Il congresso: "Bioetica e psichiatria. Etica dei modelli in psichiatria", tenuto all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

Si é tenuto il 10 e l'11
aprile 2003 presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (Facoltà di Bioetica).l
congresso: "Bioetica e psichiatria. Etica dei modelli in
psichiatria", che

Introduzione

La psichiatria non è sicuramente il primo soggetto al
quale va il pensiero della gente quando si parla di
bioetica. Ma ciò nondimeno costituisce uno degli ambiti
di cui si occupa questa nuova disciplina, incaricata di
discernere le problematiche etiche sui comportamenti
umani che incidono sulla vita. Incidono sulla vita
–positivamente o negativamente– l’ingegneria genetica,
le biotecnologie, la riproduzione assistita, e via
dicendo. Ma incide ugualmente l’intervento dello
psichiatra che “tocca” le fibre più intime della
persona, e può alterare –positivamente o negativamente–
la stessa personalità dell’individuo, espressione della
sua “personeità”, vale a dire quella qualità di essere
persona nella quale radica la sua dignità e l’obbligo
etico universale di rispettarla. Rispettare la dignità
della persona significa anche, nell’ambito della
psichiatria, chiedersi con apertura di mente e onestà
intellettuale quali possono essere le conseguenze
–positive o negative– derivanti dalla scelta e
dall’applicazione di un modello teorico anziché di un
altro.

Aspetti etici della scelta del modello psichiatrico

GIANFRANCO BUFFARDI, psichiatra

La scelta di un modello in psichiatria risponde, nella
maggior parte dei casi, ad inclinazioni personali o a
circostanze che hanno determinato nel singolo la
preferenza per un approccio metodologico anziché un
altro. La materia conoscitiva della psichiatria è troppo
complessa, investendo campi delle scienze umane e delle
scienze naturali così estremi da impedire una
ragionevole mediazione tra i diversi approcci: possiamo
dire che la psichiatria necessita di una valutazione
epistemologica di fondo. Ma un'altra valutazione è
necessaria, in qualche modo collegata al confronto
epistemologico dei modelli di riferimento: la
valutazione etica; la scelta di un modello e la prassi
ad esso collegato è una scelta etica, determina un
complesso di comportamenti eticamente orientati.
Trattandosi di una scienza umana e clinica possiamo
parlare, quindi, di bioetica della psichiatria e dei
suoi modelli. Aspetti bioetici sono evidenti su:

- il piano clinico

- il piano speculativo e della ricerca

- il piano sociale e politico

- il piano culturale

Nell'ambito del piano clinico la scelta influisce su:

- la presenza e la riconoscibilità concreta di una
"malattia";

- il tipo di rapporto tra paziente e terapeuta;

- sulla diagnosi e sullo stigma che ad essa è legata;


- sulla cura;

- sulla prognosi e sulle ricadute progettuali;

- sul giudizio degli "altri", della Persona stessa e del
clinico. Sul piano speculativo e nell'indirizzo di una
ricerca nascono le seguenti questioni:

- la ricerca scientifica psichiatrica, intervenendo
sulle coscienze, può rinunciare all'etica? quale è il
limite bioetico della ricerca nelle scienze cognitive?

- qual è il peso del problema dell'autoreferenzialità?


- può la ricerca utilizzare sperimentalmente approcci
diversi, biologici e psicologici, senza tema di alterare
bioeticamente il risultato? Il piano sociale e politico
è fortemente presente nel quotidiano della Salute
Mentale:

- come coniugare libertà individuale e sicurezza
sociale?

- le scelte metodologiche riabilitative rispettano la
libertà esistenziale del singolo?

- l'intervento familiare modifica la progettualità
affettiva della Persona?

- quale limite politico deve porsi la salute mentale?

Sul piano culturale le questioni che sorgono sono
fortemente legate agli erronei approcci mass-mediatici:

- quali conseguenze etiche può avere la diffusa
convinzione di un ruolo salvifico delle psicoterapie?

