Chi può salvare la cultura occidentale? Chiesa Cattolica, Massoneria e ALTRI TERZo articolo
CAPO PRIMO: LA PRESSIONE
DELL’ECONOMIA
Gli elementi esterni
Gli elementi esterni, di due tipi
In primis c’é “il pericolo giallo” sul quale inutilmente il
nostro convalligiano Tremonti ha tentato di richiamare
l’attenzione degli addetti ai lavori. E non da solo ma in coppia
con gli indiani. Bastano i dati demografici:
La Cina. Cominciamo a vedere la "Zhonghua Remmin Gongheguo", in
termini nostri "Repubblica Popolare Cinese". Su 9.536.499 Km
quadrati, trenta volte l’Italia, ci sono, almeno così dicono
1.188.710.100 abitanti circa, con quasi 700 città di cui 11
sopra i 2 milioni di abitanti.
11 città hanno una popolazione superiore ai 2.000.000, 23 sopra
al milione. Sotto i 200.000 sono 400. Un dato importante ai fini
del nostro discorso in quanto è la popolazione urbana, oltre
mezzo miliardo, dedita ad attività extraagricole. C’è calo delle
nascite per la legalizzazione dell'aborto e il limite al numero
dei figli ma i numeri restano impressionanti.
L’India. L’India ha una superficie di 3.287.365 kmq, un terzo di
quella cinese e dieci volte l’Italia mentre la popolazione viene
stimata in circa venti volte la popolazione italiana con tre
città sopra i 10 milioni di abitanti (Bombay supera i 18) e
altre tre sopra i cinque. Gli analisti ritengono che l’India sia
sulla strada di raggiungere e superare la Cina per numero di
abitanti.
Gli elementi esterni sono di due tipi:
1) l’avanzamento, sempre più massiccio, delle esportazioni;
2) la fame sempre maggiore di tutte le materie prime e non solo
del petrolio.
Per il primo punto c’è il bassissimo costo del lavoro e non solo
nella componente umana, già di per sé rilevante e quindi
fortemente concorrenziale. Sulle industrie cinesi non gravano,
ad esempio, gli oneri per i provvedimenti ambientali e per la
sicurezza (depurazione liquidi e aeriformi, smaltimento regolato
dei residui, costi maggiori di investimento, costi di esercizio,
strutture apposite di sicurezza ecc.).
Per il secondo punto la concorrenza che inizia a farsi sentire
in maniera dura è ovviamente sui prodotti di basso livello
tecnologico. L’Italia è più esposta rispetto a Germania,
Francia, Regno Unito, proprio per il livello tecnologico
inferiore e per gli scarsi investimenti nella ricerca. Con mezzo
miliardo di abitanti ormai urbanizzati in Cina e quelli in
India, quindi in parte cospicua dediti ad attività produttive e
di trasformazione cresce, e di recente vertiginosamente, la
domanda di materie prime. Lo abbiamo visto per il petrolio, ma è
solo l’inizio, ma l’ampliarsi delle produzioni richiederà sempre
maggiore quantità di materie prime, solo in parte localmente
disponibili. A una maggiore domanda corrisponde, specie in quei
settori ove l’offerta rischia di non essere in grado di avere la
stessa curva di avanzamento rispetto alla domanda, una tensione
sui mercati e una pressione sui Paesi c he meno dispongono di
quelle materie.
Gli elementi interni
all’Europa
L’allargamento a 25 Paesi dell’Europa nel medio-lungo periodo
sarà utile a tutti. Nel breve un po’ meno per tutti. Per chi
entra che ha dovuto e deve adeguare la sua legislazione con
inevitabili costi per il cittadino, e per chi c’era già in
quanto, per citare un solo aspetto, viene a trovarsi nello
stesso condominio chi è in condizioni di fare una serie di cose
a costi molto inferiori. Il costo orario alla Fiat di Tychy in
Polonia (quasi 300.000 Panda e circa 60.000 seicento) è un terzo
di quello di Mirafiori e di Termini Imerese e la metà di Melfi e
Pomigliano. Non ci sono stati scioperi in 12 anni e non c’è
nessun ammortizzatore sociale. Il numero di auto per addetto è
in ordine di grandezza quello dei giapponesi. Poi ci sono le
strozzature interne di cui parliamo dopo.
