3 10 STORIE DI UMANITÀ CANCELLATA IN CARCERE

Riceviamo e pubblichiamo:

Molto interessante è stato l'incontro tenutosi a Sondrio il 10 Marzo con la direttrice del carcere di Bollate dott. Lucia Castellano.

La prima cosa interessante è stata che la Castellano non ha tenuto una conferenza ma ha risposto alle domande degli organizzatori e del numeroso pubblico presente.

Perché "Diritti e castighi" semplice ci ha spiegato perché il castigo che il comportamento delittuoso ha causato deve esserci ma l'espiazione deve concretizzarsi nel rispetto dei diritti riconosciuti ad ogni persona umana.

Il sottotitolo: "Storie di umanità cancellata in carcere" che l'editore voleva dare come titolo al libro alla Castellano era sembrata troppo forte ed è riuscita a far prevalere l'attuale.

Io però che non ho nessuna soggezione burocratica ho usato il sottotitolo. La Castellano ha ricordato che un direttore di carcere che aveva commentato un'evasione con l'affermazione: "il detenuto ha il diritto ad evadere" era stato radiato.

La relatrice ha cercato di dimostrare che la pena non può essere contraria al senso umano; che la pena consiste solo nella privazione della libertà; che la legge che regola la vita del carcere è una legge molto ben fatta; che il crimine rimane fuori la porta del carcere ed all'interno ci sono solo "persone"ed infine che il carcere deve essere un luogo di rieducazione.

Ha cercato di dimostrare ma, secondo me, non c'è riuscita affatto. Incalzata dalle domande di chi aveva letto il libro o di che conosce la vita carceraria ha dovuto convenire che anche in una realtà come Bollate i problemi sono infiniti.

La sperimentazione di Bollate dura da otto anni: sicuramente si tratta di un processo troppo lungo. Avrebbe dovuto già produrre cambiamenti anche a livello nazionale. La legge del 1975 l'ha definita ottima ma ha anche aggiunto: "una legge che immagina un carcere".

Quando si parla di popolazione carceraria, l'immaginario collettivo pensa a persone che hanno commesso dei reati. Questa visione non corrisponde alla realtà.

La polizia penitenziaria, i tecnici, i cappellani, la società civile sono tutti dentro le mura del carcere. La loro convivenza è altamente difficile. La qualificazione degli operatori penitenziari, nel tempo, è cresciuta enormemente ma non ha ottenuto i dovuti riconoscimenti. Di questo la polizia penitenziaria ne soffre.

A Bollate si è cercato di responsabilizzare i detenuti. Non è possibile pensare alla loro rieducazione senza farli partecipi alle decisioni. La Castellano ha fatto un bel paragone: "se vuoi che tuo figlio impari a camminare lo devi togliere dal girello"; devi affrontare il rischio che finisca a terra".

Il tentativo non è stato ben visto dalla polizia penitenziaria che deve limitarsi alla sorveglianza, crea problemi non indifferenti e, forse, la troppa libertà concessa ai detenuti permette che i più "forti" abbiano il sopravvento.

Alla domanda: perché ha definito il carcere come "Narciso" la Castellano ha risposto che il carcere è autoreferenziale. Ha i suoi ritmi, i suoi orari, i suoi rituali e tutti i servizi, la società civile, gli operatori esterni si devono piegare a questa ritualità quotidiana. Questo oltre ad essere un problema non è educativo

Il carcere, come una scuola, dovrebbe essere nella città, dovrebbe condividere i tempi della città. Nel carcere invece di esserci una divisione di ruoli: direttore, polizia penitenziaria e detenuti si registra una contrapposizione tra poliziotti e detenuti. I detenuti sono falsamente ossequiosi. Il pericolo di perdere il beneficio di uscire 45 giorni prima li rende molto attenti nei rapporti con i loro custodi e molto distratti sugli avvenimenti interni.

In "Diritti e castighi" la Castellano "attraverso le voci dell'umanità cancellata" racconta la realtà esistente all'interno delle mura. La politica non può continuare a "rassicurare" i cittadini "immaginando" un carcere che non esiste.

E' inutile istituire figure come il "garante" se non gli si danno adeguati poteri. C'è già il giudice di sorveglianza. Se un magistrato non è in grado di applicare le leggi e non tradurre in un carcere, dove non ci sono posti disponibili, un detenuto cosa potrà fare mai un "garante" ?

La politica non può continuare a risolvere il problema dell'immigrazione con le "farsesche" espulsioni ed il problema dei drogati non istituendo servizi adeguati per l'accoglimento ed il recupero. Affrontare il problema del sovraffollamento con annunci di costruzione di nuove strutture o, peggio ancora con indulti è irresponsabile.

La Castellano ha concluso la bella serata ricordando un colloquio con un detenuto nel carcere di Secondigliano: "song e ccà fore (vivo alle "Vele" proprio fuori il carcere).

Il problema carcerario è fuori quando detenuti non recuperati rientrano nella società. E' interesse di tutti che il carcere sia il luogo "immaginato" dalla legge del 1975. Non può "rassicurare" nessuno un carcere che non riesce a svolgere la sua funzione.

Il paradosso finale racchiude tutta la serata e, secondo me anche il pensiero della relatrice. Suggerisce Lucia Castellano:

"allo stato delle cose sarebbe più "umano" infliggere al colpevole come pena 5 frustate che arrestarlo ed inviarlo nei luoghi di detenzione italiani".

La mia conclusione è che da domani guiderò con maggiore prudenza. Non vorrei finire a Bollate, in attesa di giudizio, per aver investito qualcuno: "io speriamo che me la cavo".

Severino Diamanti

Severino Diamanti
Giustizia