MINISTRI A GOGO. UNO DOPO L’ALTRO CON IL DISASTRO “SPECIALE” DI PADOA SCHIOPPA. UN’ANALISI RIASSUNTIVA PARTICOLARE

Un commento desolato - LA PRIMA: Lanzillotta - IL SECONDO: Povero Bianchi - IL TERZO: Padoa Schioppa: uno dopo l’altro, tre ceffoni. Il terzo micidiale

Desolato commento nella consueta Piazza Garibaldi di Sondrio: “ma perché ci facciamo male da soli?”. E’ un “democratico” che parla sconsolato, riferendosi sia a Roma che a Sondrio, e ai regali che stanno facendo a Roma a Berlusconi e a Sondrio al centro-destra non sfruttando le sue difficoltà. E in effetti se fosse entrata in vigore subito la riforma che limita a 12 il numero dei Ministri sarebbero andati a casa quelli che ogni giorno ne inventano una di storta.

LA PRIMA: LanzillottaDella Lanzillotta s’è detto con le sue topiche con i Comuni confinanti con tentativo di recupero all’ultimo momento probabilmente perché qualche collega l’ha ricondotta sua via della ragione.

IL SECONDO: Povero Bianchi

Abbiamo scritto che sarà bene un professore universitario, anzi Rettore dell’Ateneo calabrese, ma in fatto di politica deve ancora riuscire ad ottenere la licenza elementare, probabilmente un ostacolo quasi insormontabile visto come opera.

- UNO. Da un quarto di secolo non c’era uno sciopero generale del trasporti, di tutti i trasporti (aerei, treni, gomma, metro, traghetti; forse unica eccezione i gondolieri). E, incredibile a dirsi e a credersi, persino di tutti i sindacati, compresi gli irriducibili di sinistra politicamente riconducibili, come lui, al Partito dei Comunisti italiani. Il 30 novembre si è fermato tutto. Ineffabile e imperturbabile, con la sua barba bianca e con l’atteggiamento del cattedratico universitario di una volta.

- DUE. Poi i camionisti, con la fesseria di fissare un incontro non già qualche giorno prima del periodo di sciopero, ma al secondo giorno forse nella speranza di un flop, del tutto vanificata. Anzi questo atteggiamento è stato del tutto controproducente al punto che nei sondaggi la condivisione dello sciopero – pur con qualche riserva sul metodo – era altissima e quindi compresa molta parte dello stesso elettorato di centro-sinistra. Ineffabile e imperturbabile, tanto che è dovuta intervenire la Presidenza del Consiglio.

- TRE. Annunciato nei prossimi giorni lo sciopero del trasporto locale. Ineffabile e imperturbabile barba bianca.

- QUATTRO. Annunciano sciopero i ferrovieri. Ineffabile e imperturbabile barba bianca.

- CINQUE. I sindacati, quelli “suoi amici” compresi, annunciano sciopero a Natale del trasporto aereo per essere tenuti all’oscuro delle trattative per la cessione di Alitalia ma soprattutto perché da mesi e mesi non si tirano su le calze con la situazione che va sempre peggio, perdendosi un milione al giorno. Ineffabile e imperturbabile barba bianca.

Povero Bianchi, cattedratico universitario con le orecchie d’asino in politica. Ma chi gliel’ha fatto fare di andare al Governo? Ma soprattutto chi gliel’ha fatto fare a Prodi di prendersi a bordo

IL TERZO: Padoa Schioppa: uno dopo l’altro, tre ceffoni. Il terzo micidiale

Tommaso Padoa Schioppa, VIP figlio di un VIP della finanza, laurea alla Bocconi più altre hc, curriculum da poteri forti, si dimostra un bel concorrente del povero suo collega Ministro Bianchi in fatto di orecchie d’asino in politica.

Non sono pochi quelli che nel centro-sinistra dicono che forse era meglio fare a meno di un Ministro dal palmarès molto “Vipposo” professionalmente parlando ma, come “Barba bianca” di cui avanti in fatto di politica deve ancora riuscire ad ottenere la licenza elementare, probabilmente un ostacolo quasi insormontabile visto come opera. Sono infatti tre i ceffoni che ha preso lui e. ahimé dice qualcuno, anche il centro-sinistra nonché lo stesso Prodi per colpa sua.

UNO. Il centro-destra ha la maggioranza per un voto in RAI mentre il centro-sinistra ha la Presidenza, sia pure concordata, Dopo il successo elettorale, sia pure di misura, il centro-sinistra avrebbe avuto diritto, per prassi consolidata, ad avere la maggioranza lasciando la Presidenza, sia pure concordando la scelta, al centro-destra.

