Quel vecchio fruttivendolo... Ahimè, rassegnamoci

Ci sono stati anni durante i quali il Design si fregiava del maiuscolo. Allora io operavo sul bianco e nero a due dimensioni mentre Mario Quaglia preferiva il colore e i volumi. Non sempre si trattava di lavoro, il gioco era spesso uno degli ingredienti e i risultati sfociavano spesso nel surreale. Una delle idee più bislacche di Mario non fu certo la coltivazione idroponica dell'insalata (era la fine degli anni '60 e nessuno ne sapeva alcunché) ma la produzione di pomodori cubici, meno soggetti al deterioramento per gli urti e più vantaggiosi, a parità di peso, di quelli sferici. Non vi svelerò qui i segreti del progetto, ve ne ho parlato solo perché i pomodori di allora erano delicati, succosi e maturi. Una quindicina d'anni dopo ero a Orlando, nella parte scientifica di Disneyland, ad ammirare dei cilindri forati di acciaio, simili a dei grandi cestelli di una lavatrice. Al centro c'era un tubo ad ultravioletti, dai fori sporgevano foglioline di insalata, nella parte esterna delle radicette esposte alla vaporizzazione di fluidi fertilizzanti. Non ebbi modo di assaggiare quel tipo di verdura che assomigliava in tutto e per tutto a quella che trovavo solitamente dal mio fruttivendolo, la stessa sensazione che provo oggi entrando in un supermercato davanti a ceste di pomodori. Sono bellissimi, tutti della stessa misura, tutti del giusto colore, sembrano veri, assomigliano moltissimo a quelli di una volta. Se quando ero ragazzo, oltre a mangiare un pomodoro, mi fossi premurato di fotografarlo, oggi penserei di poterne acquistare uno, tanto sono simili. Ma le cose si complicano ancora prima di assaggiarlo perché l'etichetta, che ne contiene la provenienza, spesso lo smaschera: un oggetto prodotto d'inverno in Olanda non può essere un pomodoro anche se gli assomiglia parecchio. Se poi uno vuole una conferma non deve fare altro che assaggiarlo e scoprire che la sua polpa è acquosa e insipida ben lontana da quella soda, acidula e zuccherina, di un frutto coltivato con cura, nutrito da terra e sole e che la sua buccia non è più quella sottile pellicola di una volta.

Poiché, per nostra natura, siamo costantemente alla ricerca di un colpevole a chi questa volta dobbiamo attribuire la colpa? Ci sarebbero diverse correnti di pensiero, tutte giustificate. Si ci mettiamo dalla parte dei slowfoodisti non possiamo che pensare che ci vorrebbe una migliore educazione alimentare ma un'altra ipotesi, più concreta, ci porta verso il mondo del denaro, verso l'economia forzata delle famiglie che sono costrette ad accettare le regole e i prezzi della grande distribuzione e a rinunciare al vecchio fruttivendolo che proponeva la qualità, unica scelta per mantenersi la clientela. Ma purtroppo ormai la scelta non c'è più, né per lui né per noi.

Maurizio Frizziero

(meglio essere ottimisti e avere torto che essere pessimisti e avere ragione)

Enogastronomia