PARTITO DEMOCRATICO E TUTTO IL RESTO: LA VERA POSTA IN GIOCO
DOPO IL FIDANZAMENTO IFFICIALE
La decisione dei due Congressi, dei DS e della Margherita, di ammainare le proprie bandiere per alzarne sul pennone una sola, ha catalizzato l’attenzione degli osservatori politici ma anche della gente comune, quella che spesso segue distrattamente le vicende della politica.
Non c’è alcun dubbio che si sia trattato di un passaggio molto importante. Nella storia d’Italia, dalla proclamazione della Repubblica ad oggi, composizioni e scomposizioni, fusioni e secessioni, matrimoni e divorzi sono state frequenti, generalmente caratterizzando l’area della sinistra con una sorta di instabilità ciclica in zona socialista. Questa volta c’è un elemento nuovo. Si sono fidanzati ufficialmente e stanno per convolare a nozze, - il DICO non c’entra – due partiti le cui linee di pensiero originarie erano quelle che avevano diviso il mondo. Certamente di acqua ne è passata tanta sotto i ponti, e non solo dal crollo del muro di Berlino e, con esso, della più grande truffa mai perpetrata ai danni dell’umanità, vittime prime chi aveva creduto nel nuovo verbo (“v” minuscola) marxista. Non solo il tempo, ma il carattere italiano che riesce a stemperare anche le contese più calde in una filosofia di vita molto mediterranea e lontana da quella anglosassone. Per stare ai fidanzati odierni non possiamo dimenticare la poesia degli scritti, e dei films derivati, di Guareschi, che ispirandosi a “quel paese piccolo, piccolo chiamato Trebiglie” (Trepalle di Livigno) e a quel prete sui generis (Don Parenti) gli aveva sviluppato la fantasia delineando la figura di Don Camillo. Per Peppone invece l’ispirazione era venuta a casa sua, in quella “Bassa” vicino al “grande fiume”.
Fidanzamento non indolore. Mussi, Salvi, persino Angius che sembrava a metà del guado, non se la sono sentita di compiere questo passo, di ammainare la loro bandiera sia pure non per la resa ma per nuovi orizzonti. Nella Margherita non si registrano defezioni, ma alcuni punti fermi sono stati posti. “C’è un patrimonio ideale da salvaguardare, come peraltro è anche per i DS”, lo hanno detto in molti al Congresso.
NON SIAMO ANCORA ALLE CINQUE DELLA SERA.
Il punto cruciale deve comunque ancora venire, non siamo ancora alle cinque della sera. Dove mira l’operazione lo hanno detto chiaramente i vari leaders. Esplicito Fassino: il Partito democratico punta ad essere il primo Partito del Paese. Non ovviamente per una questione di numeri. Si tratta di una posizione egemonica che oggi nessuno con poco più del 20% può obiettivamente esercitare. Prodi, e con lui Parisi e gli altri Prodiani, insistono sul fatto che il PD non deve essere la somma di DS e Margherita, che il PD non deve essere il frutto di una operazione di vertice, che il PD deve essere il Partito della gente. Evidentemente l’influenza delle primarie dalle quali venne l’indicazione di Prodi, largamente maggioritaria, si fa sentire.
Al di là però del comprensibile entusiasmo dei leaders, la conclusione dell’operazione appare molto, molto lontana. Chi si accinge infatti a entrare nel nuovo soggetto politico? Al di là delle formule generiche – “la gente”, “i movimenti”, “le associazioni”, si tratta di ex-diessini e di ex della Margherita, in buona sostanza in larga parte gli ex delle due sinistre democristiane (e perché “due sinistre democristiane” lo vedremo dopo). I socialisti non ci saranno. Sia quelli delle varie famiglie che si stanno riunendo all’interno del centro-sinistra dopo il non brillante risultato della Rosa nel Pugno, sia quelli, e non sono pochi, che sono approdati a Forza Italia, come Stefania Craxi. Ma non ci saranno neppure i Verdi che, con le parole di Pecoraro Scanio, hanno preso le distanze, nettissime. Non ci sarà neppure Italia dei Valori e men che meno Mastella. Nessuno ovviamente a sinistra anzi i flussi sono in direzione contraria (Mussi ecc.).
COSA CAMBIA DUNQUE?
