UNA PASQUA 2006 CHE CI SCONVOLGE

Il 6 aprile sono state mostrate in pubblico per la prima volta alla National Geographic Society di Washington alcune pagine de: Il Vangelo di Giuda. Il codice, scritto su papiro e legato da un laccio di pelle, è stato probabilmente copiato in copto intorno al 300 d.C. ed è stato ritrovato negli anni Settanta nel deserto presso El Minya, in Egitto . In seguito è finito nelle mani di mercanti di antichità e dall’Egitto è passato in Europa e poi negli Stati Uniti, dove è rimasto in una cassetta di sicurezza a Long Island per 16 anni prima di venire acquistato dall'antiquaria di Zurigo Frieda Nussberger- Tchacos nel 2000.

Quando i suoi tentativi di rivendere il manoscritto fallirono, la Tchacos - preoccupata per lo stato di grave deterioramento del codice - lo cedette nel febbraio 2001 alla Maecenas Foundation for Ancient Art di Basilea per farlo conservare e tradurre. Conosciuto anche come Codice Tchacos, verrà riconsegnato all'Egitto e ospitato dal Museo copto del Cairo. Il Vangelo di Giuda contrariamente a quanto raccontano Matteo, Marco, Luca e Giovanni nel Nuovo Testamento, dove Giuda è ritratto come un traditore, qui vi appare come un prescelto da Dio per consegnare Gesù alle autorità su richiesta dello stesso Cristo affinché si compisse l’opera di redenzione e di salvezza del genere umano.

Però l’Iscariota nella considerazione cristiana, indica tuttora un caino del mite Agnello che noi cristiani ci apprestiamo a celebrare i suoi ultimi giorni proprio in questa settimana santa.

Farà ancora più impressione questa pubblicizzazione a fini commerciali e, forse, anche di studio su di un personaggio così oscuro che nell’immaginario collettivo è e rimane un traditore.

In Italia, poi, tutti stanno vivendo momenti tragici e drammatici per la morte del piccolissimo Tommaso Onofri, i cui funerali sono stati celebrati l’8 aprile con la partecipazione dolente non solo del popolo parmense, di tanti italiani e anche dai detenuti dei carceri che hanno voluto inviare corone di fiori e dimostrare così la loro condanna per degli assassini biechi che hanno violato l’innocenza in un modo insopportabile dal comune sentire, tant’é che gli internati dell’istituto di pena dove è rinchiuso il torvo Alessi gli gridano notte e giorno che sarebbe meglio che si suicidasse. Anche Giuda lo fece. Strana e terribile combinazione, ma così attuale da far rabbrividire.

Personalmente, mi ripugna un odio così feroce contro i due maggiori indiziati del grave reato, che pure meritano il ludibrio della gente, come anche mi è rimasta come un sasso sullo stomaco la frase della mamma di Tommy che è certamente da compatire per l’orrore che le si è riversato addosso e che ha dichiarato che vorrebbe vedere soffrire piano piano i due Giuda.

A cosa le servirebbe, forse che le sue pene sparirebbero? Non è meglio affidarli alla contorta giustizia degli uomini e al giudizio di Dio che, leggendo la Bibbia, non è mai troppo tenero con gli assassini?

Ed è per tale ragione che la mia riflessione sulla Pasqua, si incentra su Giuda e la morte di Gesù, affinché il buon Dio, lenisca il dolore dei genitori di Tommy e di quanti si sentono offesi per la sua tragica fine.

Giuda

Fin dalla prima volta che è nominato, Giuda è indicato come "quello che poi lo tradì" (Mt 10, 4; Mc 3, 19; Lc 6, 13).

Il tragico appellativo di "traditore", rimarrà legato per sempre al suo ricordo.

Come poté arrivare a tanto uno che Gesù aveva scelto, perché lo seguisse più da vicino?

Si lasciò trascinare da un amore adirato per Gesù, che poi maturò in sospetto e risentimento?

Lo farebbe credere il bacio, gesto che dice amore, ma che divenne l’atto che consegnava Gesù alla coorte.

O forse fu colto dalla delusione nei confronti di un Messia che si sottraeva al ruolo politico di liberatore d'Israele dal dominio straniero?

Giuda non tarderà ad accorgersi che il suo sottile ricatto si concluderà con un disastro.

Perché, non la morte del Messia aveva desiderato, ma solo che si riscuotesse e assumesse un atteggiamento deciso.

E allora: vano rimpianto del suo gesto, rifiuto del salario del tradimento (Mt 27, 4), resa alla disperazione.

Quando Gesù parlerà di Giuda come "figlio della perdizione",

si limiterà a ricordare che così si adempiva la Scrittura (Gv 17, 12).

Un mistero di iniquità che a noi sfugge, ma che non può sopraffare il mistero della misericordia. Dopo il ritrovamento de:Il Vangelo di Giuda, sono state avanzate parecchie ipotesi: quella formulata da Craig Evans, docente di Nuovo Testamento presso l'Acadia Divinity College dell'Acadia University di Wolfville, in Canada, è che Gesù avesse in privato dato istruzioni a Giuda di portarlo alle autorità romane. Si spiegherebbe così la frase a lui rivolta e riportata dal Vangelo di Giovanni: «Qualunque cosa tu debba fare, falla in fretta»

ALCUNE TEORIE DI STUDIOSI( CREDENTI E NON) PER SPIEGARE LA MORTE DI GESÙ

Un portavoce del New Age americano, ha dichiarato: «Le chiese cristiane hanno dato al mondo una concezione del Cristo inaccettabile per l’uomo contemporaneo: quello del solo e unico figlio di Dio, sacrificato da un padre che amava salvarci dalla conseguenza dei nostri peccati: un sacrificio di sangue, direttamente scaturito dalla vecchia legge giudaica. Abbiamo rigettato questa concezione, perché ciò non corrisponde alla nostra conoscenza della storia, della scienza e della altre religioni».

Nel libro di Maria Le Hardouin, Dieu et l’homme c’è scritto: «Il cristianesimo sembra essere proprio la sola religione alla quale io non potrei mai, spiritualmente, sottoscrivere. In questo c’è il mio dissidio. Il mio cuore si ammetterebbe facilmente cristiano, la mia mente, per contro, si oppone assolutamente alla nozione del peccato originale e a quella di un Redentore che muore per riscattare da questo stato. Mi è impossibile passare dalla porta della colpa peccaminosa alla sofferenza redentrice… Io dovrei poter ripudiare il cristianesimo, poiché il sangue di un innocente, che scorre nel nome di uno sbaglio che io non ho commesso, è per me un inspiegabile scandalo. E pur tuttavia… è la persona stessa di Cristo che mi è sensibile al cuore, è con essa che mi sembra di aver da qualche parte legato ancora prima della mia nascita, poiché è il contemporaneo sempre giovane di ognuno di noi».

Alister Hardy, nelle sue Gifford Lecture del 1965, si era chiesto se Gesù stesso sarebbe stato cristiano se fosse vissuto oggi. «Dubito molto di ciò» era la risposta che si era data. «Non ci avrebbe parlato, ne sono certo, di un Dio il quale si sarebbe placato mediante il sacrificio crudele di un corpo straziato… Non posso accettare l’ipotesi che Dio, prendendo forma in suo Figlio, torturò se stesso per la nostra redenzione. Posso solo confessare che, nel profondo del mio cuore, considero tali idee religiose tra le meno attraenti di tutta l’antropologia. Per me esse appartengono a una filosofia e a una psicologia molto diverse da quelle della religione insegnata da Gesù”.

