9 20 40 PARTITO DEL LEADER. LEADER DEL PARTITO
1 - Il ping pong dei Governi sino al 2008
La prima osservazione riguarda la necessità del nostro Paese di avere stabilità di governo, quella stabilità che un tempo c'era venendo poi meno verso la metà degli anni '80 quando, venuta meno l'egemonia della DC, tutto è diventato più complicato oltre a tutto rendendo fertile il terreno 'tangentepolitano'. La legge italiana, per questo fenomeno, non bastava e non basta, come abbiamo sempre sostenuto. Per chi ruba nella o alla Pubblica Amministrazione occorre la legge araba, quella del taglio delle mani e via via del resto in caso di recidiva.
Abbiamo continuato a dire ad ogni nuovo Governo che i vincitori delle elezioni avevano un'opportunità, sfruttando la quale si poteva aprir loro una piccola 'era politica', di 10 - 15, forse anche 20 anni. Chiunque avesse vinto il Paese ne avrebbe avuto un grande giovamento. I governi hanno giocato a ping pong, una volta per uno. Questo almeno fino al 2008 quando pareva arrivata la volta buona con il centro-destra gratificato dagli italiani con una maggioranza come mai nessuno in precedenza. La volta buona dunque per fare le riforme - difficilissimo farne se non si ha una robusta maggioranza! - ed anche per aggiornare la Costituzione per darle una fisionomia da terzo millennio, ovviamente in questo ricercando la collaborazione dell'opposizione, tanto pià facile quanto più robusta la rappresentanza parlamentare della maggioranza.
Era la volta buona tanto più che nel 2013 si va non solo al voto ma si elegge anche il Presidente della Repubblica. Sembrava che le cose fossero state disposte dalla sorte per dare un contributo politico. Dicevano in tanti: Fini a Palazzo Chigi, Berlusconi al Quirinale, registrato nelle competenze dalle modifiche della Costituzione, Tremonti in alto loco finanziario quantomeno europeo, Lega in posizioni di vertice. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. La prospettiva di un tempo lungo di stabilità è in buona parte naufragata, comunque vadano le cose anche se il Governo - ipotesi oggi non proprio probabile - ce la facesse ad arrivare a fine mandato Improbabile perché oggi quasi nessuno ha interesse ad andare alle elezioni, tranne la Lega per il responso dei sondaggi. Questo non-interesse non ha però, per naturale svolgersi di queste cose - identico calendario. Il bipolarismo è stato scrollato di dosso da molti per una ragione vecchia quanto il mondo: meglio per molti essere semplice capitano in piccoli gruppi ove si conta e si ha visibilità che generale in un groppone dove si hanno davanti parecchi altri.
2a Berlusconi - La seconda riguarda il modo di porsi di Berlusconi, in particolare con la sua 'antipolitica' che però comporta il rischio di by-passare le leggi non scritte ma che pur ci sono - anche se pochi dimostrano di conoscerle - della politica e che traggono origine, in buona parte, dalla psicologia di massa. Abbiamo, la prima volta anni fa, posto in termini semplici quello che Berlusconi aveva davanti a sé: un moderno Rubicone da passare. "Alea iacta est", disse Giulio Cesare 2059 anni fa e varcò il fiume con questo violando le regole della Repubblica romana e aprendosi la strada verso il potere assoluto. Avrebbe dovuto imitarlo Berlusconi varcando un altro confine nel quadro di un assetto di democratica partecipazione. Lo sintetizzammo allora, e la sintesi vale ancora oggi, sostenendo la necessità, per lui, di passare dal PARTITO DEL LEADER a LEADER DEL PARTITO. Una differenza fondamentale che avrebbe avuto, se così fossero andate le cose, come naturale conseguenza quella capillare presenza sul territorio che oggi per lo più manca. Non sono certo più i tempi andati quando la DC aveva in provincia bel 106 sezioni, ma da quelle 106, nei 78 nostri Comuni, arrivare ad averne almeno alcune, oltre che nei 5 capoluoghi anche nei Comuni maggiori per abitanti o per importanza, avrebbe dato il senso di Partito più di quello odierno che presenta più caratteristiche di Movimento. Il nostro ragionamento comunque non è rivolto alla Valtellina, da cui abbiamo solo tratto l'esempio, ma in campo nazionale
Partito del leader vuol dire un certo modo di fare politica, sostanzialmente in modo piramidale. Leader del Partito significa usare dello staff and line che può essere più faticoso ma garantisce molto di più. Fosse stato usato dopo il varo del PdL molto probabilmente oggi non ci sarebbero stati i problemi che ci sono, con il PdL certamente più unito e l'alleanza con la Lega consolidata. In altri termini quel periodo di egemonia cui il centro-sinistra non è arrivato nonostante le favorevoli condizioni 'di contorno' sarebbe stato alla portata del centro-destra, Quirinale del 2013 compreso. Oggi la situazione appare assai più complessa, ma ne parleremo, come al solito anticipando di parecchio gli sviluppi come abbiamo abituato i nostri lettori. E questo senza avere la sfera di cristallo o poteri divinatori ma usando le cellule cerebrali predisposte alla logica in consulto con quelle esperte di leggi, non scritte, della politica.
2b Fini. C'è stato un momento in cui Fini era considerato il più fine - senza contrasto di termini - uomo politico italiano, con un giusto dosaggio fra visioni strategiche ed esigenze tattiche. L'operazione PdL lo aveva messo in pista per traguardi elevati con un condominio allora robusto con Berlusconi. A un certo punto la visione strategica è andata a farsi benedire, concorrendo entrambi e in quale misura lasciamo dire al lettore. Certo, un contributo lo ha messo anche Berlusconi che avrebbe dovuto, anche come suo interesse, guidare il PdL, una volta arrivato Fini, come leader del Partito. Non poteva essere più il Partito del leader perché lo riconoscevano i suoi di Forza Italia ma non si poteva pensare che questo fosse accettato dai Finiani di AN.
Ciò detto però sta il fatto che a un certo punto neppure i suoi hanno più capito le posizioni politiche di Gianfranco Fini, talora antitetiche rispetto a quelle da lui sostenute fino a qualche settimana prima. Rovesciamenti di posizioni inoltre del tutto personali e su temi delicati come le coppie gay, la fecondazione assistita e via dicendo.
Con tutta la discrezione del caso siamo stati i primi, diciamo fra i primi, a collegare il cambiamento per la sua nuova situazione familiare al cambiamento di posizioni politiche. Oggi sono in molti a ritenerlo e qualcuno aggiunge l'influenza della nuova compagna alla quale qualcuno attribuisce simpatie radicali.
La casa di Montecarlo non influenza il nostro giudizio né il messaggio che sta per arrivare via web da Fini 'per chiarire tutto'. Meglio tardi che mai, ma resta il fatto che il problema non è a Montecarlo.
3 Il problema è a… Il problema è a Roma dove oggi non si sa come andranno a finire le cose. La fiducia al Governo è scontata visto che sono in troppi a temere le elezioni, checché ne dicano. Il problema non è affatto lì. Il problema è nelle commissioni di Camera e Senato, nel gioco degli emendamenti, magari di mozioni imbarazzanti, nelle tattiche degli uni e degli altri anche in funzione delle assenze. Sarà una questione di nervi perché in politica vince chi fa funzionare meglio quelle cellule di cui si parlava prima. L'unico auspicio che si può fare è che la tattica, degli uni e degli altri, non vada a scapito della strategia danneggiando il Paese.
Alberto Frizziero