rilevazioni dell’ISTAT. Queste riguardano l’intero paniere
che comprende un po’ di tutto, persino i viaggi aerei o le
sigarette anche per chi non ha mai volato né mai fumato. La
statistica: una volta valeva il detto di Trilussa: se tu hai
mangiato due polli e io nessuno statisticamente ne abbiamo
mangiato uno a testa. La battuta è stata aggiornata: se muore un
nano l’altezza media della popolazione della terra è
statisticamente aumentata.
Siccome al registratore di cassa la massaia non fa statistica ma
prelievo di banconote e monete dal proprio borsellino, non si
consola affatto con le cifre ma arriva a casa furente per
l’alleggerimento avuto ricordando, ad esempio, l’anno scorso.
Poi, per la verità, non bisogna generalizzare. C’è una serie di
prodotti, anche alimentari, che non hanno registrato aumenti.
Altri che mettono alla prova la diligenza del consumatore.
Facciamo l’esempio dell’acqua minerale. Qualcuno preferisce una
data marca. E’ chiaro che Levissima, Bernina e Frisia hanno un
livello tale che le si comprano indipendentemente dal prezzo.
C’è però chi compra l’acqua minerale senza preferenze. E allora
una vale l’altra. In questo caso se andassimo ad acquistare
acqua – cosa che noi non facciamo mai visto che in metà Sondrio
dal rubinetto sgorga acqua di sorgente di alta quota, buona
quanto le acque citate avanti – abbiamo visto in vendita acqua
di collina prealpina a 14 centesimi la bottiglia da due litri.
E poi le sottomarche. Guardando le scritte in caratteri
minuscoli abbiamo visto prodotti uscire dallo stesso
stabilimento, stessi gusti, stesse pezzature, stesse
caratteristiche, uno con la marca nota, l’altro con marca meno
nota, ovviamente a prezzi ben diversi. La diligenza del
consumatore conta e come!
E non c’è solo la grande distribuzione. Il prodotto particolare,
magari della piccola azienda, talora locale, è evidente che
costa di più. Ma se voglio quel sapore, quelle particolarità
pago di più.
Non va invece nella grande distribuzione vedere gente che compra
ad oltre 5000 vecchie lire lo stesso prodotto, industriale, che
in un altro grande magazzino è venduto a poco più di 3000!
dichiarazione
del CCCVa al quotidiano "Il Giorno"
Su “Il Giorno del 16.9.2003, che ha dedicato ampio spazio alla
giornata di “sciopero della spesa” è comparsa la sintesi della
dichiarazione richiesta al Comitato cittadini consumatori di
Valtellina.
«La gente deve prendere coscienza dell'importanza delle
associazioni di consumatori. La giornata di sciopero della spesa
ha un valore simbolico più che d'incisione reale sul problema.
Bisognerebbe fare un'indagine informativa sulla formazione del
prezzo per capire dove sono effettivamente gli aumenti».
La formazione
del prezzo
Avevamo infatti sottolineato che ogni giudizio deve essere
fondato sulla conoscenza di questo processo della formazione del
prezzo. Siamo al colmo che i produttori agricoli lamentano che
il loro ricavato non solo non è aumentato ma in qualche caso è
addirittura diminuito. I commercianti giurano e spergiurano di
non essere loro ad aver praticato aumenti.
Questa posizione appare credibile vista la concorrenza della
grande distribuzione ed anche fra dettaglianti, per cui
occorrerebbe una sorta di improbabilissima congiura generale per
concordare unanimi e similari incrementi.
E allora? E allora il problema dovrebbe stare nel mezzo. Si vada
a vedere.
Certamente ci sono cose inspiegabili. Ad esempio, ci si dice,
ristoranti e pizzerie che nel giro di un paio d’anni hanno
registrato, fatte salve le consuete eccezioni di rito, non
lievitazioni ma sensibili aumenti.
La debolezza
dei consumatori italiani
In secondo luogo la debolezza dei consumatori italiani. Il fatto
che siano così pochi gli iscritti, pesa.