Gli elementi interni
all’Italia
Di elementi interni ne abbiamo a iosa. Cominciamo dall’energia,
il cui costo non è che incida soltanto sulle bollette dell’ENEL
o, a Sondrio, dell’ASM dato che l’energia è una componente di
costo di tutti gli altri prodotti. Dicono che spendiamo il 40%
in più degli altri Europei, grazie a quella fesseria del
nucleare. Ci riferiamo al dopo-referendum quando gli italiani,
truffati dagli ambientalisti (sostenevano in TV Mattioli e soci
che sarebbero venuti dietro anche gli altri Paesi, ma il
risultato è che Francia e Svizzera ci vendono l’energia prodotta
con le centrali nucleari un cui eventuale disfunzionamento, a
due passi da noi, non ci risparmierà certo in presenza dei
cartelli con scritto “Paese denuclearizzato”!) si videro
arrivare in bolletta il salato costo dello smantellamento del
nucleare. Non ce lo aveva detto nessuno prima del referendum…
Già perché pur con l’esito del referendum si poteva rinunciare a
costruire le centrali progettate ma almeno quelle che c’erano
continuare a farle funzionare. No. Furia iconoclasta. E, neanche
di questo ne aveva parlato qualcuno prima del referendum, in
macerie l’industria elettromeccanica che prima era al top sui
mercati mondiali.
Stiamo dando, come anzidetto, solo alcuni spunti non volendo
certo fare un trattato di economia.
Con questo non si può tacere la spaventosa situazione del debito
pubblico. L’ultima rilevazione, di un paio di mesi fa, lo dà
intorno, poco sotto, ai 1500 miliardi di €uro, 1,09 volte il PIL
stimato per il 2004, ossia la ricchezza prodotta dal Paese in un
anno, quasi tre punti in più dell’anno precedente.
Si tratta di cifre di cui non si ha la minima comprensione per
la loro enormità. Agevoliamo il lettore traducendo questo dato
in uno facilmente intelleggibile a chiunque, anche a chi avesse
fatto soltanto la terza elementare.
Lo Stato – vale a dire tutti noi quasi 58 milioni di italiani -
ha dunque circa 1480 miliardi di €uro di debito. In vecchie lire
vuol dire che ciascuno di noi ha un debito di circa 49,5
milioni. Una famiglia di quattro persone ha circa 198 milioni di
debito. Terribile.
Ricordo che quando il disavanzo del bilancio dello Stato, si era
negli anni ’70, superò per la prima volta i 10.000 miliardi di
lire rimasi scosso, tanto che presi carta e penna e scrissi un
articolo il cui concetto principale era il debito che stavamo
colpevolmente assumendo nei confronti delle future generazioni.
Ma i pochi che avvertivano i rischi di sistema erano avversati
da tutti visto che c’erano larghi e convergenti interessi –
persino tra grande industria e sindacato, alleanza che portò a
quello sfacelo che fu per i lavoratori e per il Paese la scala
mobile, solo apparente strumento di giustizia sociale -.
Ricordiamo bene, ma senza visioni parziali come spesso succede,
quel periodo.
Ci sono misure giuste come il numero delle pensioni salite da
6.500.000 1960 a oltre 10.000.000 nel 1970, ma veri e propri
delitti come le pensioni baby per cui gente andava in pensione
(molti a fare lavoro nero) dopo 19 anni, sei mesi e un giorno:
Anzi addirittura meno per la riduzione per le maternità e il
riscatto, a pochi soldi, degli anni di laurea che portavano
molti a andare in pensione dopo 10 anni, sei mesi, un giorno con
una prospettiva di vita davanti di quasi mezzo secolo, a spese
dello Stato e quindi di chi sarebbe stato al lavoro, e non solo
per 10 anni.
Il guaio è che mentre negli anni ‘60 l’economia cresceva a tassi
sostenuti, negli anni ’70 e ’80 non è stato più così. Complice
l’introduzione della scala mobile i tassi di interesse si
impennarono e la spesa dello Stato per questa voce andò dai 5285
miliardi del 1975 ai 20.634 del 1980, ai 66.352 del 1985, ai
127.716 del 1990, ai 200.546 del 1995.
