Più che porgere l’altra guancia ci siamo fatti mettere i piedi in testa

di Maria De Falco Marotta

La nuova Costituzione europea ha dimenticato gli elementi più preziosi e prestigiosi dell'identità culturale europea, quelli che definiscono l'Europa come tale: le radici cristiane e l'eredità greco-romana, medievale, rinascimentale. L’Europa che emerge da questo lungo travaglio, frutto di compromessi tra spinte contrastanti, è l'immagine di un'Europa senza passione culturale o di un'Europa giacobina che ritiene di avere la linfa dei suoi valori nell'Illuminismo e nelle parole d'ordine della rivoluzione francese. Persino i deisti inglesi del Seicento riconobbero nel cristianesimo il connotato fondante la nostra civiltà e gli enciclopedisti, mai teneri con la Chiesa per i suoi abusi e le sue superstizioni, ammisero che, in qualche modo, contribuiva alla formazione etica e culturale, mentre il grande ateo Voltaire portava i suoi contadini a messa nella chiesetta che aveva fatto erigere nella sua tenuta di Ferney.

Ma quello che ritengo l’oltraggio più riprovevole, operato da quel branco di “grandi” che hanno firmato( compreso il cattolicissimo Prodi)la Costituzione è pretendere di sottoscrivere un documento laico, dimenticando apposta che “laico” deriva dal latino e significa popolo.

In nome di quale popolo europeo hanno firmato?

Le religioni dei 25 Paesi europei

Nell'Europa dei 25, rispetto a quella dei 15, il popolo europeo è così connotato dal punto di vista religioso: i cattolici aumentano in termini assoluti e proporzionali, i protestanti e gli ortodossi crescono in termini assoluti ma diminuiscono in quelli relativi, ebrei e musulmani rimangono percentualmente stabili. E' la mappa delle religioni nella Unione europea, dove i cristiani dei dieci nuovi paesi hanno una fede radicata, ma temono una laicizzazione generata dalla ricchezza della società dei consumi( e non hanno torto). Il quotidiano francese Le Figaro ha analizzato anche il livello di pratica religiosa: l'Europa più praticante è quella del sud, con il 51 per cento di Portoghesi, il 36 degli spagnoli, il 53 degli italiani e l'87 dei maltesi che partecipano al culto della loro religione almeno una volta al mese. Nel nord del continente la cattolicissima Irlanda vanta il 67 per cento di praticanti. Nell'Unione allargata i cattolici sono 239 milioni contro i 184 dell'Europa dei 15, e cioè il 53 per cento della popolazione, i protestanti aumentano da 89 a 94 milioni, gli ortodossi passano da 11,2 a 12 milioni. Le altre religioni, soprattutto ebrei e musulmani, sono complessivamente stabili al 24 per cento. I cattolici praticanti sono il 50 per cento, che sale al 90 nelle campagne. A Malta invece è cattolico il 95 per cento dei 395 mila abitanti, con il 65 per cento di praticanti. Tra i nuovi paesi dell'Unione, il record dell'agnosticismo spetta all'Estonia, con il 75 per cento e alla repubblica Ceca, con il 66 per cento. In quest'ultimo paese l’ateismo in dieci anni ha ridotto i credenti dal 44 al 32 per cento. 

Esiste un qualche riferimento a Dio nelle costituzioni dei nuovi paesi?