Gli autori del N.T. il giorno dopo la morte di Gesù non si sono trovati con una teologia della croce formulata in ogni dettaglio. Anzi hanno vissuto la delusione, lo sconforto e lo smarrimento (Luca 24:13-35; Giovanni 20:19). Durante il ministero del Maestro, anche se a più riprese aveva parlato della sua morte i discepoli non l’avevano presa sul serio e tra di loro serpeggiava sempre il pensiero su chi fosse il maggiore dopo che il Cristo si fosse manifestato. Dalla Pentecoste Gesù è il Cristo, è il vivente perché ha vinto la morte risuscitando (Atti 3:13,26; 4:27,30; 8:32,33). Si hanno poi con l’apostolo Paolo altre affermazioni per spiegare con la morte di Gesù la salvezza. Gesù è morto «per i nostri peccati» e «in conformità alle Scritture» (1Corinzi 15:3,4); è il nuovo agnello pasquale, che segna una nuova era di salvezza e liberazione (1 Corinzi 5:7) e la Cena del Signore rievoca il nuovo patto «per la remissione dei peccati» annunciando la sua morte fino al giorno del suo ritorno (Matteo 26:26-28; 1 Corinzi11.24,25; Luca 22:17). Gesù è morto perché «è stato dato a cagione delle nostre offese, ed è risuscitato a cagione della nostra giustificazione» Romani 4.25. In lui si compie «la giustizia di Dio mediante la fede… tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, e sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la reden¬zione che è in Cristo Gesù, il quale Iddio ha prestabilito mediante la fede nel sangue d’esso, per dimostrare la sua giustizia, avendo egli usato tolleranza versi i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; per dimostrare, dico, la sua giustizia nel tempo presente; ond’Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù» Romani 3:22-26. La morte di Gesù manifesta l’infinito amore del Padre per gli uomini (Romani 5:6,8-11). In Gesù abbiamo il secondo Adamo, una nuova umanità (Romani 5:12 e seg.).

Dopo l’epoca apostolica ci fu sempre la necessità di spiegare la morte di Gesù. Crediamo che essa abbia trovato più un adattamento alla situazione culturale e sociale del momento che espresso il pensiero teologico, complesso, che la Sacra Scrittura presenta.

Già nei primi due secoli i Padri della Chiesa, pur non formulando una teologia sistematica della croce, tentano di dare una spiegazione della morte di Cristo Gesù. In prevalenza si accontentarono di ripetere i testi biblici che la presentano per la salvezza dell’umanità. Dal concilio di Nicea (325) al concilio di Costantinopoli (681) pur discutendo della morte di Gesù hanno accentrato la loro attenzione sulla sua natura e non sulla redenzione. Hanno cercato, quindi, di definire la natura del Figlio di Dio, ma non quello dell’opera della sua salvezza.

Quanto però detto nei primi secoli da Ireneo, Origene, Atanasio, Agostino, Cirillo di Gerusalemme, Basilio , Gregorio Magno, lo si trova ripetuto nei secoli successivi.

Si ritiene che quanto compiuto da Gesù per la salvezza dell’umanità non sia un misterioso espediente che soddisfi le esigenze di Dio per perdonare, ma l’espressione della volontà eroica della divinità per portare alla ragione le sue creature, manifestando la propria natura.

Poiché l’intelletto umano si arrabatta continuamente per spiegarsi cose difficilmente comprensibili, nel tempo teologi, scrittori di ogni tendenza, hanno imbastito teorie e ipotesi sulla morte dell’Agnello Gesù che noi celebriamo devotamente a pasqua.

Ne riassumo, seppure con le limitazioni imposte dal dovere di far partecipi chi legge, alcune affermazioni circa le varie teorie.

TEORIA DEL RISCATTO

Questa spiegazione è stata empiricamente formulata per la prima volta da Ireneo, allievo di Policarpo che era discepolo di Giovanni l’evangelista, nella seconda metà del II secolo. È stata arricchita nel tempo dall’arte oratoria dei vari predicatori di salvezza, sfumando anche e svigorendo il pensiero dei Padri.

Origene (185-254), scrive :«Riconoscete la verità di quel che scrive san Pietro: noi non siamo stati riscattati a prezzo di argento e oro corruttibile, ma mediante il prezioso sangue del Figlio unico. Se siamo stati comprati per un prezzo, come afferma anche san Paolo, siamo stati senza dubbio comprati da qualcuno di cui eravamo schiavi, da qualcuno che ha reclamato il prezzo che voleva per rendere la libertà a coloro che deteneva. Ora è il demonio che ci deteneva: noi ci eravamo venduti a lui con i nostri peccati, ed egli perciò ha reclamato come prezzo del riscatto il sangue di Cristo».Gregorio Nisseno diceva: «Noi ci eravamo venduti volontariamente; di conseguenza colui che per bontà ci riscattava per rimetterci in libertà, doveva concepire non un procedimento salvifico tirannico, ma un procedimento conforme alla giustizia. Era un procedimento di questo genere lasciare che il possessore scegliesse il riscatto che voleva ricevere come prezzo di colui che deteneva». Per Giovanni Crisostomo il demonio ha superato ogni diritto colpendo Gesù a morte; questi infatti non era colpevole di alcun peccato e non doveva quindi essere sottomesso alla morte.

S. Agostino registra: «Per un certo effetto della giustizia divina il genere umano è stato consegnato al potere del diavolo… Non bisogna intendere che Dio abbia comandato o fatto che accadesse questo, ma lo ha soltanto permesso, giustamente tuttavia… Il diavolo non doveva essere superato dalla potenza, ma dalla giustizia di Dio…

Qual è dunque questa giustizia che ha vinto il diavolo? Quale se non quella di Gesù Cristo?”

I Padri che seguirono, fino a Gregorio il Grande (540-604), si compiacquero di sviluppare questo pensiero.

. Nella sua storia dei dogmi , da Agostino ad Anselmo, la teoria della redenzione mediante la distruzione dell’impero del diavolo ha regnato senza rivali nella Chiesa latina.

Tuttavia, fin dall’epoca patristica, il lato troppo commerciale e giuridico della teoria dei diritti del demonio fu vigorosamente contestato.

Il N.T. dice però che Cristo si è acquistata la Chiesa (1 Pietro 2:9), che essa è diventata come l’antico Israele, un popolo che gli appartiene (Tito 2:14). Il prezzo per questo acquisto è stato molto alto (1 Corinzi 6:20; 7:23), il suo proprio sangue (Atti 20:28; 1 Pietro 1:18, 19) che è il mezzo con il quale avviene la nostra redenzione (Efesi 1:7), il nostro riavvicinamento a Dio e la nostra purificazione (1 Giovanni 1:7).

Invece Atanasio (298-373), nato ad Alessandria d’Egitto e patriarca della città, nella sua opera De Incarnatione Verbi presenta Gesù che offre al Padre la sua vita per riscattare l’umanità dalla morte.

Pietro Lombardo esprime lo stesso pensiero nei termini seguenti: «Questo è il prezzo della nostra riconciliazione, che Cristo offrì al Padre per placarlo».