Mancando lo sviluppo, il bilancio subì alcune cure dirompenti
per permetterci di entrare in Europa, si fecero e si fanno salti
mortali per stare nei limiti, vendendo i gioielli di famiglia. E
la ripresa non arriva perché il dato, ahimé, rischia di essere
strutturale anche se tutti fanno finta di niente e quindi
nessuno ne parla.
I prezzi alle stelle, e la colpa va all’€uro, quando ne ha, ma
solo in parte. C’è anche dell’altro che incide, e questo è un
dato europeo e non solo italiano.
Gli elementi europei
Sintomatico, e stupefacente al tempo stesso, che arranchi
perfino la Germania.
Il problema vero è che è diminuita la capacità di spesa delle
famiglie, con i conseguenti riflessi sui consumi e quindi sul
sistema. Ma perché è diminuita la capacità di spesa?
Un elemento, pur non il solo, ci viene dall’esempio dei telefoni
cellulari. Abbiamo fatto il conto sulla base di quanto speso nel
2003 fra investimento e spese di esercizio di gran parte degli
italiani essendo rimasti in pochi quelli che ne sono privi. Una
famiglia di quattro persone ci faceva qualche giorno in pensione
a Rimini. Si tratta di una spesa che fino a due, tre, quattro
anni fa non c’era nel bilancio della stragrande parte delle
famiglie italiane.
Sinora la promozione del superfluo a necessario ha riguardato
beni essenziali. Pensiamo alla catena frigoriferi – televisore –
lavatrici – lavapiatti – TV color – HI FI – elettrodomestici
vari. Adesso l’ultima frontiera riguarda i videofonini che, al
contrario dei cellulari, non hanno alcun elemento di
essenzialità e di funzionalità. In altri termini non se ne sente
proprio la mancanza cosa che invece, in un certo senso, c’era
per i telefonini. Idem per i TV a schermi ultrapiatti ed altro
ancora.
Ad ogni avanzamento del necessario rispetto al superfluo
corrispondeva un fabbisogno arretrato da smaltire nel senso che
non era solo questione di turn-over. E questa strada è stata
percorsa sin quando c’è stata ad un tempo compatibilità e
sostenibilità. Oggi tutti arrancano con le famiglie frenate nei
consumi oltre che da reali insufficienze anche da remore
psicologiche.
Aggiungiamo che le multinazionali non hanno più, purtroppo, le
briglie tirate dalla politica ma si muovono a loro piacimento
sullo scacchiere mondiale nel quale ci vorrebbe quello che non
c’è: un Governo regolatore. Segnali da tutte le parti. Crisi
occupazionali, settori industriali interi in difficoltà, la
Francia delle 35 ore, demagogica e controproducente trovata,
trova il sistema di farne lavorare ben oltre le 40, le
delocalizzazioni sono all’ordine del giorno mentre la ripresa
viene continuamente annunciata ma, ahimé, risulta poi rinviata e
non certo per volontà di qualcuno.
Quadro fisco.
CAPO SECONDO:
C’E’ DI PEGGIO RISPETTO ALL’ECONOMIA IN CRISI
E come può esserci, e
dove, di peggio?
Quadro fosco, quello europeo ed italiano, in fatto di economia.
Quadro fosco sì, ma c’è di peggio. E come può esserci, e dove,
di peggio?
Come? Basta pensare ai valori di oggi.
Dove? Nell’animo degli europei.
Qualcuno di quelli che si rendono conto che il declino del
nostro continente è cominciato, e proprio nel momento
dell’Europa allargata quando sembra di essere al top, individua
le ragioni del declino nella scristianizzazione della società,
nella sua secolarizzazione. Analizziamo pure questo aspetto ma
anticipando che in realtà esso ci appare non già fattore a sé
stante ma conseguenza di un processo più ampio.
Scristianizzazione
Panebianco sul Corriere della Sera, commentando il caso
Buttiglione scriveva “Il pregiudizio anticristiano è il portato
della secolarizzazione ormai largamente compiuta dell' Europa.