In Italia il totale degli iscritti dichiarati – e quindi il
massimo reale – dalle tredici associazioni dei consumatori
riconosciute è di 736.863, con una sola, “Altroconsumo”, a quota
271.440, un’altra, Adiconsum a 74.287, e le altre da circa
40.000 in giù. Neanche il 2% della popolazione italiana.
Negli altri Paesi non è così. Il numero fa la forza. Negli USA
le grosse aziende sono attentissime perché la presa di posizione
delle Associazioni dei consumatori può, come avvenuto, decretare
la morte di un prodotto e guai seri per le aziende. Alla
Federazione dei consumatori d’America, Federazione di circa 300
associazioni, aderiscono una cinquantina di milioni di cittadini
statunitensi
Se in Italia ci fosse un numero più adeguato di iscritti a
queste Associazioni si riuscirebbe in quello che é
apparentemente un aspetto secondario, ma che in realtà conta e
come. Parliamo delle etichette ed in particolare dei caratteri
al limite della il leggibilità, salvo per chi non possiede occhi
di falco o d’aquila.
Un esempio. Abbiamo già scritto che ci possono essere i
consumatori che preferiscono all’acqua minerale di montagna
quella della pianura padana, visto che la San Benedetto ha il
suo stabilimento a Scorzé, in provincia di Venezia, sedici metri
sul livello del mare. Registriamo però che quasi tutti quelli
che comprano quest’acqua non sanno da dove viene. Va scritto –
così come per qualsiasi altra etichetta - in grosso, come le
informazioni che invece interessano alle aziende produttrici. A
quel punto, per tornare all’esempio, al consumatore cui piace
quell’acqua sa da dove viene, la preferisce a quella di montagna
e se la compra. Consapevolmente. O, per stare all’azienda di
Scorzé, si compra la Sanguinella e sa, perché riesce a leggerla,
quant’è la quantità di succo, se il sei o il dodici per cento…
Se in Italia dunque ci fosse lo stesso rapporto che c’è negli
Stati Uniti “iscritti alle associazioni di
consumatori/popolazione”, e cioè fossero iscritti oltre 11
milioni di connazionali sarebbero molte le cose che andrebbero a
posto. Pensiamo, per fare un solo altro esempio, al costo di
libri di testo inutilmente ridondanti, con grammatura della
carta alta, altissimo numero di pagine e quindi bei pesanti e
pensiamo al loro peso sulle spalle di organismi in formazione.
Problemi questi più volte emersi a livello nazionale ma sempre
senza risultato. Ma se ci fossero 11 milioni di iscritti
sarebbero lo stesso Governo e lo stesso Parlamento a intervenire
appropriatamente!
Torniamo comunque a noi.
Il balzo in avanti di tutta una serie di prodotti è evidente
anche ai più distratti consumatori.
Non si può
intervenire sui prezzi, ma...
Il Ministro Alemanno ha osservato giustamente che non ci sono
modi per intervenire sui prezzi. Ci sono però modi indiretti. In
seguito alla dilagante polemica sui rincari hanno cominciato a
venir fuori cose interessanti come i prezzi pagati ai produttori
per alcuni prodotti ortofrutticoli, quelli praticati
all’ingrosso e quelli praticati al minuto.
Il Ministro ha anche aggiunto che però nella catena distributiva
c’è qualcuno che ha fatto e fa il furbo. Se nel libero mercato
non è possibile intervenire sui prezzi è lecito però monitorare
la situazione per far sapere come stanno le cose ai consumatori.
E se viene fuori che alcuni fanno veramente i furbi se non si
può imporre loro certamente di vendere a meno però il Ministro
Alemanno ha la possibilità di concordare con il suo collega alle
Finanze un programmino di visite della Guardia di Finanza a
questi signori…
Sarebbe una misura indiretta ma probabilmente efficace…
Comitato Cittadini Consumatori
Valtellina
GdS 18 IX 03 -
www.gazzettadisondrio.it