SCALABRINI LA RISPOSTA CRISTIANA

diBeppe Del Colle

Padre degli emigranti ma anche apostolo della carità e del
catechismo, prima da sacerdote e poi da vescovo, seppe trovare
soluzioni concrete e profondamente ispirate al Vangelo ai
problemi del suo tempo, soprattutto a quelli dei poveri. E
scosse la Chiesa esortandola a «uscire dal tempio».

Indiscutibilmente: padre degli emigranti. Però anche
(altrettanto

indiscutibilmente): apostolo del catechismo e della carità;
vescovo infaticabile; riformatore del clero; consigliere di tre
Papi; amico di santi e beati come don Bosco, madre Cabrini, don
Orione, don Guanella; oratore seducente, capace di tenere 340
discorsi in 100 giorni; brillante scrittore e polemista, autore
di 60 lettere pastorali e di dirompenti opuscoli di carattere
sociale (un quotidiano lo ha addirittura definito in questi
giorni «precursore della moderna sociologia»).


E, ancora, promotore dell'iniziativa politica dei cattolici e
acuto mediatore dei conflitti nella Chiesa italiana al tempo
della Questione romana (tomisti contro rosminiani, intransigenti
contro conciliatoristi).

Come non bastasse, suscitatore di iniziative a favore delle
mondariso, dei sordomuti, dei terremotati, degli operai, dei
carcerati; pronto a vendere anche la camicia ' letteralmente,
dovettero chiudergli a chiave l'armadio '

pur di aiutare le vittime di una carestia, comprese, in gran
segreto, le famiglie dei nobili decaduti; decorato di medaglia
al valor civile per essersi prodigato di persona nella cura dei
colerosi...


Il 9 novembre quest'uomo ben difficile da chiudere in una
biografia,

Giovanni Battista Scalabrini, viene proclamato beato in San
Pietro. Il Decreto con cui il 16 marzo del 1986 la Congregazione
per le cause dei santi riconobbe l'eroicità delle sue virtù così
riassume l'origine religiosa della sua opera: «La sua
spiritualità consistette nel voler riprodurre in sé l'immagine
di Cristo (...) secondo il principio teologico di san Paolo:
"Sono crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma
Cristo vive in me" (Gal 2,20)».


Questo va detto subito, per evitare che passi l'immagine di uno Scalabrini semplice per quanto efficientissimo filantropo,
figlio naturale di un tempo in cui la filantropia era
l'etichetta, sia pur nobile, con cui il positivismo, il
socialismo, l'idea del Progresso incontenibile dell'Uomo si
piegavano sulla sorte dei poveri, della classe operaia, dei
contadini vittime delle gigantesche trasformazioni sociali, a
cui tutti costoro cercavano di sfuggire lasciando l'Europa per
le Americhe.


Scalabrini fu la risposta intimamente, totalmente cristiana ai
mali del suo tempo. Senza l'immedesimazione nel Cristo
crocifisso le sue opere e i suoi giorni sarebbero del tutto
inspiegabili, poiché davvero egli sembra aver vissuto molte vite
in una. Nato l'8 luglio 1839 a Fino Mornasco, sulla strada fra
Milano e Como, terzo di otto figli di una coppia di negozianti
di vini, frequentò il ginnasio-liceo Volta di Como e a diciotto
anni sentì la vocazione al sacerdozio. Entrò nel seminario
minore di Sant'Abbondio e vi divenne facilmente un leader, negli
studi come nelle amicizie. Ordinato sacerdote il 30 maggio 1863,
chiese al vescovo Marzorati di poter entrare nei missionari del
Pime, ma il presule gli rispose: «Le vostre Indie sono
l'Italia», e lo nominò vicerettore (e quattro anni più tardi
rettore) del seminario.


Il 12 maggio 1870 (l'anno della "presa di Roma") don Scalabrini
viene nominato parroco di San Bartolomeo in Como e comincia per
lui la grande stagione delle opere, spirituali e materiali. Si
dedica innanzitutto alla diffusione della Parola di Dio dal
pulpito e con la catechesi dei bambini.

Fonda un asilo, che affida alla sorella Luisa (rimasta vedova),
e un oratorio per i ragazzi; compone un Piccolo catechismo che
gli vale l'invito da parte del vescovo a stendere un «progetto
per l'impianto delle scuole della Dottrina cristiana nella
diocesi di Como». Diventa popolare fra i parrocchiani perché
gira per il quartiere operaio, va a conoscere direttamente la
loro vita di tessitori di seta, soffre con loro le perdite del
lavoro nei tempi di crisi.