No, il Ministro del Tesoro revoca il membro di sua nomina rovesciando così i rapporti di forza innescando polemiche fortissime ma, soprattutto, determinando il ricorso al TAR del consigliere revocato. Padoa Schioppa si lascia andare a dichiarazioni perentorie circa l’esito. Qualcuno gli chiederà poi dove ha studiato diritto visto l’uno-due che si becca. Prima il TAR e poi il Consiglio di Stato. Primo ceffone al Ministro, giuridicamente comportatosi da dilettante allo sbaraglio. Del resto in tanti, e non solo del centro-destra, avevano previsto un esito per lui e, ahimé dicono alcuni per il Governo, infausto.

- DUE. Revoca del Comandante Generale della Guardia di Finanza in un contesto in cui molti vedono un nesso con la vicenda Unipol, la compagnia delle “cooperative rosse”. Pasticcio terribile sotto molti profili che mette a rischio anche la posizione di Visco, formalmente Viceministro ma in realtà vero e proprio Ministro delle Finanze. Se la caverà all’ultimo minuto quando Di Pietro e i suoi faranno marcia indietro per la soluzione di compromesso che lo ha lasciato al suo posto ma senza più le deleghe per la Guardia di Finanza. Il Governo fa ponti d’oro al Generale offrendogli posizioni di altissimo prestigio, secondo il vecchio detto latino “promoveatur ut amoveatur”. Il Generale, “schiena dritta”, manda a quel paese che gli fa queste offerte. Padoa Schioppa va allora in Parlamento con un capolavoro da dilettante allo sbaraglio dipingendo in modo truce il Generale Speciale come se ne avesse fatte più di Bertoldo. Anche un bambino delle elementari chiederebbe allora come mai gli hanno offerto mari e monti, addirittura un posto alla Corte dei Conti che, fra l’altro, esamina anche il Bilancio dello Stato. Polemica politica? Neanche per sogno. Lo dicono, assumendolo a elemento determinante, gli stessi giudici del TAR dando così il secondo ceffone sonoro, al Ministro a go-go: “NON NEGA IL COLLEGIO CHE PRIMA FACIE UN SINTOMO SERIO D’ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETÀ SI POSSA DEDURRE DAL FATTO CHE LE AMMINISTRAZIONI RESISTENTI DAPPRIMA PROPONGONO IL RICORRENTE PER LA NOMINA AD UN ALTISSIMO UFFICIO GIUDIZIARIO E APPENA DOPO LO RIMUOVONO DALL’INCARICO FINO A QUEL MOMENTO RICOPERTO PER RAGIONI DI SERIA, SE NON GRAVE INIDONEITÀ AL POSTO”

Nel Governo l’imbarazzo è massimo. La prospettiva di un nuovo cambio al vertice della Guardia di Finanza terrorizzante. Vista la sentenza il gen. D’Arrigo deve fare le valigie e far posto di nuovo al gen. Speciale. L’unica possibilità è quella di attaccarsi al fatto che la sentenza non sia definitiva ricorrendo al Consiglio di Stato. Su questa linea non è allineata la maggioranza che saggiamente non difende l’indifendibile.

Anna Finocchiaro, DS e capogruppo dell’Ulivo al Senato, da ex magistrato si rende conto del pasticcio mettendo le mani avanti parlando di “ERRORI DEGLI UFFICI”. La motivazione è certo reale che il TAR spiega con la concitazione degli eventi concentrati nella giornata del primo giugno – e quest’esigenza non era certo degli uffici – cosa giuridicamente rilevante in quanto violazione dei diritti al contradditorio. La relazione al Parlamento non l’hanno fatto certo gli uffici. Le dichiarazioni rese, o magari solo lette, dal Ministro Padoa Schioppa in aula si dimostrano un clamoroso boomerang, censurato appunto dal TAR con quanto prima riportato in maiuscolo. Un altro ex magistrato, e non di secondo piano, come Di Pietro ricorda come lui e il suo gruppo fossero contrarissimi e come avessero ottenuto almeno la revoca delle deleghe alla Guardia di Finanza al Viceministro Visco. Altre voci girano nella maggioranza fortemente critiche nei confronti di Padoa Schioppa, qualcuna anche nei confronti di Visco intorno a cui però si erge la muraglia difensiva di un compatto DS. Corre voce di una soddisfazione diffusa all’interno della Guardia di Finanza dopo, dicono “avere subito l’ingiusta decapitazione di giugno”.

Il Governo, decisissimo Prodi, annuncia la volontà di ricorrere al Consiglio di Stato ma nella maggioranza tira un’aria diversa. Molti danno per scontata un’altra sconfitta e a questo punto al Governo non resterebbe che una inevitabile ignominiosa ritirata con successivo scotto elettorale. Prodi non recede e fissa un incontro con Padoa Schioppa per definire i termini di questo ricorso.

