IL JAZZ-CONCERTO, E CHE CONCERTO, A SONDRIO DEL TRIO DI ANTONIO FARAÒ
Per "Il grande jazz", il Circolo Musicale di Sondrio ha organizzato martedì 11 novembre, presso l'auditorium Torelli, un concerto con il Trio di Antonio Faraò.
I componenti del gruppo erano: Antonio Faraò al Piano, Martin Gjakonovski al basso e Gene Jackson alla batteria.
Ho avuto il piacere di conoscere Antonio Faraò tanti anni fa quando aveva poco più di vent'anni. Era già un grande jazzista e sapeva bene la direzione da seguire. Ho avuto il piacere di parlare con lui di arte, di musica in generale e di jazz in particolare. In questi tempi va molto di moda il jazzista-cabarettista, una delle poche cose che vengono veramente promosse dai "media", e quindi proporre e suonare jazz di livello è sempre più difficile. L'ultimo ventennio non ha prodotto una musica molto innovativa, ma bisogna dire che i "passi avanti" possono essere stati piccoli, ma significativi. Abbiamo la fortuna in Italia di avere alcuni musicisti di livello mondiale, come appunto Antonio Faraò e Dado Moroni, che esprimono una musica fantastica, sintetizzando tutto quello di eccellente che la musica jazz ha sin qui prodotto. Infatti, ascoltando Antonio Faraò, grazie alla sua spiccata personalità musicale e alla sua straordinaria tecnica pianistica, si sente anche la proposizione artistica dei grandi che l'hanno preceduto; così hanno fatto i grandi geni della musica romantica. E questa è la "strada" per portare avanti l'arte della musica jazz e continuare a farla vivere di luce propria.
Il trio ha subito inanellato una serie di standard per la gioia dei numerosi musicisti e jazzofili presenti: da "All the thinks you are" a "Autumn leaves" e "'Round midnight". Queste sono musiche con costrutti armonici complessi, difficili da riarmonizzare e improvvisare, ma Antonio Faraò ha esposto le melodie e rivoltato le armonie con la maestria e l'arte del grande musicista.
Magari non c'era bisogno, ma fa sempre piacere a tutti riuscire a seguire il lirismo di una canzone e riuscire a seguirne i processi dell'improvvisazione.
Il bassista del trio è Martin Gjakonovski, conosciuto dai jazzisti italiani come "il macedone" per la sua patria natia, ma vive da molti anni a Colonia, in Germania. E' un componente essenziale dei gruppi di Faraò ormai da molti anni, ancor prima che Antonio che incidesse "Far out" con il compianto Bob Berg. Martin è uno di quei bassisti che tutti vorrebbero avere: note precise con suono intenso, sempre a tempo, linee di basso che aiutano il solista e una grande arte improvvisativa. Gjakonovski si è trovato benissimo con il grandissimo batterista Gene Jackson tanto da costituire una ritmica eccellente di supporto e stimolo per il grande pianista. I Musicisti di jazz di tutto il mondo conoscono ed ammirano il talento espressivo e le prestazioni del batterista Gene Jackson. Se da un lato, Roy Haynes, Philly Joe Jones, Elvin Jones, Billy Higgins, Tony Williams, che sono i batteristi che lo hanno influenzato, hanno colpito il pubblico con il loro "drumming" particolare, Jackson ha uno stile che può cambiare in base a ciò che genera la musica che sta suonando. La sua capacità di amalgamare generi diversi, dal latino ai ritmi africani, ha offerto a Jackson la possibilità di essere raccomandato da decine di eminenti musicisti, sin dalla sua carriera, decollata 15 anni fa. Nel 1996 è stato inserito nel trio e quartetto del grandissimo Herbie Hancock e quindi nel gruppo più amato nel mondo della musica jazz. Ha suonato con W. Shorter, Dave Holland in questo gruppo per anni e ancora adesso è il batterista di Hancock.
Il suo "drumming", che avevo conosciuto solo attraverso i dischi, mi ha veramente impressionato per la varietà delle soluzioni ritmiche, sempre al servizio del solista. Lo swing è impressionante sia quando suona con le bacchette che quando suona le spazzole; i suoi "breck" sono perfetti, eseguiti con straordinaria tecnica, ma anche trascinanti ed entusiasmanti.
E' stato un concerto da annotare per la brillantezza e la perfezione degli strumentisti, ma anche per la proposizione di improvvisazioni veramente innovative che solo jazzisti di questi livelli possono esporre.
Chicco Cotelli