In questo campo c'è una grande diversità di posizioni: alcuni paesi europei fanno esplicitamente riferimento a Dio nella loro carta costituzionale (Polonia, Regno Unito, Irlanda, Germania e Grecia). Altri si riportano genericamente a una eredità religiosa specifica o alla religione dominante (Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia). Nella costituzione maltese la religione cattolica è definita religione di Stato, mentre la Francia è la sola ad affermare la laicità dello Stato. Dodici paesi su 25 alludono alle radici religiose nella Carta, ma con diverse sfumature e posizioni, come per esempio la Lettonia che cita la separazione tra Stato e chiesa e l'Estonia e la Lituania, che rifiutano esplicitamente qualsiasi religione di Stato. Le chiese cristiane dei dieci nuovi paesi hanno chi più, chi meno appoggiato l'ingresso nell'Unione, apprezzando il riconoscimento dei concordati nazionali con l’art. 51 della disposizione che salvaguarda lo status delle confessioni religiose negli Stati membri ed impegna l'Unione a mantenere con esse un dialogo aperto, trasparente e regolare, riconoscendone l'identità ed il contributo specifico( Cfr.:
www.vaol.it).

E i musulmani cosa hanno a che fare con le nostre radici?

La Turchia, Paese musulmano “laico”( sull’esempio della Francia il governo ha vietato il velo alle donne: nei quotidiani del 27 giugno 2004)che mira a entrare nell'Unione europea, ha commentato positivamente il mancato riferimento alle radici giudaico- cristiane dell'Europa nel testo della Costituzione approvato a Bruxelles. "E' una Costituzione che approviamo", ha affermato il ministro degli Esteri, Abdullah Gul, in una dichiarazione all'agenzia 'Anadolu' rilasciata dalla capitale belga, "Non vi e' alcun riferimento alla cristianità. E' una buona Costituzione e soddisfa le aspettative della Turchia"( AGI/REUTERS). 

Conti alla mano, in Europa vivono 15 milioni di musulmani, 38 euro- parlamentari provengono da gruppi etnici diversi, con un diverso background. 

Dei 15 milioni, la maggior parte vive soprattutto in Francia, Germania e Inghilterra. Il loro ingresso è relativamente recente, e la Costituzione dovrebbe parlare di «radici».

Il numero complessivo degli europei è dell’ordine di centinaia di milioni. E anche gli euro- parlamentari sono centinaia (rispetto a quei 38 di diverso background).

Evidentemente, i rapporti maggioranza- minoranze sono inezie.

Cosa pensano della Costituzione alcuni personaggi noti?

Il rumore è stato tanto e il dibattito non accenna a calmarsi( né deve calmarsi perché in nome di un lassismo politico, morale e sociale, si fa il gioco di pochi potenti che irridono ai valori dei loro popoli).

Mi sono sembrati pertinenti alcune dichiarazioni che riporto:

1) "Se ci sarà il referendum voterò contro: il problema non è il preambolo, ma tutta la Costituzione, voluta dalla massoneria internazionale e scritta da quel nazionalista imperialista che è il presidente francese Chirac. Perché non ha messo al centro l'uomo, ma solo i meccanismi che consentono di conservare il potere a un gruppo ristretto"(Giorgio Vittadini, della Compagnia delle Opere e ora presidente della Fondazione per la Sussidiarietà).

2) “ Ma c'è anche qualcosa di più profondo, che ha segnato in modo indelebile questo continente le cui frontiere culturali sono molteplici ma in cui riconosciamo un'unica essenza, che difficilmente si riesce ad elaborare razionalmente in modo univoco ma che è presente nel cuore più profondo dell'essere europeo: la passione per la libertà - ovvero le passioni democratiche – e il sentirsi partecipi di una storia comune, che ha fatto del cristianesimo il punto focale intorno cui l'Europa si è definita. È così che ci si commuove dinanzi a un Cristo di Cimabue o ci si sente incantati dalle Madonne rinascimentali, che ci si sente travolti all'ascolto di un mottetto di Bach o del Requiem di Mozart. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza quel debito. L'Europa è debitrice verso il cristianesimo: perché, che lo voglia o no, esso le ha dato forma, significato e valori. Rifiutare tutto ciò significa, per l'Europa, negare se stessa. 