Octavius Winslow afferma concisamente: «“Chi mandò Gesù a morte? Non Giuda, per denaro; né Pilato, per paura, né i giudei, per invidia; ma il Padre, per amore!”

È essenziale tenere uniti questi due modi complementari di considerare la croce. A livello umano Giuda lo consegnò ai sacerdoti che lo consegnarono a Pilato, che lo consegnò ai soldati che lo crocifissero. Ma a livello divino, fu il Padre a consegnarlo, ed egli dette se stesso, a morire per noi. Quando affrontiamo la croce, dunque, possiamo dire a noi stessi: “Sono stato io a farlo, i miei peccati lo hanno mandato lì” L’apostolo Pietro ha unito le due verità nella straordinaria affermazione pronunciata nel giorno della Pentecoste, dicendo : “quest’uomo… vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e per la prescienza di Dio” e “voi, per mano d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste”. «Gesù Cristo cedette la propria vita perfetta per ricomprare ciò che Adamo aveva perso. Lì (in cielo), Gesù è tornato ad essere una persona spirituale, apparve “dinanzi alla persona di Dio per noi”, portando il valore del suo sacrificio di riscatto (Ebrei 9:12,24). Fu allora che il riscatto venne pagato a Dio in cielo. Ora l’umanità poteva essere liberata».

La morte di Gesù è l’espressione della grazia di Dio.

L. Cerfaux fa notare: «Gli scrittori ecclesiastici hanno talvolta esagerato l’importanza della metafora dell’acquisto e del riscatto, drammatizzando l’atto posto nell’occasione della morte di Cristo. Secondo il pensiero di S. Paolo il prezzo di acquisto non è certamente pagato né alle potenze (celesti) né al demonio. E non sembra nemmeno che sia pagato a Dio. Poiché è il peccato (più o meno personificato) che ci teneva in schiavitù, è con esso che si concluderà il mercato, ma Paolo resta piuttosto nel vago. Ciò non offre nessuna difficoltà, se pensiamo che l’idea essenziale è quella di liberazione; e da questa si passa al modo ordinario con cui ci si libera dalla schiavitù».

La morte di Gesù sul Golgota dimostra l’ampiezza del nostro rifiuto di Dio. Gesù ci ha fatto sapere che Dio ci ama in modo così forte da superare l’abisso della nostra colpa, ci ama in modo illimitato.

Egli ha preferito morire, piuttosto che servirsi della potenza di Dio che era in lui per distruggere quelli che volevano ucciderlo. È morto per la riconciliazione che Dio offre all’essere umano. L’amore di Dio è così grande che egli preferisce soffrire il danno supremo, la morte in se stesso, piuttosto che perderci. Ecco perché il sangue di Gesù è effettivamente il prezzo del perdono, e la riconciliazione fra Dio e l’essere umano è legata alla persona di Gesù. Non solo al suo insegnamento, ma soprattutto al suo destino, alla sua morte sulla croce. L’affermazione “Gesù è morto per il nostro peccato” significa: ha portato nel suo corpo le conseguenze del nostro peccato, la realtà spaventosa che noi abbiamo prodotto.

In Gesù Cristo, Dio viene verso di noi, da questa parte dell’abisso; conosce per così dire dall’interno tutte le conseguenze del nostro essere senza Dio: angoscia, solitudine, disperazione. Quando Gesù ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46), l’abisso che noi non avremmo mai saputo superare è stato superato dalla parte di Dio: Gesù si è trovato definitivamente dall’“altra parte”. Dio stesso è entrato nella situazione senza Dio, perché anche il luogo più desolato, la morte, non fosse più senza Dio. Da questo momento non c’è più alcun luogo in cui Dio non sia pronto, letteralmente a braccia aperte, ad accoglierci».

TEORIA DELLA SOSTITUZIONE

La categoria della sostituzione non è biblica. Tuttavia numerosi commentatori ne hanno trovato la realtà in diversi testi scritturistici. In essi ritroviamo: la profezia del servo sofferente (Isaia 53), i famosi versetti di Galati 3:13 e 1 Corinzi 5:21.

Essa ha le sue origini nel pensiero di Atanasio nel IV secolo (298-373) e sembra dominante al Concilio di Nicea nel 325. Cristo Gesù prende il posto del peccatore subendo il giudizio del Padre e liberando così l’uomo dalla condanna. Atanasio mette l’accento sulla soddisfazione che Dio debba avere nella sua giustizia e veridicità.

Nel commento a Isaia 53 Cristo è detto l’oggetto della collera stessa di Dio: “Così Cristo, Figlio di Dio, è … l’unica persona … che prende su di sé i nostri peccati e attira su di sé la collera di Dio a motivo dei nostri peccati… In effetti la collera di Dio non poteva essere placata e neutralizzata se non mediante una simile e sì grande vittoria quale è il Figlio di Dio, lui che non poteva peccare

Un testo attribuito a Taulero, tradotto in latino nel 1548 dal certosino Surio e largamente diffuso in Europa, parla dell’agonia del Signore: “Egli si è prostrato e prega non come Dio né come un giusto, ma come un pubblico peccatore…, come se fosse indegno d’essere ascoltato dal Padre suo e si vergognasse di levare gli occhi al cielo. Egli si ritrova come abbandonato da Dio, nemico di Dio, affinché noi, nemici di Dio, diventiamo amici e figli eletti di Dio. Sta scritto: ‘è terribile cadere nella mani del Dio onnipotente, ed ecco che il dolce Gesù sì è consegnato spontaneamente, con amore, per causa nostra, permettendo che tutta la collera, la vendetta e il castigo di Dio, da noi meritato, cadessero su di lui… Nel suo immenso dolore, Cristo parla come se in lui l’uomo interiore ricevesse sopra di sé, al posto dei peccatori, la sentenza di Dio”».

Calvino dice: “ Il grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” esprimeva il suo spasimo mentre soffriva le pene dei condannati, attimi di autentica disperazione. “Ha infatti sopportato la morte con cui l’ira di Dio colpisce i malfattori... Non solo il suo corpo è stato dato quale prezzo del nostro riscatto, ma vi è un altro prezzo, più degno e prezioso, nel sopportare i tormenti spaventosi riservati ai dannati... Non si può immaginare abisso più spaventoso che il sentirsi abbandonati da Dio, non ricevere risposta alle invocazioni e non potersi aspettare altro da lui che perdizione e volontà di distruzione. Gesù Cristo è giunto a questo, al punto che è costretto a gridare, tanto era oppresso dall’angoscia: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”.

Melantone affermava da parte sua: «Così grande è la severità del giudizio che non ci sarebbe nessuna riconciliazione se non ci fosse una pena subita; così grande è la collera che il Padre eterno non è rappacificato che dalla morte di suo Figlio per noi che ha attirato su di lui questa collera».

