API E SICCITA'

(Giampaolo Palmieri)   Eravamo abituati all’anticiclone delle Azzorre ma in questi ultimi anni mi sembra che l’influenza del deserto del Sahara si sia fatta sempre più pressante. Prima destava solo curiosità per la polvere rossa che si depositava sulla neve o sulle auto a seconda delle stagioni. Ora sono bolle di caldo più frequenti che scardinano la continuità climatica dell’inverno o delle altre stagioni. A fine primavera inizio estate, una bolla di caldo rovente si è depositata nell’Italia del Nord e si è comportata come quelle che a volte capitano nei giochi di bambi con l’acqua insaponata, ossia se ne produce una che si fissa ad una superficie e non vuole più scoppiare.

Ed è stato caldo insopportabile e siccità.
L’apicoltura ne ha sofferto pesantemente. Sono mancate anticipatamente le fonti nettarifere e pollinifere, che già in estate si riducono, ma che in questo caso si sono quasi annullate. Gli alveari hanno perso di peso per il consumo di preziose scorte. Hanno anche ridotto la popolazione e le covate e con la conseguenza di investire meno sul loro futuro più prossimo.
Molte fonti d’acqua sono scomparse. Api assetate l’hanno dovuta cercare in altri e più lontani luoghi. Si sono riversate anche su fontane e piscine pur odiando il raccogliervi l’acqua poiché anche la piccola onda può costituire un pericoloso tsunami che le pone a rischio.
Le arnie sono poste sotto il sole cocente, i tettini in lamiera infuocati e quindi il piccolo spazio del coprifavo non basta come coibentazione. La salvaguardia del loro spazio vitale, del loro luogo di vita edificato completamente in cera, viene salvaguardato solo dalla loro capacità di termoregolazione.
La cera fonde a 60 gradi, immaginate i favi di cera nelle giornate in cui all’ombra si raggiungono i 40 gradi. Favi che spesso sostengono, al loro interno, anche cospicui carichi di miele, e non devono deformarsi.
Le api sono le uniche che sanno gestire e controllare perfettamente la temperatura interna del loro nido in ogni stagione.
L’area di covata, la loro nursery, ad esempio, viene tenuta costantemente a 35 gradi. Il resto del nido può avere più o meno delle fluttuazioni ma mantenuto sempre all’interno di un ranger relativamente ristretto.
Un’attività affascinante per la sua complessità e nel quale il numero delle api coinvolte cresce in modo esponenziale più diventano estremi gli eventi da contrastare.
Per raffreddare l’alveare sotto i sole le api bottinatrici vanno a raccogliere acqua che consegnano alle api di casa. Queste hanno varie tecniche per farla evaporare, tra cui quella di “spatolarla” all’interno di una celletta in modo da aumentarne la superficie evaporante e accelerare il fenomeno. Il “passaggio di stato” dell’acqua, da liquido a gassoso, sottrae calore all’ambiente. Più esso è veloce, più è efficace. Molte api si trasformano in ventilatori e si dispongono per allontanare l’aria umida. Altre favoriscono il ricambio con quella esterna. Ma non basta: le api possono rendere l’aria entrante ancora più secca per aumentarne la capacità di assorbire vapore e quindi potenziare così l’efficacia del sistema di raffreddamento.
Hanno calcolato che un alveare per questa attività, mediamente può necessitare fino a cinque litri d’acqua al giorno. Se si considera che un ape pesa un decimo di grammo e che quanto ripone nella borsa melaria per il trasporto di liquidi viene espresso in milligrammi si ha l’idea di quanti viaggi e di quante api sono impegnate in questo lavoro!!

Giampaolo Palmieri

 

Enogastronomia