Cosa cambia dunque? Nel breve riteniamo poco o niente in quest’area, salvo che per Prodi, sino ai giorni scorsi politicamente orfano e ora, come ha detto chiaramente D’Alema, leader del nuovo soggetto. Del resto Prodi ha dichiarato che erano 12 anni che lavorava per questo risultato…
Sul versante sinistro l’arrivo di chi viene dai DS e condizioni oggettive, anche di peso elettorale, porterà inevitabilmente un rimescolamento di carte anche se non è possibile prevedere in quali tempi. Nulla di particolare da segnalare sul versante di centro-destra, chiaramente ricompattato. Nel momento del fidanzamento di fatto tra ex-diessini ex della Margherita, in buona sostanza in larga parte ex delle due sinistre democristiane, anche quella parte di moderati ex DC, e, fra essi, - non dimentichiamone l’esistenza – di un filone Dossettiano che non aveva difficoltà a proclamarsi “moderato”, come potrebbe trovare terreni d’intesa? In mezzo comunque Mastella che spera che le partenze alla Mussi & C. non riguardino solo i DS… Dipende poi dalla posizione di quelle che abbiamo prima chiamato le due sinistre democristiane. Perché due? C’era chi era entrato nella DC e, una volta entrato, aveva scelto la collocazione consequenzialmente schierandosi nella sua sinistra interna. C’era anche chi non aveva prioritariamente fatto la scelta della DC bensì della sua sinistra diventando solo dopo consequenzialmente democristiano. Hanno sentito in molti alla TV un brano del discorso congressuale di Dario Franceschini, una delle figure più quadrate ed apprezzate, “chi ha per riferimento Dossetti, Don Milani, Don Mazzolari, La Pira, Moro non può entrare nel Partito Socialista Europeo”. Sono riferimenti di qualsiasi ex democristiano. Ma per i moderati, anche per i “moderati Dossettiani”, insieme a quei nomi ce ne sono altri…
E DUE: COSA CAMBIA DUNQUE?
Cosa cambia dunque? Torniamo all’interrogativo di cui sopra. Per una considerazione aggiuntiva. Non è un mistero per nessuno, quantomeno per gli osservatori più attenti, che la novità da qualcuno definita “storica”, si muove non soltanto sul terreno politico. Da ambienti che contano, in diversi settori, si guarda con interesse, anzi dietro le quinte si spinge anche, al PD. Si guardava con interesse al centro-sinistra prima delle elezioni, e il Corriere della Sera se ne rese interprete con uno scritto sorprendentemente esplicito del suo direttore Mieli in uno scenario post-elettorale - che si prevedeva allora – di forte ridimensionamento di Berlusconi, di fatto creando una corsia preferenziale per un nuovo centro-sinistra senza l’ipoteca della sinistra estrema. Le cose andarono diversamente. Da un lato Berlusconi in sella più che mai, dall’altro capitò il contrario, ossia la ritenuta troppa voce in capitolo delle sinistre estreme (che però di rospi ne hanno dovuto ingoiare parecchi, alla luce di quanto esplicitamente dichiarato da Diliberto sintetizzabile così: “tutto pur di evitare il ritorno di Berlusconi. Qualcuno commentò divertito “chi è causa del suo mal…”. Non collimano i tempi di chi spinge il cui metro di riferimento sono i mesi e non gli anni.
PD, SCANSIONE TEMPORALE CHE OLTREPASSA LA PROSSIMA LEGISLATURA
Abbiamo invece netta l’impressione che l’operazione avviata nei giorni scorsi sconti una scansione temporale che oltrepassa la prossima Legislatura, considerata appannaggio del centro-destra e quindi propizia per rinserrare le fila non chiudendole ma cercando anzi di aprire più porte. Propizia per una leadership Prodiana con proiezione sul Colle a settennato di Napolitano concluso. Lo stesso Berlusconi ha capito che il tempo lavora per lui. Prodi al Governo gli ha portato molti consensi come un po’ tutti i sondaggi indicano. C’è ancora qualche problema che per lui sarebbe uno scoglio notevole – pensiamo alle pensioni – che, pensa, è meglio se la sbrighi questo Governo. Poi ci sono le Europee dietro l’angolo, primo test. Non dovrebbero esserci sconvolgimenti mentre il PD, a partire da ottobre, prenderà forma, un processo che non sarà certamente concluso a novembre, perlomeno non a novembre 2007.
A CHI LA LEADERSHIP DI LUNGA DURATA
Ma quale è allora la posta in gioco? Da anni siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Non siamo profeti e non abbiamo il dono della preveggenza, per cui l’avere in tutti questi anni indicato in anticipo la via che il Paese avrebbe percorso è solo il frutto della logica, applicando le leggi della politica che pochi sanno esistere Una sofisticata versione della psicologia di massa).
Non ci è capitato finora di sbagliare e riteniamo pertanto possibile che neanche questa volta succeda nel dare la risposta all’interrogativo.
