VIOLENZA: LA LIBERTA' NEGATA

Giovani e violenza - Conosco mio figlio? - Comportamento frutto dell'educazione - La mancanza di una cultura del limite - Fai ciò che vuoi... - Libertà - Spinti a credere di essere soli -


Pubblichiamo la relazione di Carlo Climati al congresso:
"Violenza: la libertà negata. Un patto educativo per il
rinnovamento della società odierna" (Firenze, 17 Marzo 2002).
Organizzato da: A.Ge. (Associazione Genitori) di Firenze,
M.I.E.A.C. Movimento di impegno educativo di Azione Cattolica,
A.Ge. (Associazione Genitori) di Prato, con il patrocinio di:
Regione Toscana, Arcidiocesi di Firenze, Ufficio Scolastico Re
gionale
per la Toscana - MIUR

GIOVANI
E VIOLENZA
Negli ultimi mesi, i giornali hanno dato spesso notizia di
episodi di

violenza con protagonisti dei giovani. A questi fatti si
aggiungono, poi, i

vari casi di suicidio, di droga, le morti del sabato sera e
tanti altri

fenomeni che destano stupore.

Alcuni episodi particolarmente sconvolgenti, come l'omicidio di
Novi

Ligure, hanno generato nei genitori nuove forme di
preoccupazione e tanti

interrogativi. Lo dico per esperienza personale.

Sono un giornalista che si divide tra la vita professionale e
un'attività

di volontariato che svolgo, da alcuni anni, a stretto contatto
con i giovani.

Negli ultimi mesi mi è capitato spesso di incontrare genitori
che mi hanno

chiesto: "Che cosa sta succedendo? Perché accadono certe cose?".

CONOCO
MIO FIGLIO?
A volte, mi vengono poste domande del tipo: "Ma io conosco
veramente mio
figlio? Potrebbe succedere anche a me quello che è successo a
Novi Ligure?"

E ancora: "Perché mio figlio si comporta così? Perché il sabato
sparisce

per andare in discoteca? Io ho fatto di tutto per lui, e perché
lui mi

ripaga in questo modo?"

Ci sono nuovi interrogativi e nuove preoccupazioni, ai quali
bisogna dare

delle risposte. E dobbiamo provare a farlo senza cadere nella
trappola

della "giovanologia", in quello stile freddo e distaccato di chi
studia i

giovani dall'alto di una cattedra, senza mai scendere tra di
loro. Dobbiamo

farlo ricordando i tanti problemi che i giovani incontrano
nell'avvicinarsi

alla vita. Non dobbiamo dimenticare il loro desiderio di
giustizia, il loro

entusiasmo, la loro voglia di fare del bene che spesso si
scontra con una

società dominata dai compromessi. Una società in cui sembrano
vincere

soltanto i più furbi e i più forti.

Spesso i ragazzi provano una sensazione di smarrimento, di
impotenza nei

confronti della vita, che fu descritta così bene dal cantautore
Luigi Tenco

in una sua canzone: "Non saper fare niente in un mondo che sa
tutto".


COMPORTAMENTO FRUTTO DELL'EDUCAZIONE
Fatta questa premessa, una prima considerazione da fare è che il

comportamento dei giovani è sempre il frutto di un'educazione. I
bambini, e

i giovani, sono dei "contenitori vuoti", che vengono riempiti, a
poco a

poco, con i messaggi che ricevono nel corso della propria
esistenza.

Un tempo l'educazione era il frutto di pochi maestri: i
genitori, gli

educatori della scuola e gli educatori religiosi. Era
un'educazione più

controllata.

Oggi, nell'educazione, c'è concorrenza. I ragazzi sono
"educati", anche,

dalla televisione, da Internet, dai testi delle canzoni, da
certe riviste

per adolescenti. Sono bombardati da messaggi che contribuiscono
a creare

conflitti e stati di disagio.

Bisogna, poi, considerare il fenomeno delle "nuove solitudini".
Ad esempio,

la solitudine di chi naviga su Internet, per ore, davanti ad un
computer.

Oppure, la solitudine di chi ha il televisore nella propria
cameretta.

Quando si è soli, è molto più facile essere "comprati",
schiavizzati,

strumentalizzati, indottrinati.

La differenza tra l'educazione di una volta (quella della
famiglia, della

scuola e della parrocchia) e quella di oggi è che la prima era

un'educazione dettata dall'amore, dall'affetto, dal sincero
interesse alla

felicità dei giovani. Era un'educazione "corale", a più voci, ma
basata su

valori forti e precisi.