-TRE. Il terzo sberlone arriva direttamente dal generale Speciale con un colpo a sorpresa incredibilmente efficace. Ci pare di poter dire quasi da vendetta servita fredda e con una sottile perfidia che ripagano il generale dai torti subiti. Stanno, Prodi e il Ministro dell’Economia, finendo il loro colloquio, l’ufficio stampa è pronto a diramare il comunicato che tutti attendono non tanto per la decisione – il ricorso è scontato – quanto per le motivazioni che, si sa, dovranno reggere in Parlamento ma anche alle obiezioni di chi nella maggioranza non è d’accordo. Interrompe l’incontro un funzionario che porta la notizia, arrivata – dicono – dal Quirinale, della lettera di dimissioni del gen. Speciale addirittura al Presidente della Repubblica, sprezzantemente precisando che la indizia a lui in quanto “sopra a questo Governo” con il quale non intende collaborare. L’irritazione di Prodi, dicono, raggiunge la stratosfera. Tommaso Padoa Schioppa, dicono, osserva distaccato, lui che in politica non ha neppure la licenza elementare per cui queste cose proprio non le capisce. Che il caos sia sovrano lo dimostra lo staff e lo stesso portavoce Siriana che per una indispensabile dichiarazione del Premier non trovano di meglio che fargli, o lasciargli, dire “Dimissioni irrituali nella forma e nel metodo” esponendosi alla ovvia replica “irrituale è stata la revoca di Speciale come il TAR del Lazio, e non a parole, ha certificato. Questa volta la sberla non è solo per il suo Ministro ma tocca violentemente anche lui e il suo Governo (scontate infatti le richieste di dimissioni e la presentazione di una sfiducia individuale, che, anche per la discreta discesa in campo di alcuni poteri forti, non passerà ma che costerà ancora un’altra volta alla maggioranza). Insiste dunque per il ricorso al Consiglio di Stato, nonostante che il fronte dei contrari si sia allargato.

Il colmo della vicenda è che il Viceministro Visco resta fuori della mischia e che addirittura ci sia chi propone la restituzione delle deleghe.

Per quanto riguarda il generale Speciale il suo ingresso in politica viene dato per certo. Se nel centro-destra o con Di Pietro è cosa che si vedrà. Il Vicepremier Rutelli ha criticato in TV questa scelta, ma obiettivamente, al di là della politica e di tutto non si sarebbe legata la cosa al dito? Non dimentichiamo infine che nello sfondo restano comunque Unipol e Consorte (ma i suoi, e del socio, 55 milioni come mai non si sa più niente? Visco gliel’ha fatte pagare le tasse?).

APPENDICE. LA LETTERA DEL GEN. SPECIALE

Il testo della lettera di dimissioni dall'incarico di Comandante della Guardia di Finanza inviata al Presidente della Repubblica dal generale Roberto Speciale si è dimesso, con una lettera inviata Napolitano. Il generale infatti aveva dichiarato che la sentenza lo aveva reintegrato nel suo ruolo, spogliandone ovviamente il successore generale D’Arrigo.

''Sig.Presidente della Repubblica

e, p.c., al Presidente del Consigli, al Ministro dell'Economia, al Ministro della Difesa

indirizzo a Lei questa lettera non solo perché, il primo giugno scorso, é stato chiamato a controfirmare la mia rimozione da Comandante Generale della Guardia di Finanza, ma sopratutto perché, allora ed oggi, Lei rappresenta questa Nazione e ne è il Capo, al disopra di tutto, anche della politica e del Governo''. Il mio senso, immutevole, di obbedienza verso lo Stato e, dunque, verso di Lei mi spinge a rassegnare nelle Sue mani le mie irrevocabili dimissioni dal Comando, proprio oggi che questo Comando, come le sarà certamente noto, mi è stato nuovamente restituito dai Giudici e, perciò, mi spetta di diritto. Questa mia scelta, con la quale auspico di porre fine, nell'interesse del Paese, ad una inutile e vergognosa polemica, è l'ultimo atto che, da militare, intendo fare a servizio della Guardia di Finanza e dello Stato, non desiderando più collaborare con il Governo in carica. Non pretendo alcuna gratitudine, perché credo che, chi opera nello spirito di servizio verso le Istituzioni, non si debba aspettare riconoscimenti, né in alcun modo possa anelarvi. La mia immagine, che in questi mesi è stata fatta oggetto di un assalto ingiusto e selvaggio da parte di informatori spregiudicati, faziosi e privi di ogni moralità, è stata, finalmente, risarcita e onorata.

Per me, Sig.Presidente della Repubblica l'annullamento giurisdizionale della mia rimozione vale più di qualunque somma, perché un riscatto morale non ha prezzo. Attendo, con eguale pazienza, l'ora in cui saranno smentite le calunnie violentemente indirizzatemi contro nel tentativo, indegno, di condizionare la magistratura che doveva giudicarmi. Sono certo che il Generale Cosimo D'Arrigo potrà servire la Guardia di Finanza degnamente e pienamente, perché è un uomo di grande valore".

Il Presidente della Repubblica, correttissimo, non ha ritenuto “irrituale” la lettera e l’ha trasmessa per le determinazioni del caso agli organi di Governo. Il Ministro dell’Economia ha accolto le dimissioni dandosi così – anche se non poteva fare altrimenti – il quarto ceffone.

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