- la "invadenza" mass-mediatica di psichiatri,
psicologi, psicoterapeuti e quant'altro, non rischia di
generare angosce e false convinzioni eticamente
inaccettabili?

- la ricaduta culturale delle scelte politiche non
precipita in un nuovo stigma? La ricerca bio-etica in
psichiatria, a nostro parere, dovrebbe, pertanto,
studiare i modelli per inquadrare gli atti sequenziali,
i comportamenti, le scelte, quelli corretti come quelli
devianti, per favorire l'integrazione terapeutica,
orientando la prassi a comportamenti condivisi dai
diversi modelli. Questo processo potrebbe essere
facilitato dal lavoro comune:

- dei bioeticisti, con il loro lavoro di tipizzazione e
controllo dei comportamenti scorretti a favore di quelli
eticamente consolidati,

- degli psichiatri, nella ricerca di un accordo univoco
sulla correttezza etica di alcuni comportamenti

- degli scienziati cognitivi nel lavoro di ricerca
sull'epistemologia dei modelli e nella clinica la
psichiatria clinica,

- degli epistemologi, che devono favorire lo studio di
modelli che favoriscano il costante approssimarsi ad un
comportamento etico corretto e condiviso (in
quest'ottica, ad esempio, è pensato il c.d. modello
neo-esistenziale).

Riflessione sui Presupposti di una Dimensione Etica
dell'Azione Diagnostica e Terapeutica Psichiatria
Mentale


ANTONINO TAMBURELLO, Direttore del Master in Psicologia
di consultazione dell'Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum.

Per avviare una riflessione ordinata intorno al tema
specifico sopraindividuato appare necessario ed
inevitabile il riferimento vincolante alla natura e
definizione di Azione Etica (azione umana). é buono
l'Atto che realizza nella specifica circostanza il
massimo Bene relativamente alla Realtà Ontologica e
quindi Potenzialità Ontologica dell'Ente "Uomo". Secondo
questa definizione, L'Atto Etico/Buono diviene
Realtà-Occasione del compimento di sé come Uomo. La
Potenzialità dell'Uomo, e della Persona individuale è
orientata verso la Finalità e quindi la dimensione
teleologica è inscindibile e di grande aiuto per il
rintracciamento dell'Ordine completo-perfetto-sano
dell'Essere e dell'Agire Umano. Molte discipline
scientifiche dell'area della medicina hanno beneficiato
di tale vantaggio paradigmatico quando hanno cercato di
conoscere l'Ordine anatomo-strutturale, il rapporto tra
la Verità organizzativo-strutturale di un organo (o
parte di organo) di cui esploravano la funzione sana e
malata e quindi il successo o l'insuccesso
nell'adempimento/raggiungimento della finalità iscritta
nel Ente-Organo esaminato. Tra queste: la fisiologia, la
fisio-patologia, l'anatomo-fisiologia, la biochimica
etc. Non credo si possa negare che, anche se facilitata
dalla natura dell'Oggetto Materiale di tali Scienze, la
perfetta definizione dell'Oggetto Formale, in cui
l'elemento Ideologico della funzione ha giustamente
rivestito un ruolo centrale ed inevitabile, tali
discipline hanno assicurato la Base Solida di un
Positivo Ruolo della Medicina nel suo complesso per la
Diagnosi e Terapia della Patologia Fisica. Da questa
premessa (posta in termini necessariamente sintetici)
discende che nell'Azione Etica del Momento Diagnostico è
necessario assicurare che:

- si ricerchi o si disponga di una Verità dell'
Ente-"Uomo", intera od almeno non carente dei suoi
tratti di base come Uomo capace di Libertà, capace di
Responsabilità e dei suoi presupposti ossia delle
Facoltà per realizzarle;

- si ricerchi o si disponga di una Matrice dell'Ordine
funzionale perfetto di tutte le aree del Pensiero e
dell'Azione umana che permetta l'identificazione dei
discostamenti dall'Ordine, al pari di quanto possibile e
operato da chi si muove in analoghe discipline
diagnostiche dell'area della Salute Fisica; Senza la
Fisiologia non può esserci una Fisio-Patologia, né una
Diagnostica Clinica o Strumentale efficace sia nel campo
della salute fisica che in quello della salute mentale.
Senza le condizioni dell'agire etico completo nel campo
diagnostico non può esserci neppure l'individuazione
degli obiettivi significativi dell'agire etico.