Salmeron, teologo gesuita del concilio di Trento, non esita a dire che Cristo ha assunto la persona di tutti i peccatori e la colpa di tutti i nostri delitti, al punto di poter essere giustamente chiamato il maledetto da Dio». Il Catechismo del concilio di Trento che ricorre esattamente allo schema della giustizia commutativa e della compensazione dice: «È soddisfazione l’intero pagamento di un debito, perché chi dice soddisfazione dice una cosa a cui nulla manca. Per esempio, quando parliamo di riconciliazione, soddisfazione significa rendere ad altri quel che possa essere sufficiente a riparare l’ingiuria di un animo; e così la soddisfazione non è altro che una compensazione (o riparazione) dell’offesa recata ad altri … In detto genere ci possono essere molti gradi, per cui la soddisfazione ha varie accezioni. La prima e la più eccellente è quella per cui, se Dio volesse agire anche con noi col suo massimo diritto, è già stato cumulativamente pagato tutto quello che noi gli dovevamo per conto dei nostri peccati. Questa è tale infatti da renderci Dio propizio e placato, e la riconosciamo offerta unicamente da Cristo Signore, che sulla croce col prezzo sborsato per i nostri peccati ha soddisfatto Dio pienamente… Questa è dunque la soddisfazione piena e universale, corrispondente in parità e uguaglianza al conto di tutti i peccati che sono stati commessi in questo mondo».

Non vi sono solo i teologi….

Un inno protestante cantato nel XIX secolo e nella prima metà del secolo scorso diceva: «Mezzanotte, cristiani, è l’ora solenne / in cui l’Uomo-Dio discese fra noi / per cancellare la colpa originale e placare la collera del Padre suo! / La legge inesorabile afferra la sua vittima, / un sangue d’un valore immenso placa il suo furore».

Victor Hugo con ironia beffarda nei confronti del teologo: «Voi prestate al buon Dio questo ragionamento: / “Un tempo ho messo il primo uomo con la prima donna / in un luogo meraviglioso e scelto con cura; / nonostante il mio divieto, essi hanno mangiato una mela; / per questo punisco gli uomini per sempre, / li rendo infelici sulla terra e prometto loro / nell’inferno, ove Satana si rigira nella brace, / un castigo senza fine per la colpa di un altro. / La loro anima si trasforma in fiamme e il loro corpo in carbone. Niente di più giusto. Ma, dato che sono molto buono, / la cosa mi affligge. Ahimè! Come fare? Un’idea! / Invierò loro mio figlio nella Giudea. Essi lo uccideranno. Allora, - per questo io acconsento – avendo commesso un crimine, saranno innocenti. / Vedendoli così compiere un crimine completo, / perdonerò loro quello che non hanno commesso; / essi erano virtuosi, io li rendo criminali; / posso dunque riaprire loro le mie vecchie braccia paterne, e in questo modo questa razza è salvata, / essendo stata lavata la loro innocenza da un misfatto».

L. Ackermann nelle sue Poésies philosophiques scriveva: «No a questo strumento di un infame supplizio, / ove, con l’Innocente divino e sotto i medesimi colpi, / vediamo spirare la giustizia ! / No, alla nostra salvezza, se essa è costata del sangue! / Poiché l’amore non può scagionarci di questo crimine, / avvolgendolo in un velo seduttore, / no, malgrado la Sua dedizione, alla vittima /, e no, soprattutto al sacrificatore! / Che importa che Egli sia Dio, se la sua opera è empia? / Come ha crocifisso il proprio Figlio? / Egli poteva perdonare, ma vuole che si espii. / Immola, e questo si chiama aver pietà!».

Il filosofo Nietzsche reagisce anche lui a questa visione di giustizia e di perdono mediante la punizione: «Come poté Dio permettere questo? A questo la turbata ragione della piccola comunità trovò una risposta di un’assurdità addirittura spaventosa. Dio dette suo figlio per la remissione dei peccati, come vittima. Fu di punto in bianco la fine del vangelo! Il sacrificio espiatorio e proprio nella sua forma più ripugnante e più barbara, il sacrificio dell’innocente per i peccati dei rei. Quale raccapricciante paganesimo».

Più vicino a noi, il teologo protestante Karl Barth, ribadendo l’insegnamento dei riformatori, scrive a proposito di quanto è avvenuto nel venerdì santo: «Egli stesso ha subito al nostro posto la collera eterna»: perché «nella persona di questo Crocifisso, il peccato d’Israele e quello del mondo intero, la nostra collettiva, come anche ognuna delle nostre trasgressioni, sono state l’oggetto della collera e della retribuzione divina». La crocifissione di Gesù è il «giudizio reale di Dio... la maledizione della collera divina su ogni iniquità e ingiustizia degli uomini...

Nella morte di Gesù Cristo è dunque la giustizia di Dio sotto il suo aspetto di condanna e di punizione che si è scatenata contro il peccato umano. Essa ha realmente colpito il peccato d’Israele, il peccato nostro e di tutti. Per ciò che è avvenuto sulla croce nella persona di Gesù Cristo, la giustizia di Dio, offesa da Israele e da noi stessi, è stata manifestata e perfettamente soddisfatta. In altre parole, la sofferenza causata da Israele e da noi stessi, è stata subita per Israele e per noi stessi; e la collera di Dio, che noi abbiamo meritato e che doveva segnare il nostro annientamento, è caduta su un altro - come se essa ci avesse colpito benché non ci abbia colpito e non possa più colpirci».

La morte di Cristo salva il peccatore dalla morte, lo sottrae alla sua colpevolezza e lo giustifica. Egli ha compiuto una riconciliazione tale che l’uomo non ha più bisogno di temere la collera di Dio. Egli ne è salvato dalla morte del Cristo alfine di potersi girare, non più verso la collera, ma verso la vita (1 Timoteo 5:9). Gesù ha preso su di sé la colpevolezza e la condanna del peccato, di modo che la collera di Dio è stata placata...

Madre Teresa di Calcutta diceva: «Dio crocifigge suo figlio per espiare il peccato e crea l’inferno per punirlo».

Nell’ambito cattolico, nel Messale Romano del 1o luglio, festa del Preziosissimo Sangue, l’orazione liturgica comincia con questa invocazione: «O Dio, che hai costituito Redentore il tuo Unigenito e che hai desiderato d’essere placato col suo sangue...»

I sostenitori della teoria della sostituzione giustificano la loro posizione basandosi sull’A.T.

I passi che più vengono citati sono:

Genesi 22:13 Abramo che sull’altare aveva adagiato il figlio Isacco, sacrifica poi il montone.

Deuteronomio 21:1-9 presenta la giovenca che si immola in occasione degli omicidi ignoti.

Anche i primogeniti dei figli d’Israele vengono riscattati mediante l’offerta dell’agnello a sostituzione delle proprie persone (Numeri 18:15; Esodo 13:13).

In occasione del sacrificio espiatorio si poneva la mano sul capo della vittima e mediante questo rito si stabiliva un legame, una identificazione, ma questa non aveva però valore di sostituzione penale. L’imposizione della mano avveniva anche in occasione dell’offerta dell’olocausto e del sacrificio di azione di grazia (Levitico 1:4; 3:2) i quali esprimevano devozione e ringraziamento dell’offerente nei confronti dell’Eterno. La morte dell’offerta permetteva di avere il suo sangue che era il mezzo con il quale Dio purificava, santificava e consacrava a sé l’offerente il quale, riunitosi a Dio, godeva del rapporto filiale.

In Israele il riscatto, la salvezza, la liberazione potevano essere compiute da una persona nei confronti di un’altra mediante i propri mezzi economici o avvalendosi dei diritti di parentela o mediante un intervento personale.

Anche nel cerimoniale dei popoli vicini i sacrifici espiatori avevano un significato di sostituzione.

