LE VERE RAGIONI DEL "CAPANNONNIFICIO" LUNGO LA SS 38 (anticipazione)

La polemica in corso su un quotidiano locale risulta nei vari interventi parziale, con diagnosi parziali, con attribuzione parziale di responsabilità mentre, stranamente (ma non proprio) si dimentica la prima, vera, grande ragione di una proliferazione

La settimana scorsa è stata inviata alla Presidenza di Unione Artigiani, Confindustria Sondrio, UCT, CC.DD.

la seguente memoria dal titolo "UNA TESTIMONIANZA SUL "CAPANNONIFICIO". La pubblicazione era prevista sul prossimo numero ma l'anticipiamo dato che l'intera giornata di sabato 22 è dedicata al tema "Paesaggio ed Economia" con il convegno di SEV e Fondazione Bombardieri. Contrariamente a quanto il CCCVa fa di solito in questi casi la memoria non viene distribuita ma solo pubblicata su "La Gazzetta di Sondrio". Le ragioni? Intuibili. Il testo:

Oggetto: "capannonificio" lungo la SS 38, contributo alla conoscenza (come richiesto)

Il dibattito in corso sul cosiddetto "capannonificio" (termine in uso, a suo tempo coniato dal sottoscritto per definire lo squallido continuum a lato della SS 38) soffre di una insufficiente conoscenza dei fatti nel tempo. C'è stato chi, nel corso di una amichevole nostra discussione, apprendendo come erano andate veramente le cose, ci ha chiesto perché non fare chiarezza, evitando inesattezze come sta succedendo in argomento da un po' di tempo. Visto che a stare a molti non proprio bene informati sembra che siamo all'anno zero raccogliamo l'invito anche per un discorso, serio e obiettivo, sulle responsabilità.

In calce una ricognizione, sia pur sintetica, degli eventi inviata al quotidiano La Provincia di Sondrio che sta conducendo un'inchiesta sull'argomento. Siccome non è stata pubblicata, forse anche per la lunghezza, appare opportuno trasmetterla prioritariamente a chi in indirizzo e poi semmai al folto numero di destinatari della newsletter).

Si stanno infatti leggendo in questi giorni, come del resto nel passato recente, giudizi, critiche, proposte aventi comunque in comune un dato: finora non si sarebbe fatto niente per evitare la malversazione del paesaggio che oltre a tutto ci è costata l'esclusione del nostro versante terrazzato dall'UNESCO.

Il dibattito non appare culturalmente adeguato al problema, quantomeno per difetto di documentazione.

Le cose sono più complesse e dunque non è inopportuno cercare di conoscerle (e chi le sa di parlarne).

A che titolo questo intervento?

Innanzitutto le scuse per l'autocitazione, indispensabile però per chi oggettivamente non conosce i precedenti, anche per il tempo trascorso. Dato che seguo le tematiche territoriali, e ne scrivo, grossomodo da 40 anni avendo cominciato collaborando alla stesura del PRG di Sondrio, allora innovazione di rilievo fortemente voluta dal Sindaco Venosta (ed é una leggenda metropolitana, acriticamente ripresa da tanti, il dimensionamento su un'ipotesi di 40.000 abitanti!), poi al piano della CM unica di Valtellina. Poi nei 10 anni da Sindaco non ho delegato ma direttamente seguito i problemi del Territorio (Urbanistica, Edilizia, Ambiente ecc.). A Roma prima corresponsabile e poi responsabile nazionale (Presidente) del settore territorio dell'ANCI, l'Associazione dei Comuni italiani, membro di alcune commissioni ministeriali, relatore in Convegni nazionali ed internazionali ecc. Anche dopo, senza incarichi, ho seguito a vario titolo il settore.

Doverosa premessa per documentare alle generazioni odierne il ruolo di "testimone", obiettivo e non di parte. Le polemiche, come quelle odierne sul "capannonificio" hanno infatti un senso se non sono di parte.

Intanto non è vero che in passato "si sia dormito, tutt'altro".

