La solitudine in tempi di Coronavirus
(Maria de falco Marotta) Forse sono un’illusa, una che crede fermamente al Signore Iddio e penso che certi fatti accadono proprio perché Lui vuole che la persona che ha creato nel paradiso terrestre riprenda il suo cammino verso il bello, la comprensione dialogica, il senso della comunità.
Ma in che modo il progresso ci ha portati ad una condizione umana così distante da quella della socialità tipica della nostra specie? In che modo il progresso ha portato gli individui ad un paradosso che tocca la stessa possibilità di sopravvivenza della specie?
Zygmunt Bauman, aveva capito che un individualismo sfrenato, un neoliberismo senza limiti, un’esaltazione dell’assenza di limiti avrebbero potuto comportare dei rischi. Egli individuava, infatti, l’assenza di rappresentatività della vita pubblica, dell’agorà, l’indice chiaro di un problema che sarebbe sorto.
Bauman aveva capito che la libertà individuale articolata all’interno di quella collettiva non esiste quasi più. E così vedeva una società che aveva perso le coordinate del suo viaggio collettivo, del quale non sembrava più avere il controllo, quasi come “se i passeggeri di un aereo che si accorgessero che la cabina di pilotaggio fosse vuota, e che la voce rassicurante del capitano fosse soltanto la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima”.
Siamo diventati troppo sfrenati, non abbiamo più il controllo della famiglia, ciascuno fa quello che vuole, senza regole- non parliamo di leggi- ridacchiando su quanto dicono “gli anziani”.
Non voglio essere una pessimista, ma credo proprio che il coronavirus sia un “Castigo” dall’Alto.
(Cfr: La solitudine del cittadino globale, pubblicato in Italiano da Feltrinelli nel 2000).