Congresso internazionale bioetica e psichiatria: etica dei modelli in psichiatria
Riceviamo e pubblichiamo:
Sintesi, dal congresso: "Bioetica e psichiatria. Etica dei
modelli in psichiatria", che si e' tenuto presso l'Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum (Facolta' di Bioetica).
Introduzione
La psichiatria non è sicuramente il primo soggetto al quale va
il pensiero della gente quando si parla di bioetica. Ma ciò
nondimeno costituisce uno degli ambiti di cui si occupa questa
nuova disciplina, incaricata di discernere le problematiche
etiche sui comportamenti umani che incidono sulla vita. Incidono
sulla vita –positivamente o negativamente– l’ingegneria
genetica, le biotecnologie, la riproduzione assistita, e via
dicendo. Ma incide ugualmente l’intervento dello psichiatra che
“tocca” le fibre più intime della persona, e può alterare
–positivamente o negativamente– la stessa personalità
dell’individuo, espressione della sua “personeità”, vale a dire
quella qualità di essere persona nella quale radica la sua
dignità e l’obbligo etico universale di rispettarla. Rispettare
la dignità della persona significa anche, nell’ambito della
psichiatria, chiedersi con apertura di mente e onestà
intellettuale quali possono essere le conseguenze –positive o
negative– derivanti dalla scelta e dall’applicazione di un
modello teorico anziché di un altro.
Aspetti etici della scelta del modello psichiatrico
GIANFRANCO BUFFARDI, psichiatra
La scelta di un modello in psichiatria risponde, nella maggior
parte dei casi, ad inclinazioni personali o a circostanze che
hanno determinato nel singolo la preferenza per un approccio
metodologico anziché un altro. La materia conoscitiva della
psichiatria è troppo complessa, investendo campi delle scienze
umane e delle scienze naturali così estremi da impedire una
ragionevole mediazione tra i diversi approcci: possiamo dire che
la psichiatria necessita di una valutazione epistemologica di
fondo. Ma un'altra valutazione è necessaria, in qualche modo
collegata al confronto epistemologico dei modelli di
riferimento: la valutazione etica; la scelta di un modello e la
prassi ad esso collegato è una scelta etica, determina un
complesso di comportamenti eticamente orientati. Trattandosi di
una scienza umana e clinica possiamo parlare, quindi, di
bioetica della psichiatria e dei suoi modelli. Aspetti bioetici
sono evidenti su:
- il piano clinico
- il piano speculativo e della ricerca
- il piano sociale e politico
- il piano culturale
Nell'ambito del piano clinico la scelta influisce su:
- la presenza e la riconoscibilità concreta di una "malattia";
- il tipo di rapporto tra paziente e terapeuta;
- sulla diagnosi e sullo stigma che ad essa è legata;
- sulla cura;
- sulla prognosi e sulle ricadute progettuali;
- sul giudizio degli "altri", della Persona stessa e del
clinico. Sul piano speculativo e nell'indirizzo di una ricerca
nascono le seguenti questioni:
- la ricerca scientifica psichiatrica, intervenendo sulle
coscienze, può rinunciare all'etica? quale è il limite bioetico
della ricerca nelle scienze cognitive?
- qual è il peso del problema dell'autoreferenzialità?
- può la ricerca utilizzare sperimentalmente approcci diversi,
biologici e psicologici, senza tema di alterare bioeticamente il
risultato? Il piano sociale e politico è fortemente presente nel
quotidiano della Salute Mentale:
- come coniugare libertà individuale e sicurezza sociale?
- le scelte metodologiche riabilitative rispettano la libertà
esistenziale del singolo?
- l'intervento familiare modifica la progettualità affettiva
della Persona?
- quale limite politico deve porsi la salute mentale?
Sul piano culturale le questioni che sorgono sono fortemente
legate agli erronei approcci mass-mediatici:
- quali conseguenze etiche può avere la diffusa convinzione di
un ruolo salvifico delle psicoterapie?