Scienza ed Etica

GUIDO TRAVERSA, Docente presso la Facoltà di Filosofia
dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

Molte questioni etiche che si accompagnano alla ricerca
scientifica e alle sue applicazioni appaiono, non di
rado, come qualcosa di esterno alla scienza stessa, alla
sua storia, alla storia dei cambiamenti dei paradigmi
esplicativi assunti da ciascuna disciplina scientifica.
é necessario, invece, per capire il nesso necessario
tra scienza ed etica, partire dal presupposto che i
problemi etici inerenti alla scienza non sono una
dimensione che vi si aggiunge dall'esterno, in un
secondo momento: nella successiva riflessione, basata su
principi etici e valori, sulle conseguenze pratiche che
una determinata scienza ha sulla realtà; al contrario,
essi sono interni al determinato paradigma conoscitivo
su cui si fonda quella scienza. Stabiliamo, pertanto,
alcuni presupposti metodologici:

a) i problemi etici presenti e sollevati nella ricerca
scientifica non sono, de facto, identici ai soli
problemi etici che la scienza pone ed incontra
empiricamente, cioè nella ricaduta pratica
sull'ambiente, sulla società o su un determinato
individuo.

b) al contrario, gli autentici problemi etici emergono,
de jure, all'interno dello stesso paradigma esplicativo
che si adotta nel procedere nella ricerca scientifica,
nella elaborazione della spiegazione di un determinato
fenomeno. Pertanto i problemi etici sono interni a
ciascun paradigma scientifico: le concrete questioni
etiche si generano sulla base dei motivi epistemologici,
conoscitivi e scientifici, interni alla scienza in
quanto tale e ai suoi diversi paradigmi esplicativi. Una
simile analisi filosofica dell'apparato logico ed etico
di ciascun paradigma di spiegazione scientifico
consentirebbe non solo di avere già a livello
formativo-universitario la consapevolezza della
complessità del tessuto della disciplina scientifica che
si viene apprendendo, ma di poter porre costantemente la
questione del "limite" della ricerca e della concreta
prassi scientifica: ci si renderebbe sempre più
familiari non solo alla dimensione etica in generale, ma
si acquisirebbe sempre più l'habitus di valutare, di
volta in volta, in dettaglio la scienza che si viene
sviluppando. Molto della identità epistemologica del
rapporto tra scienza ed etica si giocherà sul legame tra
consapevolezza del "limite" ed esame del dettaglio.
Così, forse, risulterà più oggettiva - in quanto
determinata anche dall'oggetto di ciascuna scienza - la
discussione, e i conflitti che spesso ne derivano, sul
"limite", sulla "scelta", sulla distinzione tra il
lecito e l'illecito nella scienza in generale e in
ciascuna scienza in particolare.

Dopo aver affermato che l'etica, quale insieme
determinato di comportamenti, è intrinseca alla scienza
in generale e in modo particolare a ciascun paradigma
scientifico di spiegazione e dopo aver mostrato come un
simile assunto epistemologico possa trovare una concreta
applicazione nell'ambito della psichiatria è necessario
sottolineare che tale assunto non conduce ad una
autoreferenzialità della scienza, come a dire: dato che
l'etica è intrinseca alla scienza, questa stessa si
autolegittima, dichiarandosi esente dal doversi misurare
con problemi etici distinti dal suo stesso operare; al
contrario, ne deriva che ciascun modello di spiegazione
di un determinato "oggetto" non può non tenere conto sia
degli altri modelli sia, e ancor più, dell'etica
molteplice della società.