Nello spazio pubblico dell' Europa secolarizzata, i cristiani
possono essere tollerati solo se «accomodanti» nei confronti
delle dominanti ideologie. Più avanti: “E riguarda proprio i
temi dell' omosessualità e della famiglia. Il diffuso
pregiudizio anticristiano vieta ai cattolici di dichiararsi
solidali con le posizioni della propria Chiesa su questi temi.
Nel frattempo, si è ormai accasato in Europa un islam militante
che su omosessualità, donne e famiglia dice cose terribili. Cose
che la Chiesa non sostiene più da tanto tempo. Ma l'Europa, in
questo caso, finge di non sentire. Scherzi (atroci) del
relativismo culturale”.
Su questi temi un po’ di zapping: “Per molti i l cristianesimo
sembra aver perduto ogni senso e quindi ogni interesse e per
ragioni le più varie. C’è chi non crede più e abbandona ogni
pratica religiosa; chi non sa se credere o no; chi fa una
“scelta” nelle norme morali da osservare; chi è fortemente
critico su posizioni della Chiesa verso divorziati; celibato
sacerdotale; sacerdozio femminile ma la più parte trova
“retrograde” le posizioni della Chiesa su una serie di problemi
quando la società ogni giorno offre ogni giorno un’ampia gamma
di seducenti proposte di segno opposto. la cattolicità di
scenario è larga maggioranza, quella testimoniata è larga
minoranza». Lo dimostrano le indagini demoscopiche sui giovani e
su come la pensano.
Grande è il rischio di una progressiva scristianizzazione e
paganizzazione del Continente: alto il numero dei non
battezzati; elementi fondamentali del cristianesimo non più
conosciuti; crollo della catechesi e della formazione cristiana,
grande calo numerico delle vocazioni sacerdotali e religiose,
crescono ateismo e agnosticismo ma soprattutto l’indifferenza
religiosa… Lo stesso Giovanni Paolo II «Sembra che il consenso
fondamentale sui valori cristiani come base della società stia
sbriciolandosi… sofferenza per le numerose defezioni di fedeli
D’altronde su Avvenire del 7 giugno 2001 Monsignor Maggiolini
aveva pronosticato il tramonto inglorioso della cristianità
europea e nord-americana, uccisa“per estenuazione, per
insignificanza, per noia”; un’agonia non tanto della Chiesa
universale (su cui le forze avverse non prevalebunt), bensì di
quella del Vecchio continente; infine e fors’anche un’eresia o
un’apostasia inconsapevole dei cattolici nel Nord del mondo,
ormai divenuti “praticanti non credenti”. Non bastasse, poi,
ecco tre sicuri sintomi del cattivo stato di salute del
cristianesimo italiano. Uno: oggi “si registrano pochissime
conversioni”, diversamente dal passato. Due: “il calo di
vocazioni missionarie”, che presuppone “l’offuscamento delle
ragioni per cui si è cattolici”. Tre: “l’abbandono del
sacramento della penitenza, un segno chiarissimo che qualcosa
non funziona”. E non dimentichiamo il crescente analfabetismo
religioso delle giovani generazioni. Aumentano le persone che
non si riconoscono in alcuna confessione religiosa o che se ne
costruiscono una su misura. Il fenomeno non è solo italiano. In
Francia, Belgio e Olanda non va meglio. E peredippiù il clima. -
dice John Bruton, ex premier irlandese che ha partecipato alla
stesura della bozza – è che in Europa c’è una forma di
intolleranza secolare tanto forte quanto lo era l’intolleranza
religiosa in passato”.
E dunque c’è da chiedersi: saremo “noi, gli ultimi cristiani?”».
Addio valori e doveri
Guai ai vinti! Sembra di riascoltare il Vae Victis di Brenno,
gallo come Giscard d’Estaing, Presidente della commissione per
la Costituzione europea. Duemila anni di storia, con la
stragrande parte della storia dell’arte che trasuda cristianità
da tutti i pori, come a spada tratta sostenne ripetutamente un
laico come Sgarbi, di storia umana e quindi con il bene e il
male, nel cestino.