- la "invadenza" mass-mediatica di psichiatri, psicologi,
psicoterapeuti e quant'altro, non rischia di generare angosce e
false convinzioni eticamente inaccettabili?
- la ricaduta culturale delle scelte politiche non precipita in
un nuovo stigma? La ricerca bio-etica in psichiatria, a nostro
parere, dovrebbe, pertanto, studiare i modelli per inquadrare
gli atti sequenziali, i comportamenti, le scelte, quelli
corretti come quelli devianti, per favorire l'integrazione
terapeutica, orientando la prassi a comportamenti condivisi dai
diversi modelli. Questo processo potrebbe essere facilitato dal
lavoro comune:
- dei bioeticisti, con il loro lavoro di tipizzazione e
controllo dei comportamenti scorretti a favore di quelli
eticamente consolidati,
- degli psichiatri, nella ricerca di un accordo univoco sulla
correttezza etica di alcuni comportamenti
- degli scienziati cognitivi nel lavoro di ricerca
sull'epistemologia dei modelli e nella clinica la psichiatria
clinica,
- degli epistemologi, che devono favorire lo studio di modelli
che favoriscano il costante approssimarsi ad un comportamento
etico corretto e condiviso (in quest'ottica, ad esempio, è
pensato il c.d. modello neo-esistenziale).
Riflessione sui Presupposti di una Dimensione Etica
dell'Azione Diagnostica e Terapeutica Psichiatria Mentale
ANTONINO TAMBURELLO, Direttore del Master in Psicologia di
consultazione dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Per avviare una riflessione ordinata intorno al tema specifico
sopraindividuato appare necessario ed inevitabile il riferimento
vincolante alla natura e definizione di Azione Etica (azione
umana). E' buono l'Atto che realizza nella specifica circostanza
il massimo Bene relativamente alla Realtà Ontologica e quindi
Potenzialità Ontologica dell'Ente "Uomo". Secondo questa
definizione, L'Atto Etico/Buono diviene Realtà-Occasione del
compimento di sé come Uomo. La Potenzialità dell'Uomo, e della
Persona individuale è orientata verso la Finalità e quindi la
dimensione teleologica è inscindibile e di grande aiuto per il
rintracciamento dell'Ordine completo-perfetto-sano dell'Essere e
dell'Agire Umano. Molte discipline scientifiche dell'area della
medicina hanno beneficiato di tale vantaggio paradigmatico
quando hanno cercato di conoscere l'Ordine anatomo-strutturale,
il rapporto tra la Verità organizzativo-strutturale di un organo
(o parte di organo) di cui esploravano la funzione sana e malata
e quindi il successo o l'insuccesso
nell'adempimento/raggiungimento della finalità iscritta
nelPEnte-Organo esaminato. Tra queste: la fisiologia, la
fisio-patologia, l'anatomo-fisiologia, la biochimica etc. Non
credo si possa negare che, anche se facilitata dalla natura
dell'Oggetto Materiale di tali Scienze, la perfetta definizione
dell'Oggetto Formale, in cui l'elemento Ideologico della
funzione ha giustamente rivestito un ruolo centrale ed
inevitabile, tali discipline hanno assicurato la Base Solida di
un Positivo Ruolo della Medicina nel suo complesso per la
Diagnosi e Terapia della Patologia Fisica. Da questa premessa
(posta in termini necessariamente sintetici) discende che
nell'Azione Etica del Momento Diagnostico è necessario
assicurare che:
- si ricerchi o si disponga di una Verità dell' Ente-"Uomo",
intera od almeno non Icarente dei suoi tratti di base come Uomo
capace di Libertà, capace di Responsabilità e dei suoi
presupposti ossia delle Facoltà per realizzarle;
- si ricerchi o si disponga di una Matrice dell'Ordine
funzionale perfetto di tutte le aree del Pensiero e dell'Azione
umana che permetta l'identificazione dei discostamenti
dall'Ordine, al pari di quanto possibile e operato da chi si
muove in analoghe discipline diagnostiche dell'area della Salute
Fisica; Senza la Fisiologia non può esserci una Fisio-Patologia,
né una Diagnostica Clinica o Strumentale efficace sia nel campo
della salute fisica che in quello della salute mentale. Senza le
condizioni dell'agire etico completo nel campo diagnostico non
può esserci neppure l'individuazione degli obiettivi
significativi dell'agire etico.