Il problema etico della precomprensione antropologica

GONZALO MIRANDA, L.C., Decano della Facoltà di Bioetica
dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

In medicina sono necessari i modelli teorici ed
applicativi. A volte questi modelli sono di carattere
sperimentale, e le conseguenze della loro applicazione
ancora incerte. Anche in psichiatria è necessario
teorizzare ed applicare modelli vari che possano
sistematizzare ed orientare la comprensione dei fenomeni
psichici oggetto di studio e l’approccio diagnostico e
terapeutico in relazione a un individuo concreto.
Orbene, mentre in altri rami della medicina l’adozione e
l’applicazione di un modello ha un carattere di solito
fondamentalmente metodologico, i diversi modelli
adottati e applicati dalla psichiatria si rifanno
sostanzialmente a qualche comprensione o
pre-comprensione di carattere filosofico-antropologico.
E proprio per questo la scelta di un modello
psichiatrico orienta in profondità, non solo
metodologicamente, l’orientamento e gli atteggiamenti
dello psichiatra, e conseguentemente l’incidenza del suo
operato sulla personalità e sull’esistenza stessa della
persona alla quale rivolge il suo servizio. In realtà
non è possibile stabilire nessun rapporto con un uomo
senza avere una qualche comprensione dell’uomo, vale a
dire un’antropologia. I diversi modelli psichiatrici
mettono radice anche loro in una determinata visione
dell’uomo. Visioni che sono differenti e spesso
incompatibili tra di loro. Altro è pensare che l’uomo è
totalmente determinato da fattori biologici o
ambientali; altro è riconoscere in lui uno spazio di
vera libertà, nonostante gli influssi a cui è
sottoposto. Diverso è vedere l’uomo come materia
senziente, che considerarlo come un essere composto di
materia e di spirito trascendente. Il problema non è che
alla radice di un determinato modello psichiatrico ci
sia una antropologia, ma il fatto che non
necessariamente quell’antropologia corrisponde alla
realtà dell’uomo. E non si dica che ogni antropologia
gode dello stesso valore e che sono tutte ugualmente
accettabili. Se uno dice che l’uomo “è solo materia” e
l’altro afferma che “non è solo materia” possiamo essere
sicuri che almeno uno dei due sbaglia. Un altro problema
è costituito dal fatto che spesso l’antropologia di
fondo non viene sufficientemente tematizzata e
focalizzata. Diventa così una specie di condizionante
invisibile dell’approccio psichiatrico, sia teorico che
applicativo. E tutto questo non è indifferente dal punto
di vista etico. Lo psichiatra può esercitare un influsso
notevole sull’individuo, sulla sua auto-comprensione,
sulla sua vita interiore, sul suo comportamento
esteriore, e dunque anche sul suo rapporto agli altri e
sul suo inserimento nella società. E tutto questo
influsso dello psichiatra sull’individuo è profondamente
influenzato a sua volta dalla compressione antropologica
dello psichiatra stesso. Forse il maggior pericolo in
tutto questo è che lo psichiatra non sia
sufficientemente cosciente dell’influsso che la sua
comprensione o pre-comprensione antropologica esercita
sul suo esercizio professionale, influenzando così in
modo cieco e acritico il suo paziente, il quale può
pensare di essere soltanto sotto l’influsso di un
approccio meramente scientifico e non di uno specifico
–e forse discutibile– modello filosofico-antropologico.
Potremmo parlare, allora, di un “condizionamento a
doppio cieco”. La bioetica, in quanto interessata
all’orientamento etico dei comportamenti umani che
incidono sulla vita, anche su quella psichica, deve
continuare la sua opera di discernimento. E forse uno
dei maggiori servizi che può offrire alla coscienza
etica di che opera nel campo della psichiatria è appunto
quello di aiutare a prendere coscienza, coscienza
critica, del modello teorico e applicativo adottato o da
adottare, delle sue radici filosofico-antropologiche e
delle sue possibili conseguenze.
Carlo Climati


Per ulteriori informazioni rivolgersi a Carlo Climati,
Responsabile ufficio stampa dell'Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum: Tel: 06 66527800 - E-mail: md3416@mclink.it


GdS - 18 IV 2003 -
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