Non solo ci si è severamente impegnati, ma se qualcuno non avesse infilato il bastone fra le ruote oggi non avremmo, come dice Costanzo, 82 aree fra industriali e artigianali in 78 Comuni, ma ne avremmo in Valtellina sette in tutto (più quattro in sostanza modesti ampliamenti dell'esistente) e all'UNESCO insieme al Trenino rosso del Bernina ci sarebbe il nostro versante terrazzato.

 Da cosa derivano le sette aree?

Dal Piano Urbanistico di Comunità Montana (unica di Valtellina), allora quanto di meglio realizzato in Italia. La legge istitutiva delle Comunità Montane le aveva dotate di poteri forti fino al punto che i vari Enti, persino la Provincia, in base all'art. 5 dovevano uniformarsi ai Piani delle CC.MM. Nessun piano regolatore o programma di fabbricazione avrebbe potuto essere approvato se non rispettava il Piano della Comunità e quindi aree artigianali o industriali al di fuori delle sette previste non ci sarebbero state né qualsiasi Comune avrebbe potuto rilasciare concessioni edilizie a questo o quale capannone al di fuori delle sette aree citate, salvo le strutture per l'agricoltura in base ad una legge specifica, la LR 83.

 Ma quel Piano risale a più di 20 anni fa…

Se nel tempo fossero stati fatti tentativi per allargare le maglie sarebbe stato obbligatorio fare delle varianti, che, una volta approvato il Piano di CM, la Regione non avrebbe autorizzato, salvo evidentemente il caso eccezionale debitamente motivato. Il tempo quindi non ha importanza. Sette (+ 4 mini) aree erano, sette sarebbero rimaste. Il virus del capannonificio sarebbe stato debellato prima, con una sorta di vaccinazione, costituita da quel signor Piano.

 Chi ha infilato il bastone fra le ruote?

In tanti. Tutti coloro che a Milano e in Valtellina si sono tenacemente battuti per dividere la Comunità unica in quattro assestando così un colpo mortale al Piano (oltre a complicare una serie di problemi (Statale 38 compresa). Il Piano era infatti a Milano per essere approvato in Consiglio Regionale. Divisa in quattro la CM quello che era il fecondo custode di un positivo sviluppo è diventato di colpo carta da macero.

In discarica sono finiti non solo le aree produttive, ma la tutela delle zone pregiate, i Bagni di Bormio, il Piano della Selvetta (non ci sarebbe stato il disastro nel 1987…!!!), la riqualificazione della SS 38, l'Azienda Energetica di Valle, i Piani di Sviluppo Turistico eccetera eccetera.

UN DELITTO. E IN QUESTO LA VERA RAGIONE DEL CAPANNONIFICIO LUNGO LA SS 38.

 Ma non potevano provvedere le 4 Comunità subentrate?

NO, per due motivi.

Il primo: la dimensione modesta che non consentiva il livello raggiunto nel Piano della CM unica.

Il secondo: se per mera ipotesi questo limite fosse stato superato non ci sarebbe stato da fare niente lo stesso dato che intanto i legislatori si erano accorti di essere andati troppo in là, e quindi avevano ridimensionato i poteri concessi con la 1102 (Si dice della Valchiavenna, ma il suo piano l'ha fatto in contemporanea con quello valtellinese, quando i poteri c'erano ancora…).

Un conto dunque il Piano della CM unica, in linea di diritto VINCOLANTE, un conto i Piani che sono venuti dopo, tutto sommato praticamente a livello non di sovraordinazione ma di esortazione.

 Ma a cosa serve piangere sul latte versato?

Intanto a sottolineare come il problema abbia ben identificati padri e madri e quindi ad attribuire le responsabilità a chi ce l'ha e non genericamente a tutti, politici e amministratori, che non avrebbero fatto niente lasciando proliferare il virus del capannonificio. Duplice virus. Alla sua varietà legata alla localizzazione si è poi associata l'altra varietà, quella della qualità, peggiorando ulteriormente la situazione.

Poi a collocare al loro posto tutti i tasselli del mosaico, cosa che può ancora servire anche se quasi tutti i buoi sono usciti dalla stalla.

 E la Provincia?