Scienza ed Etica
GUIDO TRAVERSA, Docente presso la Facolta' di Filosofia
dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Molte questioni etiche che si accompagnano alla ricerca
scientifica e alle sue applicazioni appaiono, non di rado, come
qualcosa di esterno alla scienza stessa, alla sua storia, alla
storia dei cambiamenti dei paradigmi esplicativi assunti da
ciascuna disciplina scientifica. E' necessario, invece, per
capire il nesso necessario tra scienza ed etica, partire dal
presupposto che i problemi etici inerenti alla scienza non sono
una dimensione che vi si aggiunge dall'esterno, in un secondo
momento: nella successiva riflessione, basata su principi etici
e valori, sulle conseguenze pratiche che una determinata scienza
ha sulla realtà; al contrario, essi sono interni al determinato
paradigma conoscitivo su cui si fonda quella scienza.
Stabiliamo, pertanto, alcuni presupposti metodologici:
a) i problemi etici presenti e sollevati nella ricerca
scientifica non sono, de facto, identici ai soli problemi etici
che la scienza pone ed incontra empiricamente, cioè nella
ricaduta pratica sull'ambiente, sulla società o su un
determinato individuo.
b) al contrario, gli autentici problemi etici emergono, de jure,
all'interno dello stesso paradigma esplicativo che si adotta nel
procedere nella ricerca scientifica, nella elaborazione della
spiegazione di un determinato fenomeno. Pertanto i problemi
etici sono interni a ciascun paradigma scientifico: le concrete
questioni etiche si generano sulla base dei motivi
epistemologici, conoscitivi e scientifici, interni alla scienza
in quanto tale e ai suoi diversi paradigmi esplicativi. Una
simile analisi filosofica dell'apparato logico ed etico di
ciascun paradigma di spiegazione scientifico consentirebbe non
solo di avere già a livello formativo-universitario la
consapevolezza della complessità del tessuto della disciplina
scientifica che si viene apprendendo, ma di poter porre
costantemente la questione del "limite" della ricerca e della
concreta prassi scientifica: ci si renderebbe sempre più
familiari non solo alla dimensione etica in generale, ma si
acquisirebbe sempre più l'habitus di valutare, di volta in
volta, in dettaglio la scienza che si viene sviluppando. Molto
della identità epistemologica del rapporto tra scienza ed etica
si giocherà sul legame tra consapevolezza del "limite" ed esame
del dettaglio. Così, forse, risulterà più oggettiva - in quanto
determinata anche dall'oggetto di ciascuna scienza - la
discussione, e i conflitti che spesso ne derivano, sul "limite",
sulla "scelta", sulla distinzione tra il lecito e l'illecito
nella scienza in generale e in ciascuna scienza in particolare.
Dopo aver affermato che l'etica, quale insieme determinato di
comportamenti, è intrinseca alla scienza in generale e in modo
particolare a ciascun paradigma scientìfico di spiegazione e
dopo aver mostrato come un simile assunto epistemologico possa
trovare una concreta applicazione nell'ambito della psichiatria
è necessario sottolineare che tale assunto non conduce ad una
autoreferenzialità della scienza, come a dire: dato che l'etica
è intrinseca alla scienza, questa stessa si autolegittima,
dichiarandosi esente dal doversi misurare con problemi etici
distinti dal suo stesso operare; al contrario, ne deriva che
ciascun modello di spiegazione di un determinato "oggetto" non
può non tenere conto sia degli altri modelli sia, e ancor più,
dell'etica molteplice della società.