Un’Europa senza fede? Una lunga inchiesta del New York Times
sullo stato della religione in Europa è stata significativamente
intitolata “La Fede si spegne dove una volta bruciava con
vigore”.
Il New York Times attribuisce a più ragioni questa
secolarizzazione dell’Europa. Ad un moderno cinismo nei
confronti delle istituzioni e delle grandi ideologie, come
testimoniato anche dall’indebolimento della partecipazione ai
partiti e ai sindacati. All’urbanizzazione, che ha allontanato
la gente da quei luoghi quieti dove la chiesa era il centro
della piccola comunità. Alla crescente concorrenza di religioni
e di morali, che fa dire ad Enzo Bianchi, teologo cattolico, che
nell’eterogenea e spesso edonistica Europa di oggi “ci sono
sempre più etiche sul mercato”. Un’Europa laica e razionale,
così diversa da continenti come Africa, America e Asia, che
vivono invece con più passione e partecipazione la vita
religiosa.
La storia ci dice…
Se ci si ricordasse che la storia è maestra di vita varrebbe la
pena di rileggersi quel che successe all’Impero Romano. Quando
vennero meno le virtù che avevano fatto dei Romani e di Roma il
riferimento per tutto il mondo, quando arrivavano i Barbari con
la massima aspirazione di avere la cittadinanza romana per poter
dire con orgoglio “cives romanus sum”, la decadenza si affacciò
improvvisamente procedendo ad alta velocità sino all’infausto
anno 476, mentre l’Impero Romano d’Oriente riusciva a
sopravvivere per altri 1000 anni.
Esempio, di segno opposto: Venezia. Il 12 ottobre del 1492 la
scoperta dell’America e, con essa, lo spostamento radicale dei
flussi di traffico da oriente – area della Serenissima
Repubblica di San Marco - a occidente – Spagna, Inghilterra,
Portogallo, Francia, persino Olanda. Tre secoli dopo Venezia,
che non aveva riposto negli scaffali le antiche virtù,
sopravviveva ancora, e in che modo! Basta pensare a quell’opera
colossale che sono i murazzi, tra laguna e mare, realizzati
appunto nel 18° secolo, come dice una lapide tra Pellestrina e
Caroman “ausu romano, aere veneto”, e cioè con ardimento romano
e soldi veneti. Ci voleva solo Napoleone, complice la peste, a
piegare il più moderno, ancora oggi, degli Stati del pianeta con
ordinamento ancora non imitato da nessuno, l’unico circolare
quando tutti lo hanno piramidale.
Che cosa ha fatto grande, se non l’Europa che come tale non era
mai esistita, ma l’insieme di Paesi Europei?
La sua cultura, fondata sui valori. Il futuro lo si scrive
scegliendo se lasciar la via vecchia per la nuova o no.
Ma la pratica è
un’altra
La storia dunque ci dice alcune cose, ma non serve.
L’Europa è avviata non sulla strada di Venezia ma su quella
dell’Impero Romano. Questo nel 313, anno dell’Editto di
Costantino, recuperò il sostegno dei cristiani che servì ad
allungare quella che ormai era un’agonia. L’allargamento a 25
Paesi, e a una trentina tra un po’, dovrebbe non seguire
l’esempio romano, ma per farlo occorrerebbe seguire un’altra
strada.
L’Europa oggi è troppo Europa dell’economia, poco Europa della
politica, la quale a sua volta è figlia della cultura, la quale
a sua volta ancora è figlia di usi, costumi, tradizioni,
patrimonio ideale giunto a noi dalle generazioni che ci hanno
preceduto.
L’Europa oggi è troppo Europa dell’edonismo. Nella sua
evoluzione, o nella sua involuzione – dipende dai punti di vista
– c’è un ritorno al classico. Aristippo, il filosofo greco
dell’edonismo, 24 secoli fa teorizzò il bene come godimento
individuale, inteso ancora in senso abbastanza largo, come
l'appagamento di ogni desiderio o tensione dell'animo. Tutti i
piaceri sono buoni, qualunque ne sia la fonte e l'oggetto;
criterio di preferenza è solo il loro maggior grado di
raffinatezza e intensità, quale è proprio, secondo Aristippo,
dei piaceri del senso, nella immediata concretezza del momento
presente. La virtù del sapiente non è che arte del godere, ossia
di procurarsi il maggior godimento possibile, padroneggiando il
piacere e pur seguendolo come unica e suprema norma dell'agire;
il piacere è desiderabile e bene per se stesso.