La questione delle radici cristiane d'Europa, in un momento in cui tutti parlano di eterogeneità delle culture e di multietnicità, suscita altre problematiche: come accogliere l'altro se si nega se stessi? Come saldare un patto fra le comunità umane se l'Europa rifiuta di riconoscersi? Le radici affondano nella terra, dove incontrano e incontreranno altre radici. Se le radici del cristianesimo affondano nel mondo ebraico e in quello greco, oggi esso incontra l'islam, domani l'Asia e l'Africa.

L'incontro è possibile soltanto se si è consapevoli delle proprie radici. Pensare alle radici d'Europa significa pensare ai possibili, a volte inediti, prolungamenti del continente. Oggi l'America, la Cina, l'Africa ci interrogano, ognuna con le proprie radici fatte di dolore e di speranza, mentre in terra d'Europa l'inquietudine ha già preso forma e si sta diffondendo. L'Europa, faccia a faccia con se stessa, è ricca di saperi ma restia ad accettarsi. Ma per me essa rappresenta l'albero d'ulivo che nel Corano, al versetto 35 della Sura della Luce, è "né d'oriente né d'occidente".

(dall'intervento di Khaled Fouad Allam, professore di islamistica all'Università di Trieste, in www.emilianet.it)

3) ''Un grave tributo e' stato pagato alle culture solo esclusivamente illuministiche omettendo nel preambolo della costituzione il riconoscimento dovuto e storico delle radici cristiane dell'Europa''(Roberto Salerno, senatore di An in Notizie Adnkronos).

4) "I cittadini dell'Europa non pensano europeo perché l'Europa stessa non si sente europea". Sembra quasi che non apprezzi "il senso della propria storia". Per questo il richiamo alle radici cristiane da inserire nel Preambolo del Trattato non è solo una questione accademica, storica, filosofica. Si tratta di qualcosa di più, si tratta di identità. 

"Soprattutto in un momento in cui l'Occidente, l'America con l'11 settembre, l'Europa con l'11 marzo, sono fatti bersaglio del terrorismo islamico, riconoscersi o meno in una identità, che ha radici tanto nella tradizione giudaico- cristiana quanto nella civiltà greca classica, costituisce una differenza fondamentale. Non perché dobbiamo fare una guerra di religione contro qualcuno ma perché se qualcuno dichiara di voler fare una guerra di religione contro di noi, come di fatto dichiara, dobbiamo almeno essere consapevoli di chi siamo noi, perché noi siamo bersaglio, che cosa noi dobbiamo difendere"( , Marcello Pera, Presidente del Senato, in : La Repubblica, 21 giugno 2004)

E gli ebrei?

Un anno fa, è stato intervistato Il professor Joseph Weiler, costituzionalista di fama mondiale, cattedra alla New York University e al Collège d’Europe di Bruges, direttore del Centro Jean Monnet di Studi europei e il Global Law Program, che così si espresse: «Giuste le radici cristiane nella Costituzione Ue. Nei preamboli vanno inseriti i valori a cui si ispirano le norme»

Credo che meditare su quanto disse faccia a tutti un gran bene ed induca coloro che gestiscono il potere, a non pensare solo ed esclusivamente al mercato.

La vita degli uomini e delle donne dell’Europa è fatta anche di una dimensione spirituale e, perché no: cristiana.

L’intervista

Perché nel suo nuovo libro "Un’Europa Cristiana" (pubblicato da Rizzoli) lei sostiene che la Costituzione europea debba contenere un riferimento alle radici cristiane del continente? E perché un ebreo praticante come lei ha deciso di sostenere questa tesi?

