Che cosa c’è da “Ballare”….( s. Valentino 2014)

Giorno dopo giorno arrivano dall’India notizie agghiaccianti sugli stupri perpetrati sulle bambine  e sulle donne, senza che a livello internazionale si muova una foglia, specie da parte di quell’associazione americana Rise, Release, & DANCE! che ha più di un milione di iscritte che a s. Valentino organizzano balli e feste un po’ ovunque. Ma quest’anno cosa avete da ballare se le informazioni che arrivano da quel paese che pure ha il Codice di leggi più antico del mondo e una civiltà straordinaria, dicono che viene denunciata una violenza sul sesso femminile ogni  22 minuti e  che nel 2012 gli abusi sessuali solo a New Delhi sono stati 1.439! Inoltre- una cosa da allibire- ultimamente il  “consiglio degli anziani” di un villaggio nel West Bengala, dopo aver sorpresa una ragazza  con un giovane di un’altra comunità, ha ordinato la violenza di gruppo dei maschi per punirla!

La ragazza, che ha denunciato l’accaduto, è ora in ospedale in gravi condizioni. Questa ennesima violenza si è consumata nel distretto di Birbhum, a oltre 180 chilometri a nord ovest di Calcutta, in uno dei tanti villaggi dove la giustizia è amministrata dagli «anziani» e dove vige il codice d’onore. In tale   zona,  luogo di origine del Presidente della Repubblica Pranab Mukherjee, vivono diverse comunità tradizionali che hanno rigidissime regole sociali simili a quelle dei talebani o a quelle del Medioevo. Quattro anni fa proprio in questo distretto, una teenager era stata costretta a sfilare nuda in strada come punizione dopo essere stata sorpresa a flirtare con un ragazzo di un altro villaggio. E questo è niente. Giorni fa  l'Unicef ha pubblicato un rapporto che chiarisce l'effettiva diffusione e analizza le giustificazioni sociali di una pratica disumana: le mutilazioni genitali. I numeri sono agghiaccianti: 125 milioni di donne e ragazze ne devono subire le conseguenze fisiche e psicologiche.
Da tempo si svolge opera di sensibilizzazione su un tema tanto grave: se inizialmente i programmi di intervento erano concentrati principalmente sui rischi sanitari e sulla salute della donna, dal 1993 in poi, quando la pratica è stata classificata come violazione dei diritti umani, sono stati compiuti molti passi in avanti anche dal punto di vista legislativo, e in molti Paesi la pratica è stata vietata dalla legge.
In Africa e Medio Oriente attualmente l'infibulazione è praticata in 29 Paesi e oltre metà delle donne che l'hanno subita, senza anestesia, si concentra in tre nazioni: Etiopia, Nigeria ed Egitto. Risulta quanto meno sorprendente apprendere che in Egitto il 91 per cento delle donne abbia subito mutilazioni –  sono 27 milioni  – e che il 77 per cento di queste si avvenuta presso un medico professionista: quest'aspetto indica quanto radicata sia la pratica e, al tempo stesso, solleva domande di ordine etico sui dottori e le infermiere che la praticano.
Tra i Paesi africani, ci sono la Somalia, con il 98 per cento delle donne mutilate, e la Guinea, con il 96 per cento. Al contrario Camerun e Uganda guidano i Paesi virtuosi, con solo l'1 per cento delle donne. Il rapporto Unicef individua comunque dei segnali incoraggianti; in più della metà dei Paesi studiati le mutilazioni femminili sono diventate sempre meno frequenti e, per esempio in Kenia e Tanzania, la percentuale di donne tra i 45 e i 49 anni, che l'hanno subita e che oggi sono contrarie, supera di tre volte quella delle quindicenni.
La ricerca effettuata da Unicef ha rilevato che, nei Paesi dove si pratica l'infibulazione, la maggioranza delle ragazze e donne pensano che la pratica dovrebbe cessare. Inoltre, persino dove essa è ancora molto diffusa, la percentuale di donne che la sostengono è nettamente inferiore a quella di chi l'ha subita. In 11 Paesi dove è stato possibile raccogliere dati, almeno il 10 per cento delle donne mutilate ha detto che non se ne trae alcun beneficio, per arrivare fino al 60 per cento in Kenia. Ma probabilmente il dato più rassicurante riscontrato dall'Unicef è il numero elevato di uomini favorevoli alla fine delle mutilazioni. Esse sono state spesso indicate come una manifestazione del controllo patriarcale degli uomini sulle donne, ragion per cui ci si sarebbe aspettati un risultato di segno opposto: al contrario, il rapporto segnala che in Chad, Guinea e Sierra Leone ci sono più uomini che donne contrari alle mutilazioni. Quanto alla convenzione sociale, secondo la quale una ragazza non troverebbe marito senza essere prima mutilata, il rapporto ne ridimensiona la portata: in proporzione poche donne hanno addotto il matrimonio come giustificazione per continuare la pratica.
Salvare 30 milioni di bambine e ragazze al rischio di subire mutilazioni genitali è quindi il presagio  che l’istruzione si conferma come la migliore forma di prevenzione (Per maggiori informazioni consultare il sito: www.unicef.it).