La Provincia è coinvolta in questo campo da 16 anni e tre mesi circa visto che la L.R. 1 agosto 1992 n. 23 "Norme per l'esecuzione degli interventi straordinari per la ricostruzione e la rinascita della Valtellina e delle adiacenti zone delle province di Bergamo, Brescia e Como colpite dagli eventi calamitosi dell'estate 1987" aveva inserito incredibilmente, ma positivamente, questa norma:

"6 . LA PROVINCIA DI SONDRIO PROCEDERÀ, ENTRO DODICI MESI DALL'ENTRATA IN VIGORE DELLA PRESENTE LEGGE, ALL'ADOZIONE DEL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO, AVENTE ANCHE VALENZA PAESISTICA AI SENSI DELLA LEGGE 431/85, SULLA BASE DI INDIRIZZI FORNITI DALLA REGIONE".

In quel momento, durato poco, sarebbe ancora stato possibile limitare i danni.

Per i capannoni costruiti nel frattempo pazienza, non si poteva fare niente, ma quelli a venire avrebbero dovuto andare nelle aree previste e non dappertutto a caso. Allora ci sarebbe quindi stata la possibilità di tornare in quella sensata pianificazione che la CM unica aveva delineato.

Rientrati dal regime speciale di cui sopra nella legislazione ordinaria di fatto si è entrati nel clima delle 'norme-esortazione'.

Non è un caso che tre Amministrazioni Provinciali, a guida diversa, di colore politico diverso abbiano incontrato serie difficoltà, con tempi lunghi conseguenti, nella elaborazione e poi nel varo del Piano Territoriale

( nota in allegato per l'analisi degli sviluppi del Piano Territoriale in corrispondenza delle tre Amministrazioni diverse succedutesi nel tempo).

In effetti c'é un punto fermo che va considerato ovvero gli effettivi poteri del Piano (Non è un caso che alla compressione dei poteri delle Province con una forte limitazione abbia concorso in maniera determinante l'ANCI, l'Associazione dei Comuni…).

La legge oggi prevede che sulla bozza di Piano si debba pronunciare l'Assemblea dei Sindaci.

Nel dibattito sono in tanti a sostenere che la Provincia avrebbe dovuto resistere rispetto alle pretese dei Comuni di non sottostare a rigidi vincoli da parte del Piano Territoriale.

Astrattamente si tratta di una posizione razionale e condivisibile. In astratto. In concreto è tutt'altra cosa. Infatti è istituzionalmente e politicamente impensabile che qualsiasi Provincia adotti e approvi un Piano con il parere negativo dei Comuni… Basta vedere altrove. A Varese ci sono volute dieci sedute dell'Assemblea dei Sindaci. A Milano i Sindaci avevano in prima istanza dato voto negativo, in altre province c'è stata una sequela di difficoltà, di numero legale fatto mancare eccetera.

Il dato vero è che la realtà indica che nel quadro legislativo esistente il Piano di fatto non può passare sulla testa dei Comuni, come dovrebbe essere almeno per certi aspetti, quale ne sia il colore politico.

SOLO IL PIANO DELLA COMUNITA' UNICA AVEVA POTUTO FARLO MA PERCHE' LA LEGGE DAVA I POTERI. Cosa vuol dire questo lo dimostrano i vincoli, intelligenti, che il Piano aveva posto, le tutele che aveva messo in atto, il quadro di riferimento per i Piani Regolatori dei Comuni. L'unica occasione, nella storia, di Autonomia della Valtellina dato che il Piano di essa era strumento fondamentale.

Oggi

Il problema oggi si pone unicamente sul piano della collaborazione fra Istituzioni, come del resto qualcuno in questi giorni ha proposto.

In secondo luogo per il PTCP vale il detto che la politica è l'arte del possibile. In questo modo il Piano, con grande fatica, è andato avanti, sia pure con limitazioni. In altro modo sarebbe tornato indietro.

Versante della sicurezza

A questo proposito non sappiamo se ha fondamento l'indicazione di cui alla nota allegata relativamente ai passi carrai e alle disposizioni relative alle immissioni nella Statale. Una verifica potrebbe essere utile. Anche, come qualcuno dice, per gli aspetti legati alla depurazione, condizioni di esercizio comprese.