Negata infatti alla conoscenza umana la possibilità di
raggiungere, oltre i fatti d'esperienza, valori d'ordine
spirituale assoluto (Dio, anima, bene, ecc.), ne consegue
logicamente l'impossibilità, o, quanto meno, l'inopportunità di
porre questi “supposti valori” a fondamento e norma della vita
morale e della felicità; ed è facile sostituire ad essi il
criterio immediato e concreto della soddisfazione, piacere,
godimento che le singole azioni sono in grado di procurare
all'individuo. Dice Viglino che l'edonismo rivive, seppure in
forme diverse, nei sistemi empirico-materialistici della
filosofia moderna, ma, quel che più conta ai fini del nostro
discorso, come metodo pratico di vita, é largamente diffuso
nella odierna società, in dipendenza anche dalla cultura
filosofica moderna in gran parte orientata verso lo scetticismo
metafisico e la negazione del trascendente.
Si allarga l'impero del
nulla
Si ricorderà il film "La storia infinita", con il regno di
Fantàsia che andava in pezzi perché si allargava l'impero del
nulla.
Guardando l'Europa, ma in definitiva tutta la cultura
occidentale, quell'immagine dal film del nulla che avanza rende
benissimo l'idea.
Non è infatti solo problema di cultura filosofica.
Per secoli e secoli ci sono stati dei punti fissi, dei
riferimenti assoluti, delle norme comportamentali precise.
Un sistema nel quale restava anche chi violava le norme.
L’immorale viola le norme della morale, consapevole o meno, ma è
e resta nel sistema. L’amorale no. L’amorale, che non si pone in
alcun modo il problema, è fuori dal sistema. Persino, come
scrisse Paolo Giovio (peraltro ricevendone una sferzante
risposta) un "tipaccio" come Pietro l'Aretino, "poeta tosco, di
tutti disse mal fuorchè di Cristo scusandosi col dir: Non lo
conosco.", persino lui era nel sistema. I suoi scritti, cose da
scandalo europeo, erano all'Indice, ma lui da potente a potente
finì poi a crogiolarsi negli splendori veneziani. Lui,
antisistema per antonomasia ma stabilmente nel sistema
nobilitando la licenziosità, rpofusa a tonnellate nelle sue
opere, con la sua altissima vena letteraria.
C'erano questi punti fissi.
Un esempio: l'indissolubilità del matrimonio. E dopo...
Era un punto fisso, per tutti.
Un sacramento per i credenti per i quali valeva, e vale ancora,
quel passo del Vangelo "Dio li creò maschio e femmina; per
questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre ed i due saranno una
carne sola. Sicchè non sono più due, ma una carne sola. L'uomo,
dunque, non separi ciò che Dio ha congiunto".
Per i non credenti anche senza riferimento sacramentale era lo
stesso. La moglie, o il marito, esclusi i casi di vedovanza era
la compagnia della vita. Qualcuno, più raramente qualcuna, si
concedeva licenze e si prendeva permessi. In qualche caso
c'erano situazioni da "separati in casa" - anche un Re d'Italia
- ma radicatissimo era il concetto di famiglia quale prima
cellula della società. Qualche eccezione c'era, in genere
confinata nella gente di spettacolo o nell'alta borghesia.
Si trattava di un punto fisso che veniva da lontano.
Ricordiamoci che Papa Clemente VII si rifiutò, per molti anni,
di annullare il matrimonio di Enrico VIII, temporaneamente
invaghitosi di Anna Bolena, con Caterina di Aragona. Anche se
c'erano altre motivazioni, specificatamente politiche, secondo
la storiografia ufficiale il Papa disse che se avesse avuto due
anime sarebbe stato il momento di perderne una, annullando il
matrimonio. Non si trattava di roba da poco visto e considerato
che il rifiuto portò allo scisma della Chiesa d'Inghilterra.