Stando più prossimi al nostro tempo, si può, forse, concludere che se la morte di Gesù, con il suo atroce supplizio sono volute dal Padre e tutto corrisponde a un disegno prestabilito e programmato dall’Eterno, ha ragione(forse?) Giuseppe Berto, nel suo libro, La Gloria, quando mette nella mente e in bocca a Giuda le seguenti riflessioni: «Io, Giuda, da Te (Gesù) segnato come figlio della perdizione, sono stato semplicemente strumento affinché si adempisse una Scrittura, cioè fosse fatta la misteriosa volontà dell’Eterno? - Era scritto che qualcuno avrebbe consegnato, e io mi dissi disposto a consegnare il mio Rabbi, Gesù da Nazareth di Galilea. - Tutto risolto, per tutti e per sempre. Io solo dannato e maledetto per ciò, perché ciò avvenisse. Lui lo sapeva che la sua gloria sarebbe stata dovuta anche a quel che io pagavo in ignominia e dannazione eterna. - Ma noi due (Giuda e Gesù) sapevamo che non c’era possibilità di scontro, né di variazioni: dovevamo realizzare un evento già scritto, stando tutti e due nella necessità di una mostruosa innocenza, o di un’ancor più mostruosa inconsapevolezza. Fu il mio ultimo dovere d’amore, e ciò che sarebbe accaduto dopo ne avrebbe dato spiegazione e giustificazione, l’avrebbe fatto entrare nella gloria come necessità, e poco importa ch’io fossi destinato a pagarlo con dannazione. - Per due volte quasi di seguito, in quel disperato passaggio che concludeva la sua difficile lotta per l’accettazione, egli aveva parlato della inevitabilità che accadesse secondo quanto era stato stabilito dal padre nell’infinità dei tempi. Egli sempre faceva le cose gradite al padre, non sarebbe stato abbandonato. Poi concluse dicendo: “D’altronde questa è la vostra ora e le tenebre dominano”. Voleva, con queste parole rivolte anche a me, ricacciare il mio tradimento nella sfera delle azioni responsabili e comunque punibili? Era il suo conciso commiato, dopo ch’io avevo mantenuto gli impegni, e dovevo andarmene dalla storia?».(e il Vangelo di Giuda, che tanto scalpore sta suscitando, non induce a tali riflessioni???)

Claudia Cardinale nel film Nell’anno del Signore, nelle vesti di una giudea, nella Roma del 1825, doveva assistere tutti i sabati alla messa, a sfregio della razza ebraica, durante la quale un frate, nella sua omelia, accusava gli ebrei presenti quali responsabili della morte di Gesù i quali, per non sentire quanto veniva detto, avevano tappato le orecchie col cotone, dice: «Ma se era nel disegno della Provvidenza che Cristo penasse e morisse da uomo, qualcuno lo doveva uccidere. Siamo stati noialtri giudei. Abbiamo fatto male? Io dico che abbiamo fatto bene. Così abbiamo compiuto la volontà di Dio. Ci dovrebbero rispettare».

Senza voler essere irriverenti, quello che sconcerta in questa teoria è: Dio compie il Suo giudizio, condanna il Figlio alla pena della Sua ira senza però sporcarsi le mani e, come il mandante, utilizza l’uomo come suo agente.

TEORIA DELLA SODDISFAZIONE E DEI MERITI

Il termine “soddisfazione” deriva dal diritto romano. La prima cosa da precisare è che esso non indica il pagamento totale di un debito o la compensazione rigorosa del male commesso. Satisfacere significa fare abbastanza. Nel diritto romano la soddisfazione sostituiva il pagamento di un debito: il creditore liberava il debitore che aveva fatto ciò che aveva potuto, che aveva fatto abbastanza».

Questa teoria è la conseguenza della precedente e diverse volte i teologi le fondono. È stata introdotta nella Chiesa da Tertulliano, giurista che svolse un ruolo notevole nel formulare il linguaggio teologico cristiano. Enunciò questo concetto ponendolo in relazione alla condotta penitenziale: «Affliggendo la carne e lo spirito, noi soddisfacciamo per il peccato e, nello stesso tempo, ci premuniamo contro le tentazioni». «Tu l’hai offeso, ma puoi ancora riconciliarti con lui. Hai a che fare con uno che accetta una soddisfazione, anzi la desidera». Tertulliano ha usato il termine in forma incidentale senza stabilire una regola precisa. In seguito la Chiesa chiederà al peccatore un’azione di soddisfazione a riparazione del male fatto per manifestare anche la propria conversione. Venne poi espressa da Agostino, ma fu poi S. Ambrogio che utilizzò il termine di soddisfazione in relazione alla croce. Collegando due testi del Salmo 38:20: «Essi mi odiano ingiustamente» con il Salmo 69:5: «Essi mi odiano senza motivo» osservava: «Alcuni pensano che questi due Salmi parlino della persona di Cristo, che soddisfaceva il Padre per i nostri peccati». Ambrogio insegnava che il riscatto era stato pagato al diavolo: «Il prezzo della nostra liberazione era il sangue del Signore Gesù, che bisognava necessariamente pagare a colui a cui noi ci eravamo venduti con i nostri peccati». Il vescovo di Milano vedeva in questo costo elevato del riscatto-salvezza anche la soddisfazione. In seguito questa espressione verrà utilizzata a proposito dell’intercessione dei santi e del sacrificio eucaristico. In una preghiera dei cristiani spagnoli, durante la dominazione araba, si recitava: «Ti offriamo, Padre sovrano, questa (ostia immacolata) per la tua santa Chiesa, per la soddisfazione del mondo peccatore, per la purificazione delle anime, per la guarigione di tutti gli infermi, per il riposo o l’indulgenza in favore dei fedeli defunti».

La spiegazione ha trovato in Anselmo d’Aosta (1033-1109), che ha vissuto per numerosi anni in Normandia e nominato arcivescovo di Canterbury nel 1093, la sua formulazione classica nel suo libro “Cur Deus homo?”.

Con qualche leggera modifica è stata sostenuta dal Concilio di Trento (1545-1563). Nel Medio Evo si è cercato di spiegare il sacrificio della croce con il diritto germanico in vigore nel periodo feudale, aggiungendovi il senso dell’onore vivo tra i cavalieri del tempo. La mancanza di onore era offesa di lesa maestà che richiedeva soddisfazione a ogni costo. Il sangue, conseguenza del duello, lavava l’affronto subito.

Nello scritto di sant’Anselmo si possono cogliere domande “moderne” che riflettono la nostra sensibilità, come: «Che giustizia è condannare a morte il più giusto degli uomini in luogo del peccatore? Quale uomo non sarebbe giudicato colpevole, qualora condannasse un giusto per liberare un reo?… Se infatti non poté salvare i peccatori che condannando il giusto, dov’è la sua onnipotenza? Se invece poté ma non volle, come difenderemo la sua sapienza e la sua giustizia? ». «Desta meraviglia che Dio goda e abbia bisogno del sangue di un innocente e che non voglia o non possa perdonare al colpevole senza la morte di un innocente (I,10)». Dio Padre «non lo costrinse a morire e neppure permise che fosse fatto morire contro volontà; ma piuttosto fu proprio questi ad abbracciare spontaneamente la morte per salvare gli uomini (I:8)».

Se i giudei l’hanno perseguitato fino alla morte, ciò avvenne perché egli: «si teneva tenacemente attaccato alla verità e alla giustizia nella vita e nell’insegnamento (I:9)».