La posta in gioco è la leadership, reale, nel e del Paese non per una Legislatura. La caratterizzazione cioè di un decennio e più. Lo richiede la situazione dell’Italia che non è rosea in un contesto di globalizzazione in cui le debolezze pesano e penalizzano. Un’Italia che perde due posizioni nella graduatoria dei Paesi industriali con piedi di argilla costituiti dal fabbisogno di energia, sempre meno disponibile, sempre più cara. Continuità di Governo e di linea è condizione non ancora sufficiente di per sé ma intanto indispensabile.
Certo, ci sarà anche il problema dei nomi come taluni sottolineano richiamando l’attuale esempio delle elezioni francesi, ma molto meno rispetto ai cugini d’Oltralpe perché noi alle spalle abbiamo tangentopoli.
TANGENTOPOLI: ANZICHÉ I POLITICI SI È COLPITA LA POLITICA
Tangentopoli (“t” come per noi consueto minuscola) ha visto l’ingiusta generalizzazione, quantomeno per chi faceva riferimento al “CAF” (Craxi, Andreotti, Forlani). Tutti mascalzoni, furfanti di tre cotte? Non era affatto così come centinaia di sentenze pienamente assolutorie hanno dimostrato ma come d’altronde era noto perché in giro per l’Italia si conoscevano bene i “furbi” (pochi) e le persone oneste (tante). Voltando pagina, mettendo alla berlina – alcuni in galera e, fra questi, molti con ingiustizia somma – tanti, non si è fatto quello che ci sarebbe stato da fare: colpire, anche duramente, i politici affaristi.
Fuorviante.
In realtà anziché i politici si è colpita la politica che è elemento essenziale, cosa che è diventato arduo far capire alla gente.
QUANDO MANCA LA POLITICA: IL CASO DELL’IRAK
Basta pensare all’Irak. Quando con un personaggio come Rumsfeld a pilotare le cose Bush ha seguito la via dei muscoli ignorando gli appelli, Papa compreso, a ragionate, in definitiva a seguire la via politica – che poteva anche non riuscire ad evitare il ricorso alle armi – è andato a infilarsi, e, ahimé, a infilare anche noi, in un ginepraio che in questi tempi alcuni analisti definiscono peggiore del Vietnam.
E INTANTO, DIETRO L’ANGOLO…
Avendo alle spalle tangentopoli con quel che ne è venuto, avendo toccato con mano, a destra, a sinistra, al centro ma anche fuori, nei salotti o nelle segrete comprese quelle con tunnel sotterraneo, che cosa vuol dire l’assenza di politica, siamo su una strada per forza di cose, politica. E allora cosa c’è dietro l’angolo?
Conteranno sempre le persone perché le idee hanno bisogno di gambe per farle correre, ma avere la politica alle spalle è un’altra cosa. E qui si vedranno due cose. Da un lato se Berlusconi riuscirà nella trasformazione dal Partito del leader a leader del Partito. Per i tempi che si preannunciano non sono più sufficienti il carisma del leader e la caratteristica di movimento che deve lasciare il posto al Partito, sia pure strutturato in maniera moderna come certamente cercheranno di fare i fondatori del PD. E se lui non ci riuscisse come e chi terrebbe insieme il centro-destra. Dall’altro come andrà a finire nel PD. Prodi insiste che la leadership non potrà venire da poche migliaia di persone, in altri termini non dalle attuali classi dirigenti dei Partiti ma “dalla gente”. Sta pensando alle primarie e ai 4,5 milioni di voti che lo avevano indicato candidato-premier. Chi lo sta consigliando sbaglia perché dimentica che tutti si sono messi sulla strada della politica, che è sintesi e non egemonia. E dimentica che altro è il caso del PD e altro quello del Governo per il quale tutti hanno dovuto fare di necessità virtù, pena l’immediata riconsegna del potere al centro-destra.
E IL GOVERNO?
Fa comodo a tutti, paradossalmente, che vada avanti così. A Prodi perché non deve traslocare da Palazzo Chigi, mantenendo aperta quello, pur non vicino, per il Quirinale. Al centro-sinistra perché non passa la mano. Al centro-destra perché da un lato gli fa comodo il logoramento del Governo e degli avversari. In questo caso Andreotti non ha ragione in quanto se è vero che il potere logora chi non ce l’ha è anche vero che questo vale se chi al pallino è uno, ad esempio, come Andreotti che lo sa far valere anche sul fronte del consenso. Dall’altro ci sono ancora due o tre problemi, primo quello delle pensioni – che per il centro-destra sarebbe arduo trattare per l’opposizione che avrebbe dentro e fuori il Parlamento -, da lasciar smazzare al centro-sinistra.
Salvo incidenti regata di bolina.
Alberto Frizziero