Il pericolo giallo: impossibile competere e sono mazzate per l'Italia

di Luca Alessandrini

DOVE FANNO I PRODOTTI ALLA MODA?

Non si pensi che tutto quello che viene venduto con i marchi più
famosi – chissà perché da anni è invalso l’uso del termine “griffes”
cosa che ci sembra imitare a puntino la storia del “ne prend pas”,
gioco di carte nobilitato da questo nome visto che quello
originario, ciappanò, risultava troppo plebeo – venga prodotto
direttamente, tutt’altro.

Non ci sono cioè solo gli alimentari con una serie di prodotti
con scatole diverse e stesso contenuto, con, in molti casi,
stesso indirizzo dello stabilimento di produzione.

Anni fa, per fare un solo esempio, capi femminili di vestiario
con firma prestigiosissima venivano prodotti in Via Vanoni a
Sondrio. Non abusivamente, ma su commissione della famosa Casa
di moda.

Nel momento in cui qualcuno decide di utilizzare il service e
quindi far confezionare i suoi prodotti fuori azienda che cosa
conta? Dando per scontata la capacità di realizzare il prodotto
secondo la specifica, l’elemento discriminante viene ad essere
il costo di produzione.

Un tempo c’era il “terzista” locale, poi che fosse locale o meno
non importava più, poi ancora indifferenza tra produzione in
casa (Italia) o in altri Paesi. A questo punto è fatta.

IERI

L'EST

Abbiamo visto una serie di iniziative nei Paesi dell’Est ex
comunista approfittando del basissimo costo del lavoro. Non
tutto è andato a fagiolo, come ad esempio massicce operazioni di
caricamento dati effettuate in Albania con rinuncia successiva
per l’elevata incidenza di errori, ma tante iniziative sono
andate e vanno in porto.

OGGI LA CINA

In questo clima si affaccia sul mercato mondiale, ma in
particolare tra i piedi delle aziende italiane, la Cina, con una
concorrenza in parte sleale (le cose copiate, i milioni di
giocattoli sequestrati, i prodotti che non rispettano le norme
europee ecc.) in parte “para-normale”. Usiamo questo termine
perché quello che sembrerebbe il frutto di un normale confronto
commerciale in realtà non è proprio del tutto normale.

IL PRESIDENTE CIAMPI

Ha del resto avuto modo di rilevare lo stesso Presidente della
Repubblica che lo scorso anno a Belluno, ha condiviso
preoccupazioni e richieste degli imprenditori in primis
l'applicazione rigorosa “dei regolamenti internazionali, e
l'azione attenta delle autorità europee, dei responsabili
istituzionali del commercio estero di tutti i Paesi dell'Unione,
al fine di combattere correttamente aggressioni mercantili che
si nutrano di dumping valutario e sociale, o di falsificazioni
dei prodotti, assolutamente inaccettabili”.

L'EX MINISTRO TREMONTI

L’ex Ministro dell'Economia e nostro con valligiano Giulio
Tremonti, aveva posto il problema all'Ecofin. «In tema di
politica economica la posizione dell'Europa è per certi versi
suicida» - ha affermato Tremonti, citando l'esempio
dell'America, che «protegge da tempo con successo il mercato
interno e la sua produzione nazionale non solo con i dazi
doganali, ma anche con strumenti indiretti come i controlli
alimentari, sanitari, ambientali e di tutela sociale sui
prodotti in arrivo dall'Estremo Oriente. L'imprenditore italiano
ha l'articolo 18, mentre il suo competitore non ha vincoli. Le
nostre imprese devono rispettare la legge 626 sull'ambiente,
mentre quelle del Far East inquinano senza limiti. Se da noi il
costo di un prodotto è cento e in Cina è meno di dieci, puoi
fare riforme fiscali estreme, aliquota zero sugli utili, ma se
gli utili non ci sono più a che serve?».

I NUMERI DELLA CINA

Non tutti sono d’accordo con lui. Chi vuol fare affari con la
Cina, ad esempio, vede con piacere l’aumento dell’interscambio
commerciale. A lui interessa di esportare i suoi prodotti né gli
interessa punto il fatto che quelli importati dalla Cina caccino
fuori mercato il made in Italy, proprio per le differenze
macroscopiche nei fattori di costo.

Abbiamo a che fare con un Paese di 9.596.960 kmq e di
1.298.874.624 abitanti ciascuno dei quali ha un PIL di 5.000
dollari, per un totale cinese di 6.449 miliardi di dollari ma
con tasso annuale di crescita del 9,1% e inflazione 1,2%.

UNA CRESCITA "ASIMMETRICA"

Secondo la Fondazione Edison questa crescita cinese è però
asimmetrica, perché si avvantaggia di un dumping valutario,
sociale ed ambientale, di sussidi all'export e della mancanza di
reciprocità. Non di rado è illegale perché si concreta nella
contraffazione, nella pirateria e nel commercio di prodotti non
omologati dall'Unione europea. La contraffazione, in
particolare, danneggia in primo luogo il made in Italy.

L’industria delle calzature lamentava recentemente la perdita di
5.000 posti di lavoro per effetto della concorrenza cinese e una
serie di altri settori é in allarme dato poi che per sua natura
la concorrenza cinese rompe le uova nel paniere alle piccole e
medie industrie, non a quelle maggiori.

Un altro indicatore negativo, un altro punto di innesco di
potenziali serie crisi.

PROTEZIONISMO E...

Qualcuno obietta che non si può né si deve tornare a forme di
protezionismo, fra l’altro auspicate dallo stesso Tremonti.
Stiamo con le mani in mano? O come unica alternativa seguiamo
quella che taluni predicano di attrezzarci e seguire la strada
dell’innovazione? Ricordato che è quello che le PMI italiane
hanno sempre fatto facciamo presente che questa via può comunque
dare frutti nel futuro. E nel frattempo? E poi non dimentichiamo
che se anche arrivassimo a brillanti risultati di innovazione,
tre giorni dopo avremmo qui le copie abusive… Anche se qualche
potente dell’economia si muoverà diversamente, ed ovviamente in
nome dei sacri principi, non degli interessi, la penetrazione
cinese ha da essere frenata e controllata a fondo secondo
indicazioni venute dal Presidente Ciampi e da molti altri.

NON C'E' SOLO QUESTO

Non c’è solo questo.

La crisi della Fiat grava di fatto su tutti gli italiani,
direttamente o indirettamente. Eppure un sacco di Pubbliche
Amministrazioni, dai Ministeri via via sino a moltissimi Comuni
ha auto straniere.

La crisi dell’Alitalia grava di fatto su tutti gli italiani,
direttamente o indirettamente. Eppure un sacco di Pubbliche
Amministrazioni, dai Ministeri via via sino a moltissimi Enti e
Società pubbliche non prescrive ai propri collaboratori – che in
genere non usano le Compagnie low-cost – di volare Alitalia
Eccetera.

Stiamo mangiando patatine fritte, noi che abbiamo in abbondanza
patate, olio, sale, manodopera, prodotte in Germania e in
Francia. Stiamo bevendo succo d’arancia, noi che abbiamo
aranceti a iosa, prodotto in Austria. E quindi cosa abbiamo da
dire per Fiat e Alitalia e quant’altro?

E cosa abbiamo da dire della Cina?

Del senno di poi sono piene le fosse.

Evitiamo di riempirle, per favore.

Luca Alessandrini

GdS 20 IX 04 -
www.gazzettadisondrio.it

Luca Alessandrini
Editoriali