Profondi mutamenti della società non scalfirono questo principio
che si mantenne sino a non molti anni fa, sino a quando anche
nei Paesi europei che non lo prevedevano entrò a pieno titolo
negli ordinamenti l'istituto del divorzio. Al riguardo si
potrebbe discettare sugli ambienti, non certo dei ceti popolari,
nei quali si manifestava questa "esigenza" o sulla burocratica e
cervellotica involuzione, nella pratica, della Sacra Rota, ma si
dovrebbe ulteriormente allungare la presente nota.
Sta il fatto che l'effetto andò ben oltre la soluzione
pragmatica di determinate soluzioni, in una con il cambiamento
dei costumi.
Ne parliamo in chiave laica, senza riferimento agli aspetti
religiosi.
Un tempo non poi lontanissimo vedeva fra i "supremi" valori la
verginità, quella femminile s'intende, quella maschile non
venendo minimamente considerata. Ne sono segno chiaro quelle
frasi richiamate sulle camicie da notte femminili "Non lo fo per
piacer mio ma per dare un figlio al Signore Iddio". Il sesso
cioè concepito unicamente in funzione della riproduzione, dei
figli, in una concezione sessuofobica rigidissima nelle
enunciazioni e poi forzatamente tollerante nella pratica
quotidiana. Da un estremo in un tempo rapidissimo il salto
all'altro, per cui, esemplificando, nel sessantotto una ragazza,
vergine, doveva mentire sul suo stato perché confessarlo sarebbe
stato come, e peggio, di confessare di avere la pesta bubbonica.
Questione di costumi? Di "O tempora o mores!"? Alla base una
rivendicazione di pretesa "libertà", di una parità fra donna e
uomo che in realtà non c'é affatto, anche perché si arrivasse
alla vera parità sarebbe la donna a rimetterci. In realtà questo
rapido salto dal tutto rigido al tutto elastico qualche
sconquasso lo ha prodotto. Il sesso fine a se stesso é comunque
piacevole, una valutazione su cui trovare qualcuno discorde é
come cercare un ago in un pagliaio. Sicuramente però il
risultato é qualitativamente diverso se il sesso non é fine a se
stesso ma diventa strumento di sentimenti dell'uomo e della
donna.
Non é un fatto privato. Non c'é dubbio che si é fatta molta
confusione in proposito, che qualche guasto é venuto, con tante
ragazze madri per caso di un figlio senza padre o comunque di un
padre estraneo, anche con unioni, matrimoniali e no, durate se
non lo spazio di un mattino lo spazio della fiammata dei sensi.
Con altre costrette all'aborto.
E a proposito dell'aborto la definizione Pannelliana di aborto
come diritto civile, - va detto senza alcun timore di apparire
retrogradi mentre si predica un'operazione di giustizia -, é
semplicemente una enormità.
L'aborto può essere dura necessità che é cosa ben diversa da un
"diritto civile", che, nella visione indiscriminata di Pannella,
nega qualsiasi diritto del nascituro ma anche espropria del
tutto il padre, che pure qualcosa avrebbe il diritto - questo sì
- di poter dire.
I "diritti civili" e
gli oppositori "incivili"
Abbiamo toccato il punto dei cosiddetti "diritti civili". Un
discorso in apparenza libertario che in realtà nasconde una vera
e propria violenza.
Pannella, e chi come lui, ha escogitato un bel sistema per far
prevalere le sue idee. Quello che lui pensa e predica viene
accompagnato dall'attributo di "diritti civili". Chi si oppone
non ha l'attenzione riservata a chi, in democrazia, esprime le
proprie idee, anche le più storte. Chi si oppone si autoesclude.
Reazionario e retrogrado é fuori dal consorzio civile,
addirittura dalla prospettiva storica di un nuovo illuminismo,
questa volta senza rigore, fiaccato dagli ozi di Canne, che
celebra il trionfo del soggettivismo libertario sull'equilibrio
comunitario.