Nello stesso tempo studia la vita della Chiesa, medita sul
Concilio Vaticano interrotto dalla "usurpazione" del papato da
parte del Regno d'Italia, e il vescovo gli chiede nel 1872 di
tenere undici conferenze nel Duomo comasco sui risultati del
Concilio che aveva appena definito il dogma dell'infallibilità.
La fama si sparge, le conferenze vengono stampate l'anno dopo,
una copia arriva sullo scrittoio di Pio IX, contemporaneamente a
due "raccomandazioni": don Bosco e il vescovo di Pavia,
Parocchi, suggeriscono al Papa di nominare quel giovane prete
vescovo di Piacenza.


È così che a 36 anni Giovanni Battista Scalabrini si vede
affidare un compito al quale è preparato. Lo si capisce dalla
prima lettera pastorale, nella quale dichiara il suo programma:
«Quanto a me, debitore a tutti, secondo le mie forze, tutti
abbraccerò col mio ministero facendomi servo di tutti per l'evangelio, e inviato in prima ai poveri e ai più infelici che
traggono miseramente la vita nella desolazione, soffrirò con
essi, dando l'opera soprattutto a sovvenire ed evangelizzare i
poveri». La diocesi conta 365 parrocchie e il nuovo vescovo
comincia a visitarle tutte, sull'esempio di san Carlo Borromeo.
Lo farà ben cinque volte in trent'anni, fino alla vigilia della
morte. Dal punto di vista religioso, si rende conto che le cose
non vanno bene, né fra i preti, né fra i laici. Per i primi,
aggiorna il corso degli studi, detta regole più severe per la
selezione dei seminaristi, reintroduce l'obbligo degli esercizi
spirituali annuali e gli incontri periodici sulla morale. Indìce
fra il '79 e il '99 tre Sinodi diocesani (sulla riforma della
vita diocesana, la catechesi e la predicazione, l'Eucaristia).


Per i laici organizza una vera e propria rivoluzione nel metodo
e negli strumenti della catechesi. Chiede che in ogni parrocchia
nasca una Compagnia della Dottrina cristiana, pubblica nel 1876
la prima rivista catechistica italiana (il Catechista cattolico)
e nel 1877 il volume Il catechismo cattolico. Considerazioni,
che riceve l'elogio del nuovo Papa, Leone XIII. Nel 1889 convoca
a Piacenza il primo Congresso catechistico nazionale, con
l'adesione di 10 cardinali, 25 arcivescovi e 84 vescovi, fra i
quali Giuseppe Sarto, futuro Pio X.


Ma dove le cose vanno decisamente male è sul piano sociale.
Visitando le sue parrocchie, che si trovano in maggioranza sulle
montagne dell'Appennino, il vescovo Scalabrini scopre che
l'undici per cento della popolazione è emigrato, soprattutto
nelle Americhe. Negli ultimi decenni dell'Ottocento l'Italia
unita è un Paese in preda a una gravissima crisi produttiva. Il
Governo non bada che all'equilibrio del bilancio e da un lato è
ben contento che la gente senza lavoro emigri, dal l'altro non
fa nulla per migliorare la condizione di quanti se ne vanno, per
non esasperare i proprietari terrieri i quali nell'emigrazione
non sanno vedere nient'altro che la fuga di braccia.


Scalabrini si batte perché la Chiesa scenda sul terreno sociale
e scrive ai suoi preti: «Un cattolicesimo speculativo e
neutrale, mentre in seno alla società si agitano e si dibattono
con calore le più vitali questioni, è un assurdo, una specie di
tradimento. Ai nostri giorni è quasi impossibile ricondurre la
classe operaia alla Chiesa, se non manteniamo con essa una
relazione continua fuori della Chiesa. Dobbiamo uscire dal
tempio...».


Allo spirare del secolo, dopo le tragiche giornate del 1898 a
Milano e un po' dappertutto, pubblica Il Socialismo e l'azione
del clero, in cui polemizza lucidamente con le teorie di
sinistra, a cominciare dal marxismo che mostra di conoscere
bene, ma dichiara che bisogna «combattere il socialismo con un
altro socialismo», una grande apertura della Chiesa sul piano
sociale, secondo le indicazioni della Rerum Novarum di Leone
XIII.