«Io sono un ebreo praticante, ma sono anche un costituzionalista praticante. La Costituzione europea non può evitare il riferimento a Dio e al cristianesimo perché, come quasi tutte le leggi fondamentali dei paesi dell’UE, è dotata di un preambolo che precede l’articolato. In tutte le costituzioni gli articoli esprimono norme di diritto positivo, mentre il preambolo dice quali sono i valori a cui il diritto positivo si rifà e qual è la simbologia in cui la comunità politica si riconosce. Ora, in tutte le costituzioni d’Europa troviamo norme di diritto positivo simili per quanto riguarda la religione: tutte affermano la libertà di religione e la libertà dalla religione. Cioè sono ammesse tanto la pratica religiosa, quanto l’irreligiosità. I preamboli, invece, sono eterogenei: ci sono paesi come la Francia, che trattano la fede come un fatto strettamente privato e non menzionano né Dio né alcuna religione; ma ci sono anche paesi, che rappresentano circa la metà della popolazione europea, che parlano apertamente di Dio, del cristianesimo e delle Chiese. Il popolo tedesco adotta la sua Costituzione "davanti a Dio e agli uomini", quello irlandese afferma di agire "nel nome della Santissima Trinità, da cui ogni autorità proviene", e così via. Alla luce di tutto ciò, cosa vogliamo vedere nella Costituzione europea? Nella parte relativa al diritto positivo, vogliamo lo Stato agnostico, perché esso è tale in tutta Europa. Ma nel preambolo, non è giusto che sia adottata una simbologia che è propria solo della Costituzione francese. Non si può predicare il pluralismo culturale e contemporaneamente dar prova di imperialismo costituzionale!».

Cosa risponde a chi obietta che una costituzione dovrebbe sempre garantire la separazione tra Chiesa e Stato, e quindi evitare riferimenti religiosi?

«Esiste l’ingenuo convincimento che per lo Stato essere veramente neutrale significhi praticare la laicità. Ciò è falso. Se la soluzione costituzionale è definita come una scelta fra laicità e religiosità, è chiaro che non esiste una posizione neutrale in un’alternativa fra due opzioni. Uno Stato che rinunci ad ogni simbologia religiosa non esprime una posizione più neutrale di uno Stato che aderisca a determinate forme di simbologia religiosa. Escludere la sensibilità religiosa dal Preambolo, pertanto, non è più realmente un’opzione agnostica; non ha nulla a che vedere con la neutralità. Significa semplicemente privilegiare, nella simbologia dello Stato, una visione del mondo rispetto ad un’altra, facendo passare tutto questo per neutralità».

Ma allora il problema è irrisolvibile: o laicità o religiosità.

«Servirebbe una formula di apertura come nella Costituzione polacca, redatta dopo la fine del comunismo: "Noi, la Nazione polacca, tutti i cittadini della Repubblica, sia quelli che credono in Dio, come fonte di verità, giustizia, bene e bellezza, sia quelli che non condividono questa fede ma rispettano quei valori universali come derivanti da altre fonti..."».

In Europa vivono anche molti ebrei, e con le recenti immigrazioni molti musulmani. La nuova Costituzione come dovrebbe rivolgersi a queste persone, che hanno avuto e avranno un ruolo sempre maggiore nel continente?