Allora, carissime di tante associazioni per il riscatto morale e giuridico delle donne, invece di pensare a come “ballare” il giorno di S.Valentino che - per amor di Dio – è un momento di allegria e per stare unite, organizzate qualcosa per estirpare dalla terra questa piaga terribile dell’inferiorità della donna (ma quando mai!) e renderla felice con il suo compagno/a, per il mondo avvenire che sarà e che non potrà mai fare a meno di quella specie di sentimento che in tutte le lingue si chiama “AMORE”. Però desidero anche proporvi qualcosa che potrà dare speranza e forza a tutte le donne, anche nei momenti più oscuri della loro esistenza: la storia di Philomena, bellissimo film visto ed applaudito alla 70esima Mostra del cinema di Venezia, che - pare concorra anche per gli Oscar (noi glielo abbiamo già dato).

La storia di Philomena Lee, 78 anni .
Le sua storia è raccontata nel bellissimo film “Philomena” di Stephen Frears, candidato a quattro premi Oscar, tra i quali quello per la migliore interprete, Judi Dench, che magnificamente la impersona. E grazie al successo del film, Philomena e sua figlia Jane Libberton, hanno lanciato il “Philomena Project” (www.thephilomenaproject.org), per convincere il governo irlandese a rendere pubblici i registri che consentirebbero a tante altre madri e figli (si parla di sessantamila adozioni forzate) di ritrovarsi. E di riabbracciarsi, come non ha potuto fare Philomena, perché quando ha scoperto dove trovare suo figlio, lui era già morto, di Aids, dopo avere disperatamente e inutilmente cercato di rintracciare sua madre. Però la sua storia  non finisce così.
Lei pochi giorni fa,  è stata ricevuta da Papa Francesco, davanti al quale finalmente si è sentita “liberata”  da una colpa che l’aveva tenuta incatenata  per tutta la vita per avere avuto un bambino fuori dal matrimonio. Tra le altre sue affermazioni, ha detto: - Mi era stato insegnato che mi dovevo vergognare per quello che avevo fatto. Soltanto mio fratello ha sempre saputo, mentre a mia figlia l’ho detto dieci anni fa. Lì, davanti al Papa, ho capito nel profondo che non avevo davvero nessuna colpa e mi sono sentita finalmente liberata da questo fardello che ho portato con me per cinquant’anni. Non è stato facile capire il mondo. All’inizio è stata dura, mi sentivo triste, ferita, arrabbiata e per un po’ mi sono anche allontanata dalla fede. Mi avevano trovato un lavoro a Liverpool, ma poi ho fatto l’infermiera in un ospedale psichiatrico. Lì, a contatto con la grande sofferenza degli altri, sono riuscita a mettere da parte la mia".

Philomena (migliore sceneggiatura, firmata da Coogan e da Jeff Pope, all’ultima Mostra del cinema di Venezia, ha avuto oltre che  il Premio Signis, quello di Nazareno Taddei) Lucky Red porta in sala un film forte, inquietante, profondo che gioca su due binari sempre paralleli: il senso del perdono e la durezza di cuore di alcuni rappresentanti di Dio. Portando invece alla luce una realtà: la fede, anche se potrebbe essere veicolata da suore più concentrate sul condannare l’errore che sul senso di pietà(purtroppo, sono ancora la maggioranza), si fa strada nel cuore di Philomena perché è davvero un incontro vero con quel Dio che non lascia indifferente l’uomo.
Tratto da The Lost Child of Philomena Lee, il film racconta la storia di Philomena, una ragazza irlandese, che negli anni ’50, è abbandonata dalla famiglia a causa di una gravidanza inattesa. Il convento è il posto che accoglie la madre e il futuro figlio Anthony, ma il destino di questi bambini, firmato in un contratto, è quello di essere adottati da famiglie benestanti. 
Lo strappo è forte e anche se sono passati 50 anni, Philomena non dimentica. Finché incontra, con l’aiuto di sua figlia, Martin Sixsmith, un brillante giornalista, agnostico e disilluso, che, costretto alle dimissioni dal governo Blair, si interessa alle potenzialità emotive e commerciali di questa storia. Il viaggio alla ricerca del figlio è un viaggio anche nella memoria del passato, spesso crudele e sofferente, dove la semplice fede e la magnanimità di Philomena (il suo punto debole è il piacere di leggere romanzi rosa di scarsa qualità) si scontra con la durezza e il continuo cinismo di Martin, un uomo che si accosta con ironia alla comprensione della fede e si avvicina con rabbia alla verità.
Del contesto religioso, che nasconde una tomba,  il regista Stephen Frears dipinge un quadro crudele e irrespirabile, ma, pur se il suo sguardo è volutamente critico verso le istituzioni cattoliche, Philomena risulta un ritratto diverso da quelli cinematografici di Peter Mullan (Magdalene) che pure hanno narrato la verità di quegli anni crudeli in Irlanda. Non è il contesto a sostenere la fede, né a stimolare l’odio, ma l’esperienza dolorosa di una debolezza  che condurrà Philomena alla generazione del perdono e non allo smarrimento del cuore. Il film , applauditissimo ed amato da tutti, avrebbe meritato il Leone d’oro. Ora glielo stanno dando in tutto il mondo.
Al di là delle intenzioni del regista, la storia fa scoprire che, quando l’amore, che non può essere definito semplicisticamente ingenuo buonismo, è vissuto nella sua interezza a tal punto da diventare perdono, l’esistenza di una persona, come quella di Philomena, acquista più realismo, più umiltà e più comprensione. Diventa vita non vissuta a metà, ma in pienezza.

 

Maria de falco Marotta
Editoriali