Il problema etico della precomprensione antropologica
GONZALO MIRANDA, L.C., Decano della Facolta' di Bioetica
dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
In medicina sono necessari i modelli teorici ed applicativi. A
volte questi modelli sono di carattere sperimentale, e le
conseguenze della loro applicazione ancora incerte. Anche in
psichiatria è necessario teorizzare ed applicare modelli vari
che possano sistematizzare ed orientare la comprensione dei
fenomeni psichici oggetto di studio e l’approccio diagnostico e
terapeutico in relazione a un individuo concreto. Orbene, mentre
in altri rami della medicina l’adozione e l’applicazione di un
modello ha un carattere di solito fondamentalmente metodologico,
i diversi modelli adottati e applicati dalla psichiatria si
rifanno sostanzialmente a qualche comprensione o
pre-comprensione di carattere filosofico-antropologico. E
proprio per questo la scelta di un modello psichiatrico orienta
in profondità, non solo metodologicamente, l’orientamento e gli
atteggiamenti dello psichiatra, e conseguentemente l’incidenza
del suo operato sulla personalità e sull’esistenza stessa della
persona alla quale rivolge il suo servizio. In realtà non è
possibile stabilire nessun rapporto con un uomo senza avere una
qualche comprensione dell’uomo, vale a dire un’antropologia. I
diversi modelli psichiatrici mettono radice anche loro in una
determinata visione dell’uomo. Visioni che sono differenti e
spesso incompatibili tra di loro. Altro è pensare che l’uomo è
totalmente determinato da fattori biologici o ambientali; altro
è riconoscere in lui uno spazio di vera libertà, nonostante gli
influssi a cui è sottoposto. Diverso è vedere l’uomo come
materia senziente, che considerarlo come un essere composto di
materia e di spirito trascendente. Il problema non è che alla
radice di un determinato modello psichiatrico ci sia una
antropologia, ma il fatto che non necessariamente quell’antropologia
corrisponde alla realtà dell’uomo. E non si dica che ogni
antropologia gode dello stesso valore e che sono tutte
ugualmente accettabili. Se uno dice che l’uomo “è solo materia”
e l’altro afferma che “non è solo materia” possiamo essere
sicuri che almeno uno dei due sbaglia. Un altro problema è
costituito dal fatto che spesso l’antropologia di fondo non
viene sufficientemente tematizzata e focalizzata. Diventa così
una specie di condizionante invisibile dell’approccio
psichiatrico, sia teorico che applicativo. E tutto questo non è
indifferente dal punto di vista etico. Lo psichiatra può
esercitare un influsso notevole sull’individuo, sulla sua
auto-comprensione, sulla sua vita interiore, sul suo
comportamento esteriore, e dunque anche sul suo rapporto agli
altri e sul suo inserimento nella società. E tutto questo
influsso dello psichiatra sull’individuo è profondamente
influenzato a sua volta dalla compressione antropologica dello
psichiatra stesso. Forse il maggior pericolo in tutto questo è
che lo psichiatra non sia sufficientemente cosciente
dell’influsso che la sua comprensione o pre-comprensione
antropologica esercita sul suo esercizio professionale,
influenzando così in modo cieco e acritico il suo paziente, il
quale può pensare di essere soltanto sotto l’influsso di un
approccio meramente scientifico e non di uno specifico –e forse
discutibile– modello filosofico-antropologico. Potremmo parlare,
allora, di un “condizionamento a doppio cieco”. La bioetica, in
quanto interessata all’orientamento etico dei comportamenti
umani che incidono sulla vita, anche su quella psichica, deve
continuare la sua opera di discernimento. E forse uno dei
maggiori servizi che può offrire alla coscienza etica di che
opera nel campo della psichiatria è appunto quello di aiutare a
prendere coscienza, coscienza critica, del modello teorico e
applicativo adottato o da adottare, delle sue radici
filosofico-antropologiche e delle sue possibili conseguenze.
Carlo Climati
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Carlo Climati, Responsabile ufficio stampa Ateneo Pontificio
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