«Una misericordia che non tenesse conto della giustizia sarebbe indegna di Dio. Il lavoro del pensiero mira all’“unione sovraeminente dei due contrari che sono la giustizia e la misericordia”. Essa rivela allora che in Dio “la giustizia o non misericordia è più misericordia di ogni misericordia umana” ».

«Dio - afferma Anselmo - trova bella la sua morte in croce perché la giustizia è placata».

Lo sviluppo di questa dottrina induce il Concilio di Trento a redigere: il Cristo «con la sua santissima passione, sul legno della croce, ci ha meritato la giustificazione».

In ogni caso, la teoria della soddisfazione non è in armonia con il vangelo, essa contrasta ampiamente con l’offerta di grazia. H. Kung scrive: «In questa teoria della redenzione non domina, come nel NT., la grazia, la misericordia e l’amore; domina, come nel diritto romano, una giustizia di stampo spiccatamente umano (justitia commutativa); domina una logica del diritto, in nome della quale la morte di croce viene isolata sia dal messaggio e dalla vita di Gesù sia anche dalla sua risurrezione…

Il razionalismo del secolo XIX aveva discettato sull’assurdità di questa riconciliazione della terra con il cielo mediante i tormenti di Cristo. Per Strauss costituisce “un paradosso” il fatto che Dio, amandoci da tutta l’eternità, avrebbe bisogno di una riconciliazione, il che vorrebbe dire che assieme ci amava e ci aborriva».

Gesù non attribuisce mai la sua morte a una presunta necessità di Dio. Anzi la sua morte viene attribuita a coloro che erano animati dagli stessi sentimenti di chi nel passato aveva ucciso gli inviati di Dio (Matteo 23:29-37; Luca 20:9-19) e indica come responsabili: gli anziani, i sacerdoti, gli scribi (Matteo 26:21). Giuda lo presenta come il figlio della perdizione (Giovanni 17:12; Marco 14:21). A Pilato dice: «Chi mi ha dato nelle tue mani ha maggiore colpa» Giovanni 19:11. Gesù mette la sua morte sul conto della cecità morale e spirituale degli uomini e sulla croce prega: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» Luca 23:34. Un pensiero analogo è stato espresso dall’apostolo Pietro alla folla di Gerusalemme, qualche settimana dopo, nel giorno della Pentecoste, quando disse: «Io so che lo faceste per ignoranza» Atti 3:17 e dall’apostolo Paolo ai Corinzi che scriveva: «Se avessero conosciuto (la sapienza di Dio) non avrebbero crocifisso il Signore della gloria» 1 Corinzi 2:8. Non è quindi il Padre che suscita i suoi boia, ma è Satana che opera mediante il potere costituito, come riportano i vangeli e il libro degli Atti (Luca 22:3,4; Giovanni 13:2,27; 14:30, Atti 2:23; 5:30; 7:52).

Scrive René Girard: «Non solamente Dio reclama una nuova vittima, ma reclama la vittima più preziosa e cara, suo Figlio stesso. Questo postulato, senza dubbio, più di qualsiasi altra cosa, ha fatto discreditare, nel mondo intero, il cristianesimo agli occhi degli uomini di buona volontà». Il teologo cattolico F. Varonne registra: «Nei nostri giorni... si sente correntemente rievocare la diminuzione del numero dei fedeli, l’abbassamento catastrofico della fede e della pratica religiosa. Generalmente si accusa il materialismo della società, la sete della ricerca del divertimento, ecc. È raro che si riconosca che proprio il nostro linguaggio è sfasato e che su questo punto essenziale dell’annuncio della salvezza, la nostra parola cristiana è stata segnata dalla religione, che è diventata insignificante nel miglior dei casi, alienante negli altri. Perché non guardare in faccia tutte queste persone che non possono più credere alla salvezza, neppure possono legare profondamente il loro desiderio e la loro pratica vivente a Dio e a Gesù a causa di ciò che la parola della Chiesa ha detto?».

Il messaggio di tutta la Sacra Scrittura è l’offerta di perdono a chi si pente con sincerità. La superiorità del Padre di Gesù Cristo è proprio quella di elevarsi al di sopra di qualsiasi sentimento di rappresaglia e di vendetta. «Com’è vero che io vivo, dice il Signore, l’Eterno, io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morreste voi... ?» Ezechiele 33:11. Se l’Eterno non si compiace della morte degli empi, per i loro peccati, potrà compiacersi all’idea della morte del giusto per quella dell’empio? D’altronde, di nessuna soddisfazione ha bisogno il padre della parabola del figlio prodigo (Luca 15:11 e seg.), e di nessuna soddisfazione ha avuto bisogno Dio per rendere giusto il pubblicano che non ardiva guardare in alto come invece faceva il fariseo (Luca 18:13 e seg.). Il perdono è stato accordato per le parole: «Padre ho peccato contro il cielo e contro te, non sono degno d’essere chiamato tuo figlio». «Sii placato verso di me peccatore».

Jean Galot dopo aver sostenuto che l’amore è la causa determinante della redenzione scrive: «Secondo la Rivelazione, dobbiamo affermare che l’amore divino è l’unica causa del mistero redentivo. L’economia della Redenzione non è il risultato di un compromesso tra l’amore e la collera, tra la misericordia e la giustizia. Essa è esclusivamente dovuta all’amore di Dio per gli uomini».

Gesù ci presenta un Padre perfetto che, tra l’altro, dice di amare i nemici e di pregare per loro (Matteo 5:48, 44-47), un Dio che dichiara ai suoi figli di non sentirsi offesi se gli altri sbagliano, un Dio che dice di perdonare le offese senza chiedere riparazione; che sono i peccatori che amano quelli che li amano, che l’Altissimo è buono verso gli ingiusti e i cattivi e di essere misericordiosi come lui (Luca 6:33,36). Paolo riprendendo questi pensieri scrive: «Benedite quelli che vi perseguitano... non rendete a nessuno male per male» Romani 12:12. Pietro dopo aver invitato i credenti a sopportare le afflizioni per amore di Dio e dopo aver riportato l’esempio di Gesù (1 Pietro 2:19-21) esorta a non rendere «male per male» e «oltraggio per oltraggio», ma al contrario «benedicendo» 3:9.

La divina giustizia deve trionfare sul male con il bene, allora essa si confonde con l’amore. L’amore stesso è santo, il suo scopo è quello di liberare, purificare dal male.

La volontà del Padre è quella di salvare gli uomini. Il suo amore si manifesta affinché possa far trionfare la giustizia, e la sua giustizia si realizza nel suo disegno di amore.

Il vangelo fa appello al pentimento perché esso è l’inizio della disfatta e della distruzione del peccato. Il pentimento manifesta la fede, il ritorno a Dio.

Il piano della salvezza è stato voluto da Dio (Giovanni 3:16). Esso è l’espressione della sua volontà che non è determinata da nulla, ma che a sua volta determina tutto (Romani 8:28; Efesi 1:5; Filippesi 2:13).