L'educazione di oggi, invece, è un'educazione che, nella maggior
parte dei

casi, si basa su interessi commerciali. E' l'educazione che
arriva da

Internet, dalla tv, dalla discoteca, dalla musica, dalle riviste
per

bambini ed adolescenti.

Anche questa è un'educazione "corale". Ma si tratta di un coro
stonato, in

cui ogni voce sembra andare per conto suo, generando confusione.

Molti programmi televisivi non puntano ad educare. Puntano a
vendere. E lo

stesso accade con certe letture. Puntano a vendere. Lo stesso
accade con

certi cantanti ai quali interessa semplicemente fare soldi e
finire sulle

pagine dei giornali.

LA
MANCANZA DI UNA CULTURA DEL LIMITE
La differenza tra l'educazione d'amore di ieri e l'educazione
commerciale

di oggi si può riassumere in un problema fondamentale: la
mancanza di una
cultura del limite.

La cultura del limite, che deve essere alla base di ogni
autentica civiltà,

si basa su due elementi fondamentali. Prima di tutto: la
consapevolezza di

avere dei limiti. Capire che siamo degli esseri umani, limitati,
e che non

possiamo avere tutto o fare tutto.

L'altro aspetto fondamentale è la volontà di non superare i
limiti, intesi

come regole della vita. La necessità di avere dei confini, oltre
i quali

può essere pericoloso avventurarsi.

L'educazione d'amore è quella che propone dei limiti, delle
regole, dei

"no". Inizialmente può sembrare meno simpatica e meno gradita,
ma a lungo
andare si rivela vincente.

L'educazione commerciale è un'educazione "senza no". E' quella
che spinge a
fare "ciò che si vuole" e a non avere più limiti. I giovani sono

considerati dei bidoni aspiratutto, delle "macchinette
fabbricasoldi". E

quindi, li si riempie di messaggi di ogni genere, che hanno il
solo scopo

di vendere dei prodotti.

Alcune emittenti televisive hanno la cattiva abitudine di
trasmettere gli

spot pubblicitari ad un volume più alto rispetto al programma o
al film in

cui sono inseriti. Si tratta di un trucco per richiamare
l'attenzione del

telespettatore sui prodotti reclamizzati. Ma è anche una triste
metafora di

ciò che accade realmente in televisione.

Sembra quasi che lo spot, alzando la voce, voglia gridare al
pubblico:

"Sono io che comando. Sono io il padrone. Tutto il resto non
conta".

L'educazione "commerciale" genera nei giovani un continuo
bisogno e

l'aspirazione ad assomigliare a dei modelli spudoratamente falsi
ed

ingannevoli.

La conseguenza è che non esiste più la "cultura del limite" e la
sana

consapevolezza dei propri limiti. Per esistere ed essere
"qualcuno",

bisogna aspirare a raggiungere certi falsi modelli prodotti dai
mass media.

Pensiamo, ad esempio, a quegli spot dove genitori e figli fanno
colazione

nelle loro bellissime case. Sono veramente irreali!

Innanzi tutto, osserviamo l'aspetto dei protagonisti. Il papà è
un fusto

tremendo, muscoloso, atletico, abbronzato al punto giusto. La
mamma è

sempre truccata e perfettamente pettinata. Sembra appena uscita
dal

parrucchiere (alle sette del mattino).

E i figli? Sono anormali. Ragazzi svegli e scattanti, che non
vedono l'ora

d'andare a scuola. Si intrattengono con i genitori in
conversazioni

noiosissime sui "valori nutritivi" di biscotti, ciambelle e
merendine.

Questo genere di famiglia è spudoratamente falso, ed è il tipico
quadretto

che ci viene proposto dagli spot pubblicitari. Una famiglia
bellissima e

perfetta, che ha sempre due ore di tempo per fare colazione e
nessuna

fretta di correre incontro agli impegni della giornata.

E' una famiglia senza limiti. Senza cultura del limite. E chi
non ce l'ha,

non è bravo.

Vi siete mai chiesti perché ci propongono questo tipo di
immagini? Perché

vogliono farci sentire perennemente insoddisfatti. Il mondo
della

pubblicità ci mostra sempre dei modelli di perfezione assoluta,
che

dovrebbero rappresentare i nostri illimitati punti d'arrivo.

