La predica che dovrebbero fare i sacerdoti
Un tempo a scuola era di
prammatica misurarsi con la traduzione di alcuni brani di
letteratura latina. C'erano le Catlinarie, il De Bello Gallico e
tante altre cose. Fra queste l'apologo di Apelle. Guardando il
quadro del sommo artista un ciabattino osservò che i calzari non
erano fatti a regola d'arte. Apelle provvide. Il ciabattino
volle insistere con un'osservazione su un'altra parte del
dipinto al che si sentì dire "ciabattino fa il tuo mesitiere".
La frase dialettale oggi molto usata, "ofelée fa' el to' mesté",
é una diretta derivazione di quell'apologo.
E questa frase potrebbe essere detta a noi, dopo la lettura
della nota che segue, nella variante "prete sono io, non tu".
Vero, ma non siamo in condizioni normali. Il monito del Papa é
stato terribile e un suggerimento di questo tipo potrebbe essere
l'eccesione che conferma la regola.
La nota era per Batale. Bale per Capodanno e per i giorni
festivi che seguiranno e per la Quaresima che verrà.
IL SILENZIO DI DIO
La predica di Natale – invito ai sacerdoti
Giovanni Paolo II durante l’udienza generale di mercoledì 11
dicembre ha avuto parole terribili, riferendosi al Cantico
Geremia 14.17-21: “..c’è, infatti, una tragedia maggiore, quella
del silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi
rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire
dell’umanità…. Ormai ci si sente soli e abbandonati, privi di
pace, di salvezza, di speranza. …..”
Queste parole sono state riprese, paradossalmente, da molti
laici, dai mass media (anche se per breve durata).
E basta.
Che ci sia dunque questo “silenzio di Dio” lo dimostra il fatto
che il monito sia passato quasi inosservato in quella che
chiamiamo la Chiesa militante.
Nella Messa della notte di Natale che seguiremo come gli altri
anni nella chiesetta vicino a Sondrio, ma in quella di ogni Casa
di Dio, dalle sontuose basiliche alle umili cappelle sperdute in
montagna, non è forse il caso di avere come unico, universale
filo conduttore il tema proposto mercoledì 11 dal Sommo
Pontefice?
Non si può lasciarlo con il suo carico di responsabilità e pur
con il suo enorme carisma nella solitudine più estrema per un
Papa, quella di avvertire il terribile silenzio di Dio e il
silenzio della Chiesa militante.
Una voce unica dai tanti pulpiti d’ogni dove per dimostrare che
in realtà non è il Creatore “ad essersi rinchiuso nel suo cielo”
ma le persone ad essere avvolte nella loro sordità, anche di
fronte – un esempio per tutti – ai venti di guerra che soffiano,
d’una guerra inaccettabile per le coscienze, anche per quelle di
chi, come noi, aveva ritenuto, e ritiene ancora, drammaticamente
inevitabile la precedente Guerra del Golfo dopo la brutale
occupazione del Kuwait.
Non è tempo per l’omelia tradizionale che lascerebbe più solo il
Pontefice che lanciando quel messaggio forse una risposta si
attendeva.
Non c’è stata in questi giorni.
Natale può esserne occasione splendida.
Voti augurali.
Alberto Frizziero
GdS - 28 XII 2002 -
www.gazzettadisondrio.it