Sia nei profeti, sia nel precursore del Messia, Giovanni Battista, sia nell’insegnamento di Gesù e nella predicazione degli apostoli la remissione dei peccati è offerta a seguito del pentimento (Isaia 1:10-19; 55:6-13; 49:20; Geremia 3:12-14; Ezechiele 18:21-24; Osea 5:15; 6:6; Amos 5:21-24; Matteo 3:12; Marco 1:4; Atti 2:37,38;3:19; 5:31; 17:30; 26:20; 1 Giovanni 1:9; Giacomo 4:6-11). Il pentimento è la condizione indispensabile per il perdono; senza di esso, la remissione dei peccati è una dichiarazione nulla.

La giustizia umana non è soddisfatta quando il colpevole ha espiato i suoi 20, 30,… anni di carcere, ma quando egli si pente. La giustizia di Dio è soddisfatta, sempre secondo chi critica la teoria della soddisfazione, tramite il sacrificio della croce, non perché un innocente muore, espia, paga per il peccatore e acquisisce dei meriti, ma perché la sua morte porta l’uomo a riflettere sulla sua situazione di peccato, cioè di separazione da Dio, e tramite la croce ha la visione senza confini dell’amore di Dio. Quindi si pente e inizia una nuova vita. La giustizia del codice stradale viene soddisfatta non quando vengono puniti degli automobilisti che, commettendo delle infrazioni, causano degli incidenti e provocano la morte di innocenti, bensì quando essi, constatando la gravità delle loro azioni, si adeguano alle norme di circolazione a rispetto della propria e dell’altrui vita.

La giustizia di Dio è soddisfatta quando l’uomo, vinto dall’amore del Padre, ammorbidisce il suo cuore, condanna se stesso, versa lacrime per i propri peccati, cade in ginocchio e grida: «Ho peccato!».

Siccome il perdono dei peccati non ha valore se non c’è il pentimento, tutta l’opera di Cristo è rivolta a questo scopo. Alla sua incarnazione aggiunge la rinuncia, agli sforzi per una vita santa aggiunge la sofferenza, al dolore della separazione dal Padre aggiunge la sua morte, manifestando così la sua eterna volontà di amarci e di vincere la resistenza delle nostre menti. Gesù muore dopo aver constatato che i suoi insegnamenti e tutta la sua vita non sono stati sufficienti a farci capire che il mondo sbaglia e siamo degli smarriti, degli orfani.

. Il sacrificio di Cristo Gesù non è servito a cambiare la disposizione d’animo del Padre, la sua volontà infatti è stata sempre quella di perdonare le sue creature. Il sacrificio della croce dimostra l’amore di Dio senza più lasciare ombra di dubbio negli uomini e nelle creature celesti che, fino alla croce, per fede hanno accettato la bontà dell’Eterno. Se la grazia di Dio si basasse su un atto di qualsiasi natura che non sia l’espressione del suo amore, non sarebbe più grazia. In Gesù l’Eterno ha dimostrato la sua volontà di salvare.

La salvezza è espressione di grazia sia nei confronti di coloro che hanno conosciuto il vangelo sia per coloro che, non avendo avuto l’opportunità di conoscere il Signore, hanno comunque permesso allo Spirito Santo, nell’ambito e nel contesto della loro esistenza di toccare i loro cuori convincendoli di peccato, di giustizia e di giudizio (Giovanni 16:18). Questo, anche se la luce pervenuta fino a loro non ha permesso di farli vivere allo splendore del «sole di giustizia» Malachia 4:2 rivelato chiaramente in Cristo Gesù mediante il suo vangelo. Non sono quindi passati, per motivi indipendenti dalla loro volontà, dalle tenebre alla sua luce, ma hanno comunque vissuto nella penombra della luce, grazia di Dio. In questa prospettiva la grazia continua a essere grazia e il giudizio di Dio è manifestazione di misericordia. Il Signore manifesta di amare anche queste persone di un amore eterno (Geremia 31:3). Però, in questa prospettiva, la grazia non è a buon mercato, come una spugna bagnata su una lavagna da pulire, non è neppure il premio a una coscienza pentita e travagliata dal peccato commesso. Essa è la manifestazione della sofferenza di Dio per il travaglio dell’uomo. La grazia esprime quanto Dio fa per potere riprendere a camminare con l’uomo. La croce è il segno di questa sofferenza.

COME GESÙ HA CONSIDERATO LA SUA MORTE

Sebbene la croce sia la conseguenza della storia, dalle parole di Gesù, si può cogliere lo scopo che gli ha dato. Dai vangeli possiamo cogliere i motivi della missione di Gesù per l’umanità.

- «Bisogna che io evangelizzi (annunci) il regno di Dio; poiché è per questo che io sono venuto» Luca 4:43.

- Non triterà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante, finché non abbia fatto trionfare la giustizia (Matteo 12:20).

- «Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo» Giovanni 17:6.

- «Io sono nato… e sono venuto nel mondo, per testimoniare della verità» Giovanni 18:37.

Gesù all’inizio del suo ministero, nella sinagoga di Nazaret dalle pagine del profeta Isaia coglie il senso della sua opera: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a bandire liberazione ai prigionieri, ed ai ciechi recupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a predicare l’anno accettevole al Signore» Luca 4:18,19; cfr. Isaia 61:1,2. «L’anno accettevole al Signore» era l’anno sabbatico, ogni sette anni, durante il quale si faceva riposare la terra (Levitico 25:4-7), si rimettevano i debiti (Deuteronomio 15:1,2), si liberavano gli schiavi (Esodo 21.2 e seg.); ed era anche quello del giubileo, ogni cinquanta anni, nel quale ognuno rientrava in possesso delle proprie terre (Levitico 25:10-17). Gesù pone questa liberazione sociale sul piano spirituale, anche se la sua opera ha espresso grazia ai più deboli, agli ammalati.

A causa del contrasto con le autorità religiose e il suo annuncio del Regno si vengono a creare dei fraintendimenti politici e Gesù intravede la fine violenta della sua vita.

Egli annuncia la sua morte a più riprese, e indica le autorità religiose a lui contemporanee come i discendenti di coloro che hanno ucciso i profeti (Matteo 23:29-37) e vede in loro coloro che vogliono sopprimere il figlio del padrone della vigna (Matteo 21:34-46), in contrasto con i sentimenti del Padre che non voleva la sua morte, ma inviava il figlio per suscitare rispetto nei suoi confronti (21:37). Gesù non si fa illusioni a proposito della propria persona.

Gesù di Giuda aveva detto: «Certo il Figlio dell’uomo se ne va, com’è scritto di lui; ma guai a quell’uomo per cui il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio sarebbe stato che quest’uomo non fosse mai nato» Matteo 14:21. Non c’è nulla nell’arresto di Gesù, nel suo giudizio che corrisponda a un progetto del Padre. Anzi ancora di Giuda Giovanni precisa in occasione dell’ultima cena: «Il diavolo aveva messo in cuor a Giuda Iscariota, di tradirlo» e «dopo il boccone, Satana entrò in lui» Giovanni 13:2,27. Di questo istigatore Gesù dirà nella stessa sera: «Il principe di questo mondo… non ha nulla in me (Gesù); ma così avviene, affinché il mondo conosca che amo il Padre, e opero come il Padre mi ha ordinato» 14:30,31. E quando legato dirà a Pilato: «Tu non avresti podestà alcuna contro di me, se ciò non ti fosse stato dato da alto; perciò chi mi ha dato nelle tue mani, ha maggiore colpa» 19:11.

Conseguenza della morte di Gesù

Nell’ultima sera Gesù mette in relazione la sua morte con l’azione dello Spirito Santo nei confronti dell’umanità.

«Convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.

Quanto al peccato, perché non credono in me.

Quanto alla giustizia, perché me ne vado al Padre.

Quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato» Giovanni 16:8,9.

Giovanni aveva scritto nel suo prologo che «la parola fatta carne», il Signore «è venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto» Giovanni 1:14,11, cioè non gli hanno prestato fede, non gli hanno creduto. Il mondo così come è, non è quello creato da Dio, è in una realtà di peccato, di morte, cioè di separazione dall’Eterno, dalla vita, dalla verità. Il mondo è in uno stato di morte. Per questo motivo Paolo, pur dedicando il suo vivere all’umanità, dirà ai Galati, alla conclusione della sua lettera, che il mondo nello stato di morte in cui si trova non ha nulla che lo attrae: «Io non mi glorio d’altro che della croce del Signore nostro Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo» Galati 6:14. Il mondo in questo stato di peccato, di morte non ha in sé nulla per cui sperare.

Nella morte di Gesù si esprime la giustizia, non perché il Signore è morto al posto dei peccatori e Dio ha avuto soddisfazione, ma perché la sua morte a causa dei peccatori è seguita a Pasqua dalla risurrezione che dimostra l’intervento di Dio in favore della verità, del Giusto. Gesù è morto non perché rappresentante o responsabile del peccato dell’uomo, ma perché colpito dal male degli uomini, dalla violenza che gli è stata fatta. La giustizia, vinta alla croce, con la morte dell’innocente, non poteva permettere che Gesù rimanesse nel potere della morte (Atti 2:24). La risurrezione porta il Signore al Padre.

Nel Getsemani Gesù sudava sangue e chiedeva a Dio: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi» Matteo 26:39.

Dio ha cercato l’uomo perso in questo mondo dall’Eden in poi. La lettura teologica della Bibbia presenta come il Signore abbia cercato di raggiungerlo e di farsi riconoscere e accettare. Questa volontà personale di Dio di essere il bene dell’uomo, di stare con lui, di ricondurlo a Casa, è espressa nella persona di Gesù. Pur di riavere con sé i suoi figli perduti e vincere colui che nega la sua natura di essere amore (1 Giovanni 4:8), il Padre accetta, si sottopone alla volontà, al progetto degli uomini e vincerli nell’espressione ultima della loro ribellione: «Sopprimere il Dio della gloria».

Sulla croce Gesù pur non sentendo la presenza liberatrice del Padre e avvertendo il Suo abbandono, pur essendo in simbiosi con lui, per la salvezza degli uomini, gli esprime tutta la sua fede, la sua fiducia, la sua certezza, la sua passione e gli dice: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio» Luca 23:46.

Attraverso la croce, ancor più di qualsiasi altra prova, Gesù giunge alla «perfezione» alla pienezza della sua maturità di fiducia al Padre, rimanendogli fedele e continuando a credere nella sua bontà contro i suoi silenzi e i non interventi (Ebrei 2:10; 5:9), diventando così autore di salvezza per tutti coloro che gli ubbidiscono, cioè gli credono (5:9).

Dopo la sua risurrezione con i discepoli sulla via di Emmaus Gesù insegnava: «Non bisognava che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse quindi nella sua gloria?» Luca 24:26.

La morte di Gesù diventa un bisogno, non perché è voluta da Dio per poter soddisfare la sua necessità di perdonare, ma perché essa è la conseguenza del fatto che Dio vuole vincere il male non nella sua onnipotenza, suscitando paura in chi vuole vedere le cose diversamente da lui, ma nel suo amore, nel suo rispetto delle creature, nel suo essere come una creatura e vincere il male come lo avrebbero potuto vincere loro.

La morte di Gesù non è stata progettata da Dio nell’eternità, ma dall’eternità è stata prevista da lui. La croce inventata dagli uomini è stata accettata da Dio per la nostra salvezza. Il Padre e il Figlio non hanno voluto la croce, ma avendola vista prima, che il mondo fosse, l’hanno accettata come percorso di vita, come programma di salvezza. In questo senso «Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unico Figlio» Giovanni 3:16. In questa prospettiva Pietro potrà dire alla Pentecoste che Gesù è stato dato nelle mani delle autorità di Gerusalemme «per il determinato consiglio e per la prescienza di Dio» e che quindi la sua morte fa parte di un piano (Atti 2:23; 1 Pietro 1:20) e Paolo scriverà ai Romani dicendo che il Padre «ha prestabilito (il Figlio) come propiziazione» Romani 3:25. Tutto il dramma del Golgota è «conforme al proponimento (disegno) eterno ch’Egli (Dio) ha mandato ad effetto nel nostro Signore, Gesù Cristo (o da lui Dio), formulato in Cristo Gesù…)» Efesi 3:11.

La croce ci presenta le estreme conseguenza del male. È ciò che Platone aveva previsto quando insegnava che se la terra un giorno avesse conosciuto un giusto, questo sarebbe stato inchiodato «al legno». Il giusto, scrive: «come io l’ho descritto sarà frustato, torturato, imprigionato; gli si bruceranno gli occhi, e per finire, dopo aver subito ogni sorta di male, sarà impalato».

Queste riflessioni sono un momento di silenzio per accogliere Cristo nella gloria.

Per tale motivo, ricordiamo anche alcune piccole poesie che, forse, abbiamo appreso nella nostra infanzia che va sempre tutelata e protetta. Anche con i ricordi della tradizione

Le poesie di Pasqua

Campane di Pasqua festose che a gloria quest'oggi cantate, oh voci vicine e lontane che Cristo risorto annunciate, ci dite con voci serene: "Fratelli, vogliatevi bene! Tendete la mano al fratello, aprite la braccia al perdono; nel giorno del Cristo risorto ognuno risorga più buono!" E sopra la terra fiorita, cantate, oh campane sonore, ch'è bella, ch'è buona la vita, se schiude la porta all'amore.

"E’ pasqua!", cantano in coro mille campane d’oro. Sulle chiesine, sulle cattedrali, che dolci trilli, che ricami d’ali! Bimbi e agnelli giocano tra i fiori. Una speranza nasce in tutti i cuori. E tra gli squilli, le corolle e i canti si sentono più buoni tutti quanti.

Uccellino venuto dal bosco, che piangendo fuggivi, cos'hai visto laggiù? Ho veduto di sotto gli ulivi, sanguinare Gesù. Uccellino venuto dal monte, che scappavi veloce, cos'hai visto lassù? Ho veduto tre uomini in croce, ed in mezzo c’era Gesù. Uccellino venuto dal piano, che cinguetti nel volo, cos'hai visto laggiù? Ho veduto dal bianco lenzuolo, risvegliarsi Gesù. .

Una campana piccina piccina con la sua voce fresca e argentina si sveglia all'alba, tutta contenta, nessuna nuvola più la spaventa. Dondola, dondola nel cielo blu e dice a tutti: "Risorto è Gesù!".

Non giace! E' risorto! Gesù che era morto non giace, non giace! Io penso a una Pasqua di pace da Oriente a Occidente un mondo giocondo ove ignoti sono l'odio e la guerra. Per tutta la vita, per tutta la terra, ogni notte, ogni dì. Io penso a una Pasqua così.

Maria de Falco Marotta

20.IV.2006 – www.gazzettadisondrio.it

Maria de Falco Marotta
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