Due Papi, due Santi

DUE PAPI  PER DUE SANTI
Tutto il mondo ha assistito allo straordinario evento  teletrasmesso  domenica  27 aprile 2014, e tra i milioni di telespettatori c’ero anch’io.  Guardando le immagini dello schermo sono inevitabilmente scattati in me i ricordi  che in qualche modo hanno avuto  a che fare con i Protagonisti dell’evento: Papa Giovanni XXIII°  e Papa Giovanni Paolo II° i santificati, Papa Francesco e Papa emerito Benedetto XVI° i santificatori.
Papa Roncalli non l’ho conosciuto personalmente, anche se in casa ho in bella vista il quadro riportante il certificato della sua benedizione apostolica al mio matrimonio. Papa Giovanni XXIII°  lo porto nel cuore, come tantissime persone che lo hanno ascoltato e/o letto i suoi messaggi.
In particolare la sua Enciclica “Pacem in Terris” fu per me una nuova apertura di credito verso la Chiesa, che a quel tempo consideravo un po’ retrograda. Forse perché ero molto imbevuto dalla lettura di “Esperienze Pastorali”di Don Milani, non riuscivo a comprenderne il conservatorismo autoritario, dogmatico e arcigno.
Sono convinto che la meditazione di quell’Enciclica sia stata la chiave di volta per far cambiare il percorso della mia vita. Mi sentivo più libero nel fare le mie scelte e traevo coraggio dalle sue esortazioni.
Ho seguito sempre con molto interesse le vicende che hanno coinvolto il pontificato di Giovanni XXIII°, dalla questione delicatissima di Cuba, all’annuncio della convocazione del Concilio Ecumenico della Chiesa Universale. Insomma, quello era il tempo in cui io stavo diventando uomo e la “Pacem in Terris” è stata il mio viatico.
Anche lungo gli anni, quando sentivo giudizi su di Lui, per esempio che era un papa socialista quando regalò il suo orologio a Nenni; oppure un super conservatore quando apostrofò Don Milani da pretuncolo di periferia. Ma per me Papa Roncalli non poteva essere ne l’uno ne l’altro, proprio partendo dalle cose che aveva scritto nella Pacem in Terris e  come del resto i suoi biografi hanno ben raccontato e chiarito in seguito. Giovanni XXIII° forse era socialista ma nel senso evangelico del termine. Era figlio di contadini mezzadri (non proprietari), conosceva le fatiche dei lavoratori della terra e conosceva la sobrietà coatta dei contadini. Papa Roncalli, per dirla con un vecchio adagio popolare, era un contadino con le scarpe grosse ma con il cervello fino. Fine diplomatico in Bulgaria, in Turchia e Grecia, in tempi non certo facili, dedicava tutto il suo tempo ai poveri, agli ammalati, ai derelitti, a qualunque religione appartenessero. Era un uomo di pace, di dialogo  e di fraternità ecumenica. Tutti hanno imparato a volergli bene, conquistati dal suo sorriso accattivante e sincero e dalla sua spontaneità nel rapporto con tutti senza distinzioni.
Papa Giovanni Paolo II° l’ho conosciuto personalmente in due momenti particolari. Il primo, in occasione del convegno nazionale: “Chiesa e Lavoratori nel cambiamento”, a Roma nel 1987. Presente all’udienza collettiva nella sala Clementina, gli strinsi la mano e lo invitai a venire in Valtellina. Il secondo momento fu in occasione della Sua visita pastorale a Como, all’incontro che Lui volle con i lavoratori della Diocesi, dove io partecipai con la delegazione CISL della provincia di Sondrio. Papa Wojtyla era un uomo che ammiravo molto, visti i Suoi trascorsi giovanili e le esperienze vissute come operaio e come perseguitato politico nel Suo Paese di origine. Le Sue encicliche che più mi hanno colpito e interessato furono (e lo sono ancora) “Laborem Exercens, del 14 settembre 1981, la “Sollicitudo rei Socialis” del  dicembre 1978, e la “Centesimus annus” del 1° maggio 1991.  Tre illuminanti documenti a sostegno della dignità umana dei lavoratori e per la  promozione  del bene comune secondo la Dottrina Sociale della Chiesa.
Di Papa Voytila si potrebbe parlare ancora a lungo, perché lungo è stato il suo pontificato e tanti sono gli aneddoti che meritano di essere ricordati, ma lo spazio è tiranno e mi fermo qui. Se Dio vorrà riprenderò il discorso in seguito. Pace e bene a tutti.
Cosio Valtellino 1° maggio 2014, 

Valerio Dalle Grave
Editoriali