Lo scopo è quello di creare in noi un continuo stato di bisogno,
di

desiderio, di aspirazione a comprare, nell'illusione di riuscire
ad

assomigliare, un giorno, ai modelli irreali della tv.

Oltre a questo, vi invito a fare caso ad un termine che viene
spesso

utilizzato per definire tutti noi. Questo termine è
"consumatore". Una

parola orribile, che racchiude la triste funzione assegnataci
dal mondo

della pubblicità: consumare, divorare, masticare, comprare.
Insomma:

spendere tanti soldi.

Questi sono i rischi dell'educazione commerciale, che vede nei
giovani

semplicemente dei "consumatori". Ed è l'educazione che si pone
in

concorrenza con la famiglia, oggi.

FAI CIO'
CHE VUOI...


L'altro aspetto importante da considerare è quello del "Fai ciò
che vuoi".

I giovani sono spesso invitati a vivere all'insegna di questo
imperativo:

"Puoi fare ciò che vuoi".

Spesso sono gli stessi genitori a proporre ai figli questo tipo
di

insegnamento. Quante volte sentiamo dire: "Io lo lascio libero,
deciderà

lui quando sarà maggiorenne...". Oppure: "Non voglio
condizionarlo, deve

essere lui a scegliere liberamente".

Tutto questo può sembrare, apparentemente, un'opportunità. E
forse lo

sarebbe, se vivessimo in un mondo più sano. Ma i bambini, e i
giovani,

devono necessariamente fare i conti con il bombardamento di
messaggi di cui parlavamo prima: l'educazione commerciale che li
vede solo come

"macchinette fabbricasoldi".

LIBERTA'
Libertà. Oggi si fa un grande uso di questa parola. Nel corso
della storia,

tante persone hanno dato la vita per la libertà. Si tratta,
quindi, di una

parola che suscita grandi emozioni tra i giovani.

Oggi, purtroppo, questo termine viene utilizzato per indicare
sentimenti

decisamente meno nobili. Per "libertà", infatti, si intende la
"libertà di

fare tutto": il "Fai ciò che vuoi" .

In realtà, la vera libertà esiste quando l'uomo comprende il
valore della

"cultura del limite". Per essere davvero liberi è necessario
porre dei

confini morali alle proprie azioni. Altrimenti, tutto diventa
lecito:

droga, egoismo, ricerca del potere e del denaro. Non c'è più
rispetto per

sé stessi e per il prossimo.

Per giustificare certi comportamenti negativi viene utilizzata
un'altra

parola-trappola molto popolare: "libertà di scelta".

Oggi si sente spesso dire che drogarsi è una "scelta", abortire
è una

"scelta", suicidarsi è una "scelta". Con la scusa della
"scelta", ci si

sente autorizzati a compiere il male. Ma forse, sarebbe il caso
di spiegare

ai giovani che non siamo soli. Che le nostre "scelte" sono
legate alla vita

di tanti altri esseri umani.

Ce lo ha fatto capire, tanti anni fa, il regista Frank Capra,
con

un'immagine molto bella del film "La vita è meravigliosa", dove
un angelo

mostra ad un uomo come sarebbe stata la vita della sua città se
lui non

fosse mai nato: "La vita di un uomo è legata a quella di tanti
altri

uomini. E quando quest'uomo non esiste, lascia un vuoto".

E' questo che bisogna ricordare ai ragazzi. Che non siamo soli.
E che ogni

nostra "scelta" può condizionare e determinare la vita degli
altri.

L'invito "Fai ciò che vuoi" non può che trasformarsi in un
invito al nulla.

Se non esistono limiti o regole precise, si finisce
necessariamente sulla

strada del nichilismo. Il bene e il male si confondono in un
unico

calderone. L'uomo si sceglie le regole che più gli fanno comodo,
inseguendo

i suoi egoistici desideri.

SPINTI A
CREDERE DI ESSERE SOLI
Oggi i ragazzi sono quasi SPINTI a credere di essere soli. E
questo, ormai,

accade fin dall'infanzia. Lo stesso modo di giocare è cambiato e
SPINGE a

non porsi più in relazione con gli altri.

Si è soli davanti ad un computer, quando si naviga su Internet.
Ma si è

soli, soprattutto, con i videogiochi. L'uso dei videogiochi si
diffonde

sempre di più tra i bambini e i giovani di tutto il mondo. Allo
stesso

tempo, sembra scomparire l'antica cultura del cortile e della
piazza,

luoghi all'aperto in cui i bambini praticavano tradizionali
giochi di

gruppo, più allegri e creativi. Giochi con delle regole, con dei
limiti ben

precisi.