Un giorno, alla stazione di Milano, assiste alla partenza di
alcune centinaia di emigranti. Ne rimane sconvolto. Conosce i
termini del

problema: in un opuscolo pubblicato nel 1887 con il titolo
L'emigrazione italiana in America. Osservazioni, pubblica i dati
governativi da cui risulta che negli ultimi undici anni sono
partiti dall'Italia un milione e mezzo di persone. L'emigrazione
non è, in sé, un male. Scalabrini la situa in un'ottica biblica,
la vede come una parte del disegno di Dio volto a creare sulla
Terra una sola, grande famiglia umana. Ma non si inganna sulla

realtà: denuncia le condizioni disumane in cui si svolge, indica
le pesanti responsabilità dei «sensali di carne umana», nuovi
schiavisti che la legge considera «agenti di emigrazione» e non
ostacola, mentre, secondo il vescovo, lo Stato dovrebbe tutelare
«la libertà di emigrare, non di far emigrare». Riesce infine,
nel 1901, a ottenere una legge sull'emigrazione che corrisponde
ai suoi desideri.


Sul piano religioso, egli osserva quanto facilmente e quanto
presto, non per colpa loro, gli emigrati perdano ogni contatto
con la Chiesa. Questa preoccupazione diventa in lui assillante e
angosciosa. Ma non lo paralizza.

Come è nella sua natura, Scalabrini reagisce con le opere: nel
1887 dà vita alla Congregazione dei Missionari di San Carlo (poi
chiamati

"scalabriniani") composta di sacerdoti impegnati con un
giuramento al servizio degli emigranti; negli anni successivi,
mentre la Congregazione cresce fra molte difficoltà negli Stati
Uniti e in Brasile, egli chiederà e otterrà dalla Santa Sede per
i suoi preti una consacrazione religiosa definitiva, mediante i
voti perpetui.


Nell'89 crea la "Società San Raffaele", composta prevalentemente
di laici, per l'assistenza agli emigranti nei porti di partenza
e di arrivo; e nel

'95 fonda il ramo femminile della Congregazione, della cui prima
superiora generale, madre Assunta Marchetti, è stata introdotta
la causa di beatificazione. Nel frattempo gira in lungo e in
largo l'Italia per tenere conferenze, suscitare energie. Nel
1901 visita i suoi missionari negli Stati Uniti, sparsi ormai in
decine di case, e si fa ricevere dal presidente americano Theodore Roosevelt; tre anni dopo compie un viaggio analogo in
Brasile.


Quando rientra in Italia è stremato dalla stanchezza ( «sono
stanco fino a morirne», dirà a un amico). Nonostante questo
propone con un "memoriale"

alla Santa Sede il progetto di una Commissione centrale per gli
emigrati cattolici non solo italiani, e prepara una sesta visita
pastorale alla diocesi.


Non ci riuscirà. Muore il 1° giugno del 1905, giovedì
dell'Ascensione di nostro Signore. Nell'estrema agonia lo
sentiranno gridare: «I miei preti, dove sono i miei preti'
Lasciateli entrare».

Beppe Del Colle


IL SANTO DEL GIORNO:
Giovanni Battista Scalabrini

La sua filosofia di vita era «darsi tutto a tutti». E dalla sua
esperienza nacque una congregazione missionarie tra le più
conosciute. Giovanni Battista Scalabrini, nato a Fino Mornasco
nel 1839, divenne rettore del seminario, insegnante e parroco in
una zona operaia di Como. Nel 1876, a soli 37 anni, fu chiamato
alla cattedra episcopale di Piacenza. In trent'anni di
apostolato indirizzò alla comunità ben 72 lettere pastorali e
visitò per ben cinque volte le 365 parrocchie della diocesi. Era
l'epoca di migrazioni verso le Americhe e lui non poté restare
insensibile.

Impressionato dalla folla che un giorno vide partire dalla
stazione di Milano iniziò a sensibilizzare le persone verso
questo problema. Per la cura pastorale e l'aiuto concreto alla
dura condizione degli emigranti sorse, dunque, nel 1887, la
Congregazione dei Missionari di San Carlo. Il fondatore morì nel
1905 ed è beato dal 1997. (Gianni Santamaria)



GdS - 20 XI 2004 -
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Beppe Del Colle
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