Conclusione

Nessuna conclusione dal momento che si è trattato semplicemente di fornire una testimonianza documentale, con la massima disponibilità ad un eventuale contraddittorio se qualcuno trovasse, per difficile che sia, qualche elemento di contestazione in quanto scritto

Di seguito la nota citata:

La nota inviata al quotidiano "La Provincia di Sondrio"

La pianificazione provinciale

1) Piani di CM

Tutto comincia con la 1102 che istituisce le Comunità Montane prevedendo all'art. 5 un Piano di Sviluppo Economico-sociale cui gli altri Enti operanti sul territorio dovranno uniformarsi e all'art. 7 "la facoltà" (!) "di redigere piani urbanistici" condizionanti i Piani comunali.

Dopo aver presieduto, avviandone l'attività, la Comunità unica di Valtellina, con la Presidenza di Mario Garbellini toccò a me la guida del gruppo DC di 130 membri. Subito si avvia la pianificazione. I tecnici incaricati quelli della CERPI ma c'è anche un organismo "strategico", la Consulta, che vede nella cinquantina di membri molto della cultura di Valle.

Fase entusiasmante che porta ad un Piano di grandissimo spessore, il meglio realizzato in Italia e con larghissimo consenso.

IL PIANO e' VINCOLANTE, e quindi un effettivo strumento di governo del territorio, uno strumento che, fra l'altro, avrebbe impedito il capannonificio.

Che fine ha fatto?

A Milano non si vede di buon occhio la CM unica.

Troppo forte, come ha già dimostrato.

Troppo autonoma.

Inoltre in Valle l'intera sinistra, qualche frangia DC ed i sindacati spingono per dividerla. Il Consiglio Regionale diventa il plotone di esecuzione della Comunità unica partorendo le quattro piccole.

Eravamo stati, in pochi, facili profeti: il Piano, quel signor Piano, morto.

Un delitto.

Il segretario del PD si lamenta per le 82 aree industriali ed artigianali. Ce n'erano solo SETTE nel Piano più quattro modesti ampliamenti. Nessuno avrebbe potuto costruire al di fuori delle aree previste e diversamente da quanto previsto. L'unica cosa che sarebbe stata possibile, LR 83, stalle e simili in zone agricole.

Si dirà: ma dopo? Dopo sia le ridotte dimensioni che le norme cambiate hanno inaridito questa strada tanto che i Piani delle piccole Comunità sono diventati non un vincolo ma un'esortazione.

2) PIV

Ricompare una possibilità con il PIV, Progetto Integrato Valtellina. L'attenzione di tutti, ripeto: di tutti, è per la dotazione finanziaria e quindi per le opere da fare. E poi è un Progetto regionale per cui il risultato di autonomia che c'era nel Piano di CM diventa una chimera.

3) Legge 23

Calamità 1987. Legge Regionale 23. Onore al merito: grazie al cons. Muffatti e a qualche collega amico della Valle, con importante apporto dell'arch. Giovanni Bettini e il determinante appoggio del Presidente della Regione, viene delegata la Provincia a predisporre il Piano Territoriale-Paesistico. In momenti di centralismo regionale esasperato trasecoliamo per l'inatteso risultato. Ahimè, ci sarà poi da trasecolare per l'occasione perduta.

4) Provincia, uno

Perdiamo il treno.

Si fa un primo studio ma quando si tratta di entrare nello specifico, di fare scelte operative, di scrivere NTA, il meccanismo si inceppa. C'è anche uno scontro in dibattito pubblico nel Municipio di Grosotto con l'assessore delegato al problema che vorrebbe direttive - noi eravamo invece per l'autonomia - e informa che le altre Province non sono d'accordo che Sondrio vada per conto suo - bis del discorso di autonomia -.

Il mandato del Presidente Dioli finisce. Il Piano non c'é.

