Bitto, polemica alle stelle

Riceviamo e tal quale pubblichiamo:
"In attesa di fornire, con un prossimo comunicato del presidente Ciapparelli, le info di dettaglio sulle modalità e i tempi del cambiamento di nome il Consorzio salvaguardia bitto storico e la Società valli del bitto spa annunciano che, nella stagione d'alpeggio 2016, non sarà prodotta una sola forma di bitto storico. 
L'adozione di un marchio commerciale registrato a tutela della produzione sarà mantenuta sino a quando la politica non avrà ottenuto una piena legalizzazione del bitto storico.
Da questo punto di vista il Consorzio e la Società guardano con interesse a tutte le iniziative politiche intraprese in tal senso, ultima quella del presidente della Comunità montana Valtellina di Morbegno, Borromini al quale sono state anche fornite le indicazioni del Consorzio salvaguardia bitto storico sulle condizioni di rientro nel sistema Dop. 
Prof. Michele Corti  amministratore/responsabile comunicazione Società Valli del bitto spa

Il Comunicato
Il bitto storico con la stagione d'alpeggio in corso non esiste più
(fino a quando non sarà pienamente riconosciuto e legalizzato)
Il Consorzio per la salvaguardia del bitto storico interviene a seguito di inaccettabili attacchi da
parte della Coldiretti e annuncia che a breve saranno diramate le informazioni circa le
modalità del cambiamento di nome
Dopo l'annuncio da parte di Paolo Ciapparelli - presidente dei "ribelli del bitto" - dell'imminente
cambio di nome del bitto storico, cambio sollecitato dall'assessore regionale Fava onde evitare le
conseguenze (anche penali) della violazione delle norme europee, si è assistito alla fiera
dell'ipocrisia. Chi, per anni, ha combattuto e denigrato il bitto storico (ma lo ha anche sfruttato
abilmente per assimilare ad esso il bitto massificato), oggi ha paura che la Valtellina faccia una
figuraccia al Salone del Gusto di Torino (a settembre), quando sarà formalizzato che il bitto
storico non esiste più. Sarà difficile spiegare perché i prosecutori della più autentica tradizione
del bitto non possono poi utilizzare il nome bitto. E perché in ventidue anni, tanto dura la
vicenda della “dop bitto”, la politica, invece di risolvere il problema, l'ha aggravato.
Nel coro degli amici dell'ultima ora del bitto storico, che invocano la “pace del bitto” e invitano a
“restare uniti” si distingue la Coldiretti. Quest'ultima, attraverso le dichiarazioni del presidente
Marsetti paventa conseguenze catastrofiche a seguito del cambio di nome del bitto storico. “Ci
sono in ballo – ha dichiarato Marsetti - 60 Imprese Agricole con oltre 120 lavoratori che
producono 18.000 forme per un fatturato di oltre 2milioni che corrispondono a oltre 4 milioni di
valore al consumo”. Cosa significa? Che il cambio di nome di 1500 forme di bitto di un tipo
farebbe crollare il prezzo delle altre 18 mila? Ovviamente non è possibile ma la Coldiretti, come
le altre organizzazioni del sistema agroalimentare (o per meglio dire agroindustriale) valtellinese
teme il venir meno dell' “effetto scambio di identità”. Tutto il parlare dell'eccellenza del bitto
storico “teneva su” il bitto massificato e “modernizzato”, prodotto con mangimi e fermenti
industriali, senza latte di capra. Non c'era giornalista o blogger che in coda ad un pezzo di
esaltazione dello “storico”, dei “ribelli del bitto” non allegasse la foto con l'etichetta rossa del
consorzio Ctcb.
Fin qui nulla di strano. Chi ha strumentalizzato il bitto storico, usando la tattica di combatterlo
alla luce del sole e di cercare di confondersi con esso dietro le quinte, si preoccupa. Quello che è
inaccettabile è la diffamazione dei “ribelli del bitto” . Marsetti ha accusato senza mezzi termini i
“ribelli” di "strumentalizzare la difesa delle tradizioni, della tipicità, della storia, del territorio a
fini di mero interesse e di parte".
Marsetti sa che gli oltre 100 soci della Società valli del bitto (compresi i produttori agricoli) , per
sostenere il metodo storico, hanno realizzato – di tasca loro - una casera che è anche una
galleria d'arte, di cultura, di umanità, che è diventata un elemento di interesse turistico, che
promuove l'immagine della Valtellina attraverso i media nazionali e internazionali. Una casera
per la quale la Società valli del bitto hanno douto investire di tasca – in in periodo in cui il
Comune di Gertola non disponeva delle copiose entrate attuali – ben 300 mila euro , utilizzati
per le spese di edificiazione di un immobile che è totalmente di proprietà del comune. Questa
spericolata generosità (o comunque ingenuità) nel sostenere un comune che si pensava amioo (e
che poi ha voltato le spalle per unirsi al coro dei poteri forti nemici del bitto storico) ha
determinato l'accensione di linee di credito che, nel corso di un decennio, hanno gravato di
interessi passivi il bilancio della Società valli del bitto. I “debiti” sono solo questi . Nelle varie
interlocuzioni succedutesi negli scorsi anni la richiesta avanzata dai “ribelli” alle istituzioni era di
riconoscere – nelle forme legittime e idonee – un terzo di quell'investimento iniziale. Un'inezia
rispetto agli sprechi dei rappresentanti delle istituzioni e delle varie organizzazioni
dell'establishment che cifre simili se le bruciano, nell'ambito di “progetti di promozione” solo per
spese di rappresentza e cene tra loro.
In ogni caso i “debiti” della “valli dl bitto” (peraltro onorati ) sono derivati dall'aver voluto
sostituirsi alle istituzioni, tanto era l'entusiasmo per la causa del sostegno dei produttori storici.
In dieci anni la Società valli del bitto, ha agito all'opposto di una società con fini di lucro
(formalmente è una spa), operando come una Fondazione riconoscendo ai produttori un “prezzo
etico”, gestendo un vero e proprio museo, svolgendo attività culturali autofinanziate (o sostenute
dai privati) che incidono pesantemente sui costi del personale , costi e che qualsiasi altro
soggetto non inviso ai poteri forti e alle istituzioni avrebbe addebitato a qualche “progetto”. Nel
frattempo le organizzazioni che gestisono la promozione alimentare in Valtellina hanno speso
milioni di euro, spesso solo per dare lavoro agli amici con iniziative di nulla o scarsissima
ricaduta.
Marsetti (ma non solo lui) chiede al bitto storico di non cambiare nome e di continuare a “fare
da traino”. Sarebbe come chiedere a Varenne di trainare un pesante carro insieme a dei ronzini
che – generosamente alimentati di biada – lasciano al campione l'onere di spingere. Al
campione, nel frattempo, invece della biada si promette del fieno (ammuffito).
I “ribelli del bitto” sono dei “trogloditi che rifiutano la modernità” (come venivano definiti solo
qualche anno fa). Ma sono abbastanza avveduti da capire che, sino a quando la politica non sarà
in grado di legalizzare il bitto storico, a loro conviene cambiare – sia pure provvisoriamente –
nome. Se ne facciano una ragione Marsetti e tutti gli altri.
In un prossimo comunicato verrà precisato, anche a beneficio dei consumatori, con che modalità
e tempi sarà attuato il cambio del nome. In ogni caso nella stagione d'alpeggio 2016 non sarà
prodotta alcuna forma di bitto storico. Il bitto storico (almeno per ora) è morto.
Gerola alta, 20 luglio 2016".

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