Il videogioco (in inglese "videogame") non è altro che un
miscuglio di

suoni, rumori, musiche ed immagini che bombardano i giovani
dallo schermo
del computer. Chi ne fa uso non compie alcun tipo d'attività
creativa. Si
limita semplicemente a subire ciò che il gioco gli propone, per
mettere
alla prova le proprie capacità. Si tratta di una continua sfida
contro sé
stessi e contro i "nemici" che compaiono sullo schermo.

Mi ha colpito molto una pubblicità presente in una guida per
videogiochi,

in cui si legge l'invito: "Butta il secchiello... Abbiamo un
gioco più

bello", accompagnato dalle immagini di sei videogames.

Questa guida è stata venduta durante la stagione estiva, in cui
i bambini

usano la paletta e il secchiello per costruire castelli di
sabbia sulla

spiaggia. La pubblicità invita a sostituire il secchiello,
simbolo di

fantasiosi giochi di mare, con i videogames. Tutto questo è
molto triste, e

rappresenta la morte della creatività.

Ma il dramma non sta solo nell'addio al secchiello, al cortile e
ai

castelli di sabbia. C'è un problema di contenuti.

I giochi del cortile ponevano costantemente in contatto con gli
altri. Ci

ricordavano che esistevano gli altri. Ed avevano delle regole
precise.

Regole e limiti.

In molti videogiochi, invece, l'idea del limite non esiste più.
Il bene si

confonde completamente con il male. Non esistono più regole o
freni morali.

L'eroe positivo diventa crudele come i suoi avversari negativi.
Utilizza i

loro stessi metodi sanguinari. Di conseguenza, il ragazzo che
interpreta la

parte del "buono" si ritrova a comportarsi come un "cattivo".

La vita, però, non è un videogioco. Il videogame, una volta
concluso, si

può spegnere e riaccendere, per poi ricominciare da capo. I
personaggi

uccisi tornano miracolosamente in vita e sono pronti nuovamente
a combattere.

Nella vita reale, invece, se io uccido una persona, la cancello
per sempre.

Non ho la possibilità di "spegnerla" e "riaccenderla", come un
videogioco.

Un mio gesto può avere conseguenze terribili, alle quali non
potrò più

porre rimedio.

Lo stesso tipo di non-cultura lo ritroviamo in molti film e
telefilm, dove

buoni e cattivi uccidono e torturano con la stessa crudeltà, per

raggiungere i propri obiettivi.

Vorrei tornare, solo per un attimo, al problema dei bambini e
dei giovani

spinti a credere di essere soli. Questo tipo di non-cultura è
presente

anche in molti cartoni animati giapponesi, dove i protagonisti
sono quasi

sempre dei ragazzi soli, impegnati in continue sfide. Sfide
senza limiti,

all'insegna della pura competitività.

C'ERA
WALT DISNEY


Tutto questo è molto diverso dall'antica cultura dei cartoni
animati

Disney, in cui vince l'idea della coralità e dove gli obiettivi
della vita

si raggiungono grazie al gioco di squadra. Pensiamo, ad esempio,
a

Cenerentola, che è sempre circondata da un gruppo di allegri
topini. Il suo

successo finale sarà anche il frutto di questi amici che l'hanno
aiutata a

superare i momenti difficili e con i quali si è costantemente
confrontata.

Non si è confrontata con un computer.

Inoltre, Cenerentola conosceva i propri limiti. E li viveva con
pazienza ed

umiltà.Tutti questi esempi che abbiamo fatto ci aiutano a
comprendere

quanto sia importante la cultura del limite. Sia per comprendere
i propri

limiti (e non aspirare ai modelli pubblicitari), sia per non
superare

limiti che potrebbero condurre su strade pericolose.

Come dicevo all'inizio, ho alcuni anni di esperienza nel
volontariato con i

giovani. E credo che sia importante non essere pessimisti. I
giovani

cercano ed hanno bisogno di punti di riferimento precisi.
Soltanto

apparentemente sembrano cercare la vita spericolata e il "Fai
ciò che

vuoi". Ma in realtà non desiderano altro che ritrovare valori
forti, buoni

maestri, indicazioni di percorsi da seguire.

