.1945 "ARBEIT MACHT FREI" (IL LAVORO RENDE LIBERI) E DIETRO L'INFERNO
Istituito tredici anni fa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta "Arbeit macht frei" (Il lavoro rende liberi), apparve l'inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest'oggi, ci affacciassimo dei cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato. Solo ad Auschwitz sono stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei. Shoah è una parola ebraica che significa "catastrofe", e ha sostituito il termine "olocausto" usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone. La Shoah è il frutto di un progetto d'eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approva il piano di "soluzione finale" del cosiddetto problema ebraico, che prevede l'estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una per quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo "Judenfrei" ("ripulito" dagli ebrei). L'odio antisemita è un motivo conduttore del nazismo. Tra le vittime, dell'antisemitismo ci furono cittadini ebrei di ogni ceto sociale: ricchi e poveri. E coloro che riuscirono a sfuggire al genocidio e ai campi di sterminio furono comunque troppo pochi. Tra costoro ci fu Bruno Zevi che nel 1940, già impegnato sul fronte antifascista, si rifugiò negli Stati Uniti per continuare i suoi studi e sostenere la lotta contro il nazismo insieme ad altri ebrei italiani vittime della stessa sorte, fra cui il futuro Premio Nobel per l'Economia Franco Modigliani che, per le stesse ragioni, aveva lasciato l'Italia qualche mese prima di Zevi. Il Giorno della Memoria non vuole misconoscere gli altri genocidi di cui l'umanità è stata capace, né sostenere una superiorità del dolore ebraico. Non è infatti un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza collettiva del fatto che l'uomo è stato capace di questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse.
Mario Pulimanti