Una sirena
ammaliatrice, anche per Ulisse
Tutto serve, tutto spinge in un'unica direzione, tutto cospira
per il declino. Cresce una gioventù in parte notevole - a stare
ai sondaggi - senza valori di riferimento, con una bilancia che
pende e pende perché diritti e doveri non si bilanciano più. Il
diritto é gridando preteso, il dovere non solo eluso ma talvolta
neppure riconosciuto.
L'edonismo nelle sue manifestazioni é una sirena cui neppure
Ulisse, pur legato all'albero della sua nave, potrebbe
resistere.
Il consumismo ha assunto forme tali che neppure ci accorgiamo
della degenerazione progressiva. Periodicamente qualche vox
clamans in deserto cerca di richiamare l'attenzione sui consumi
di petrolio tali da portare, sia pure non a breve,
all'esaurimento. Anche chi si esprime in questi termini lo fa
considerando il petrolio come fonte di energia mentre il
discorso é molto più serio. Senza il petrolio altre forme di
produzione di energia sono possibili, persino, ai limiti, dando
novello impulso al nucleare, individuazione dei siti per le
scorie permettendo. Il petrolio però ci d° gran parte dei
materiali d'uso comune oggigiorno. Senza petrolio come si fa?
Qualcuno ha ipotizzato che si possa passare dalla tecnologia del
carbonio a quella del silicio. Tutto é possibile ma il costo
energetico sarebbe di gran lunga superiore...
Di come vadano le cose sono testimoni gli imballaggi. Vediamo
ogni giorno quanto scarto ci sia negli imballaggi dei prodotti
di consumo quotidiano che ci portiamo a casa, solo parte modesta
dei quali viene recuperata. Il consumismo si manifesta in mille
modi ed é ormai, ahimé, un ingranaggio del sistema.
Non tutto é degrado, certamente. Lo sviluppo del volontariato ad
esempio, comunque
praticato, é un elemento di speranza, ma per ora solo di
speranza in quanto sostanzialmente generosità e testimonianza
individuale, non trasferibile in fatti di governo dei processi
di sviluppo.
Ci accorgiamo che su questi aspetti ci sarebbe da dire ancora
tanto, e allora, per arrivare al finale, tronchiamo netto.
CAPO TERZO:
ECCO CHI PUO' SALVARE LA NOSTRA CULTURA
Abbiamo notato consonanze nuove, come sottolineato nei due
articoli precedenti. Ci siamo dilungati sulla posizione della
Massoneria, avendo come riferimento il Grande Oriente d'Italia -
Palazzo Giustiniani, e il suo Gran Maestro avv. Gustavo Raffi.
Abbiamo notato accenti nuovi nelle fila della Chiesa Cattolica,
fors'anco sollecitate dalla manifesta sofferenza di un grande
Pontefice che non ha lesinato e non lesina gli sforzi di fronte
al declino della Chiesa.
Ci sono le premesse per far risuonare l'antico, e mai andato in
disuso, proclama: "tutti sulle mura"?
C'é un impegno notevole davanti per chi ritiene che non si
debbano affatto lasciare andare le cose fatalisticamente, sia
per i venti che stanno soffiando sul fronte esterno sia per
l'involuzione centripeta interna.
Le idee non mancano, la consapevolezza di un domani difficile
per l'Europa ma soprattutto per la nostra cultura c'é.
Manca all'appello una presenza culturale, non politica, "da
sistema", sul versante sinistro anche se autorevoli voci
dimotrano che il problema é avvertito anche in quest'ala del
nostro scacchiere.
... (omissis) ...
a.f.
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I
precedent1 articoli, pubblicat1 sui nn. 30 e 31 (30.10.04 e
10.11.04)
30 X Chi può salvare la cultura occidentale? E se si
riuscisse a costruire un'alleanza tra Chiesa Cattolica e
Massoneria (e tra Massoneria e Chiesa Cattolica)? (PS,
precisazione doverosa: l'autore dell'articolo é in piena
capacità di intendere e volere, e non sta scherzando)
a.f.
10 XI
Chi può salvare la cultura
occidentale? Chiesa Cattolica, Massoneria e altri
-
Secondo
articolo a.f.
GdS 20 XI 04 -
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