Per fare questo, innanzi tutto, bisogna essere degli educatori
credibili. E

dopo, bisogna impegnarsi per offrire ai giovani gli strumenti
per capire,

per interpretare i messaggi che ricevono. Bisogna aiutarli a non
bere tutto

passivamente.

Alcune persone rimangono senza parole di fronte alla brutalità
di omicidi

come quello di Novi Ligure. Quando accadono episodi del genere,
è facile

esibirsi in commenti negativi sul vuoto di valori delle nuove
generazioni.

Ma lamentarsi serve a poco. E' necessario, invece, rimboccarsi
le maniche

ed impegnarsi affinché certe cose non accadano più.

IN
ATTESA DI ESSERE AMATI


Una splendida preghiera di Sant'Ambrogio, dice: "Vieni, Signore
Gesù,

ricerca la tua pecora spossata; vieni pastore: la tua pecora si
è smarrita.

Vieni senza cani, vieni senza cattivi guardiani, vieni senza il
mercenario,

vieni senza aiutanti e non inviare messaggeri: io aspetto ormai
che venga

tu in persona".

Tanti ragazzi, apparentemente trasgressivi e violenti, attendono
soltanto

di essere amati da qualcuno. Qualcuno che li capisca, li ascolti
e li

abbracci. E che li venga a cercare "senza cani" e "senza cattivi
guardiani".

Vorrei concludere, a questo proposito, raccontando una storia
bella, che

può donare speranza a tutti noi. E' la storia di una ragazza
americana di

diciassette anni: Cassie Bernall.

Questa ragazza è passata attraverso varie esperienze di
trasgressione, come
l'autolesionismo e il consumo di alcolici. Era ossessionata
dalla morte e
dai vampiri. Amava la musica satanica di Marilyn Manson, ed
aveva perfino
progettato di uccidere i suoi genitori.

A un certo punto, però, la vita di Cassie cambiò radicalmente.
Iniziò a

frequentare un gruppo cristiano di giovani e si innamorò di Gesù.
Il

Vangelo, nel suo cuore, prese il posto di Marilyn Manson e
cancellò

completamente il passato.

Fu così che Cassie, appena diciassettenne, cominciò a portare
ovunque la

sua testimonianza di fede. Fino al giorno della sua morte,
avvenuta in modo
tragico il 20 aprile 1999.

Quella mattina, due ragazzi armati entrarono nella sua scuola, a
Littleton

(Colorado), ed uccisero tredici persone, tra studenti ed
insegnanti.

Fu una strage di matrice anticristiana. Non a caso, prima di
uccidere

Cassie, i due ragazzi le chiesero: "Tu credi in Dio?". Lei
rispose: "Sì". E

allora, le spararono.

Forse, se avesse detto di no, l'avrebbero risparmiata. Ma
attraverso quel

"sì", Cassie aveva voluto dare testimonianza del suo coraggio e
della sua

fede. Oggi, infatti, tutti la ricordano come "la martire di
Littleton".

Un giornalista del "Chicago Tribune" ha scritto che Cassie "fu
messa alla

prova e giustiziata da un compagno che rappresentava una cultura
giovanile

di violenza e di morte". La stessa cultura di morte che Cassie
aveva

sposato e poi abbandonato, nel nome del Vangelo.

Questo episodio rappresenta un grande segno di speranza per
tutti. E' la

prova che i giovani possono uscire dalle esperienze negative ed
arrivare,

addirittura, a dare la vita per un ideale importante.

"Prima di essere una martire, Cassie è stata un'adolescente", ha
scritto

Misty Bernall, la mamma di Cassie, nel suo libro "Cassie B.
L'istante di un

sì", dedicato alla figlia uccisa. In queste semplici, ma
illuminanti parole

possiamo trovare la chiave di lettura di certi nostri dubbi e
preoccupazioni.

I ragazzi, a volte, possono fare delle cose sgradevoli ed
abbracciare

ideologie di violenza e di morte. Ma non sono cattivi. Non lo
sono mai.

Devono soltanto ritrovare la via di casa, nel difficile
labirinto della vita.
Carlo Climati

(x) Carlo Climati è Responsabile della
comunicazione dell'Ateneo Pontificio

Regina Apostolorum di Roma.

Il suo ultimo libro è: "I giovani e l'esoterismo" (edizioni
Paoline).

Sito Internet: http://www.carloclimati.com

Tel. 06 88642549 - Cell. 349 7322509.



GdS - 15 III 2002

Carlo Climati (x)
Fatti dello Spirito