09 09 30 IL SASSOFONO DI UN VALTELLINESE DI DIO
Me lo sento: don Ugo, leggendo, nella pace di Dio, questo mio personale e confuso ricordo di lui spalancherà i suoi occhi buoni, larghi e chiari e sbotterà con quel suo fare rude :"Quando ti vien voglia d'intingere la penna nel curaro, non ti ferma nessuno". E sento anche la chiosa:" Questa volta, però, non sei stato originale: hai copiato da don Peppino".
Beh…sì, don Ugo, sì… copio dal suo indimenticabile amico, don Giuseppe Brusadelli, direttore del quotidiano diocesano comense "L'Ordine", che ad ogni prete che moriva assegnava uno strumento da suonare nell'orchestra del Paradiso dicendo che per sé avrebbe riservato il tamburo perché era fatto di pelle d'asino.
Don Ugo Pedrini, valtellinesechiavennasco d.o.c., prete di Dio e mai dimesso arciprete di Berbenno S.Pietro, nell'orchestra del Paradiso suonerà il sassofono, strumento entrato molto tardivamente nell'orchestra classica perché fu inventato nella metà del 1800, ma che ebbe subito successo perché dotato di voce potente e di grande proiezione di suono.
Strumento classico-moderno, quindi, che ben s'intona a questo "prete-prete" (così usava definirsi usando una celebre espressione di don Folci) che visse il suo sacerdozio con profondo senso del dovere, smisurato attaccamento alla chiesa, dedizione quasi morbosa alle anime delle comunità che gli furono affidate nei lunghi anni del ministero.
Suonerà il sassofono, don Ugo (lo scorso anno, l'ultima volta che lo vidi, come azzardai un "Monsignore" dovetti scansare un ceffone) perché per tutta la vita la sua voce potente s'è diffusa nei vari luoghi dove Dio l'ha chiamato ad essere al suo servizio: in seminario minore dove fu Ministro di disciplina, a Tirano, Poggiridenti, alle A.C.L.I. di Sondrio, a Berbenno e in Collegiata a Sondrio. E quella voce potente la ricordano e la ricorderanno per un pezzo non solo i suoi parrocchiani di Berbenno, ma tante e tante persone alle quali non risparmiò un consiglio, un'ammonimento, un parere!
Nella sua orchestra celeste Dio gli affiderà il sassofono perché don Ugo è stato uno strumento moderno nella sua orchestra. Non inarcate le sopracciglia! Lo so che per molti don Ugo non sembrava affatto moderno! Un prete sempre in tonaca, ringhioso verso le liturgie beat (così bollava le messe accompagnate da chitarre e tamburelli), con il rosario sempre in mano e pronto a dare sulla voce ad ogni compromesso di qualunque genere esso fosse, si può definire un prete moderno? Sì perché don Ugo era molto intelligente e colto e sapeva cogliere le istanze che sempre più numerose ed urgenti pervenivano caotiche dal mondo ecclesiale. Forse pochi sanno che questo valtellinese di Dio ha impiantato una radio parrocchiale agli inizi degli anni 70 per diffondere nelle case della sua Berbenno la voce del Vangelo a chi non poteva (o, potendolo, si vergognava di farlo) raggiungere la chiesa arcipretale collocata come lampada sul moggio. Quando l'invitai a sostituirmi alla rubrica religiosa del sabato sera che tenevo a Teleradiovaltellina, mi sentii rispondere che l'avrebbe fatto volentieri perché "…per troppo tempo noi preti abbiamo snobbato i media".
Prete di fede solida (come la sua struttura corporea), ha vissuto intensamente il sacerdozio con la coscienza di essere uno strumento di Dio in mezzo alla comunità degli uomini. Il passaggio fra i riti preconciliari in latino e le nuove disposizioni liturgiche lo sconvolse e, dapprima, s'adeguò solo per senso di obbedienza alla chiesa. In seguito approfondì, capì e la riottosità iniziale cedette il passo all'attuazione di nuove forme pastorali con nel cuore due sole nostalgie struggenti: l'abbandono progressivo del canto gregoriano e la povertà di alcuni riti.
Ci conoscemmo nel 1977. Ero un giovane studente di teologia e ricevetti una sua lunga lettera che commentava un articolo che avevo scritto sul quotidiano "L'Ordine" . Andammo avanti a botta e risposta fino a quando, il giovedì santo, al termine della messa crismale in Duomo, mi sentii chiamare da lui. Da allora ci fu un feeling che non s'interruppe mai e che si fece più intenso durante i miei due anni di permanenza alla Collegiata di Sondrio. Fu uno dei tre o quattro preti che misi al corrente della drammatica storia interiore che stavo vivendo e, quando con mia moglie prendemmo la decisione di sposarci, glielo comunicai subito, una sera, nella sua casa arcipretale in quella cucina dove tante volte ci arrangiavamo a mettere assieme qualcosa da mangiare. Addolorato, ma rispettoso, ci fu vicino anche dopo, quando nacquero i nostri figli e quando ricevettero i sacramenti dell'iniziazione cristiana.
Il sassofono di Dio adesso, su questa terra, tace obbediente al direttore dell'orchestra che lo vuole altrove. Mi piace pensare che se ne sia andato modulando con il pensiero "Media nocte", il mottetto gregoriano che gli piaceva un sacco e, sia detto senza polemica, mi piace anche pensare che avrebbe preferito ricevere l'ultimo saluto nella sua Berbenno, magari nella chiesa di San Pietro che curò con struggente amore.
Ernesto Miragoli