5) Provincia, due

Subentra l'Amministrazione presieduta dal sen.Tarabini. Capogruppo con il Sindaco Venosta aveva voluto - pochi a favore: con loro Muffatti, Duico, chi scrive e forse nessun altro! - il PRG di Sondrio. Aveva proposto anche che il BIM predisponesse un Piano Territoriale (i dettagli nel mio libro). Ci sono quindi le premesse per un rilancio del problema. Per ragioni che non conosco passa troppo tempo prima che si dia l'incarico ai tecnici. Non ci sono momenti di discussione e di partecipazione. Si arriva all'adozione in fine mandato ma con parecchi problemi. Resta il fatto, stranissimo, della mancanza di obiettivi strategici. Venosta e Tarabini avevano voluto alla base del PRG di Sondrio un elevatissimo contributo del prof. Frey. Qui invece alla voce obiettivi strategici ci sono in tutto 161 righe, senza prospettive, scritte poi da chi ha esercitato una supplenza e quindi stando nel generico. Non crediamo di sbagliare nel dire che il Presidente, sentite le critiche, abbia colto al volo un aspetto formale revocando l'adozione. Il Piano non c'é.

6) Provincia, tre

Subentra l'Amministrazione Provera. Ci sono due aspetti diversi fra loro ma entrambi di rilievo. Da un lato le molteplici osservazioni pervenute e perduranti critiche di amministratori. Dall'altro, culturalmente l'aspetto di maggior rilievo, l'esigenza di fissare obiettivi strategici. Chi scrive - che in questa fase collabora al problema sino all'adozione - avrebbe l'idea di fondo, quella della previsione, nel tempo di validità del Piano, dell'ingresso della Svizzera in Europa con Valtellina, Engadina, Lario la regione turisticamente più forte d'Europa. Ci sarebbero diversi sistemi e sub-sistemi nei quali innervare il Piano.

Occasione d'oro, ma ci vorrebbero anni perché queste cose vanno costruite con approfondimenti, verifiche, discussioni. Non c'è il tempo. Se si vuole arrivare in porto entro il mandato occorre partire dalla bozza predisposta, vedere in cosa modificarla, come integrarla.

L'assessore delegato compie un buon lavoro, con modifiche ed integrazioni sostanziali come riconosciuto anche da parti politiche diverse dalla sua. I Comuni vengono sentiti prima e poi dopo. Non è un iter facile perché i problemi, anche quelli minuscoli, vanno esaminati uno per uno prima in interlocuzione diretta e poi nelle Assemblee di zona.

Il Segretario del PD critica l'emendamento del cons. Passamonti che portò all'eliminazione di vincoli per i Comuni. Si vede che non è amministratore comunale. Astrattamente infatti ha ragione, in pratica no. Quell'emendamento non faceva che riflettere quanto si è sentito in tutte le riunioni mandamentali e in altre sedi da parte di amministratori comunali di ogni colore politico.

La legge, è bene ricordarlo, è quello che é. Nel tempo il potere delle Province in fatto di Piani Territoriali, tutti d'accordo a Roma e Milano, è stato grandemente ridotto. Inoltre prima dell'adozione occorre il parere dell'Assemblea dei Sindaci. Chi andrebbe all'adozione contro il parere dei Sindaci?

Ora manca la VAS, in corso. E poi la fine. Ma il problema dei capannoni non si risolverà neanche con il PTCP. Ci sarebbe un modo-…

Basta capannoni

Ci sarebbe un modo: Basta capannoni in fregio alla Statale. C'è un modo: l'ANAS non dia più passi carrai. L'ANAS non autorizzi la trasformazione di un passo carraio agricolo in passo carraio per attività non agricole.

Per passi carrai regolari, tirando in ballo le superiori ragioni della sicurezza in una trafficatissima Statale, si usi inoltre la doppia linea continua centrale. Si può uscire solo girando a destra e non intercettando il flusso da sinistra. Idem per l'ingresso.

Per quanto riguarda i Comuni il permesso di costruire sia condizionato dall'accessibilità, da dimostrarsi.

Le ragioni del mondo produttivo non presuppongono il fiancheggiamento della strada, perdippiù, come ora, orizzontale.

Alberto Frizziero

PS Come mai nonostante la presenza di aree apposite, a Colico e a Morbegno-Talamona (nonché, in qualche modo, a Cosio) chi entra in Valtellina, fatta la curva di Piantedo, è deliziato da una serie di questi capannoni, unico "storico" quello della Carcano in Delebio? Ma come mai, però, esempio inverso, questo fenomeno non si è verificato nel Comune di Teglio nel quale la Statale 38 corre per 7/8 km?

Alberto Frizziero
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