«Per quanto riguarda i musulmani, si avverte il dovere di farli sentire a loro agio come cittadini europei a pieno titolo, parte integrante della costruzione europea. Qui si può liquidare una volta per tutte anche il problema artificiale della Turchia: non si può sostenere che, poiché la maggior parte della popolazione turca non è cristiana, Ankara non debba essere ammessa nell’Unione europea. Potrebbero esservi buone ragioni per differire o perfino per respingere la domanda di adesione della Turchia. Ma rifiutare Ankara su quella base significherebbe vanificare l’impegno professato dall’Europa a favore del pluralismo, della tolleranza e dei diritti umani. Il caso turco non è una sfida alla fede del continente, è una sfida alla sua buona fede. Molto più complesso, sia a livello socio- politico sia a livello religioso, è il rapporto Europa- ebrei. La sensibilità verso gli ebrei in quanto minoranza è naturalmente assai meno importante in termini quantitativi: la maggior parte degli ebrei europei sono stati assassinati, e la responsabilità non fu solo dei "nazisti". Anche questo è parte della storia del continente. Un’Europa nella quale l’ebreo non è benvenuto è un’Europa fallita. Ma il benvenuto si dà a un ospite. Un’Europa nella quale l’ebreo sia semplicemente "benvenuto", ospite, e non sia riconosciuto invece come parte integrante e indispensabile della narrativa europea, è anch’essa un’Europa fallita, sebbene a qualcuno questa idea continui a dare fastidio. Dal loro punto di vista, non si può raccontare la storia moderna degli ebrei staccata dalla storia europea. Ma il riferimento alle radici cristiane o alla tradizione cristiana nel Preambolo non deve far sentire l’ebreo europeo meno europeo. Perché la cultura cristiana, che lo si voglia o no, è parte del continente. Mettetevi nei miei panni. Considerate l’educazione dei miei figli. Tutti e cinque sono ebrei osservanti; frequentano scuole religiose ebraiche (anzi, abbiamo scelto di vivere dove ci sono le migliori - una tipica ossessione ebraica); parlano correntemente l’ebraico e studiano l’aramaico; la mia speranza è che facciano propria la grande civiltà della quale sono eredi. Tutti e cinque sono cittadini europei, e la mia speranza è che facciano propria anche quest’altra grande civiltà della quale pure sono eredi. Studiano il francese e lo spagnolo (gli standard sono calati: il loro nonno parlava correntemente otto lingue europee, compresi il latino e il greco). Come in ogni famiglia ebrea perbene, ricevono un’educazione musicale (un Isaac Stern purtroppo non c’è) e artistica. Quando li portiamo a un concerto, dovrebbero forse tapparsi le orecchie se vengono eseguiti il "Messia" di Haendel o la "Passione secondo Matteo" di Bach? Quando vanno agli Uffizi, dovrebbero forse chiudere gli occhi davanti alla Maestà di Giotto o alla marea di Madonne col Bambino? O invece dobbiamo insegnare che nell’evoluzione politica e culturale di questa grande civiltà, che è anch’essa loro patrimonio, il Cristianesimo ha giocato un ruolo fondamentale? Non c’è un altro modo. Se qualcuno conosce un’altra maniera, corro subito a incontrarlo».

Come mai nel suo libro lei parla di un "ghetto Cristiano"?

«È una provocazione, naturalmente. Ma per quanto riguarda il processo di integrazione europeo, il contributo del pensiero cristiano è attualmente pari a zero. Nell’ultimo anno, su 86 libri pubblicati sull’integrazione europea, solo 7 contenevano la parola "cristiano". La cosa mi stupisce molto, perché testi papali come la Centesimus Annus sono ricchissimi di spunti che meriterebbero di essere riportati nel dibattito sull’integrazione. Ma oggi i cristiani mi sembrano chiusi in un ghetto, in parte frutto di una "cristofobia" diffusa in Europa, e in parte costruito con le loro proprie mani. Certo, sempre meno triste dei ghetti in cui venivano confinati i miei avi, ma pur sempre un ghetto».

Dunque cos’è l'Europa cristiana che dà il titolo al suo libro?

«Un’Europa cristiana non è un’Europa esclusivista o necessariamente confessionale. È un’Europa che rispetta ugualmente in modo pieno e completo tutti i suoi cittadini: credenti e laici, cristiani e non cristiani. Rifiutare il discorso del cristianesimo significa anche rifiutare di affrontare il passato del continente. L’Europa non dovrebbe divenire un mezzo per sfuggire al nostro passato, glorioso e insieme deplorevole. Un'Europa cristiana è un’Europa che, pur celebrando l’eredità nobile dell’Illuminismo umanistico, abbandona la sua cristofobia, e non ha paura né imbarazzo a riconoscere il Cristianesimo come uno degli elementi centrali nell’evolvere della propria civiltà»( in: La Stampa – 28 settembre 2003).

Maria De Falco
Marotta


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