Karol Wojtyla e le donne

Santo subito? - Wanda Poltawska - Karol: non solo studio«Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!» Più l?affetto che l?intelletto, in un mondo di madri e sorelle



Santo subito?

Striscioni, cartelloni di ogni tipo con la scritta “Santo
subito” garrivano al vento in Piazza s. Pietro, come pure si
sfogliava vorticosamente il sacro Vangelo posto sulla bara del
Papa, quasi a voler indicare che lo “Spirito santo” soffia come
e quando vuole.

Il pomposo funerale di Giovanni Paolo II, reso ancora più
fastidioso a chi lo seguiva in TV, dalla voce gracchiante e
querula di un certo Vespa, che lo commentava quasi fosse uno dei
soliti spettacoli, mai lasciando lo spazio alla preghiera e alla
partecipazione liturgica, ha mostrato ancora una volta, la
popolarità di questo Papa che tutti vogliono già “santo”, quasi
che la santità derivasse dalla popolarità e non più da miracoli
registrati e verificati (almeno per la gerarchia cattolica, come
lo fu, per esempio, per Padre Pio) minuziosamente dall’apposita
commissione ecclesiastica.

E’ pur vero che la suggestione, l’intensa partecipazione emotiva
può provocare dei fenomeni, già ben noti in parapsicologia, però
bisognerebbe, ogni tanto, ricordare che la “santità” è una
prerogativa solo di Dio (nell’ebraismo-giudaismo) e che per un
essere umano, per quanto bene abbia operato in vita, necessita
più tempo per dichiararlo tale.

Karol Wojtyla ora è interrato ed è “beato” fra due donne,
davanti alle due sole donne che sono state sepolte fra i
Pontefici maschi, Carlotta Lusignano, Regina di Cipro e
Cristina, Regina dei Goti, dei Visigoti e degli Svezii, accanto
alle quali finalmente potrà riposare. Le due saranno sue
sentinelle, a lui che fu accusato di "anti-femminismo" e che
invece, come ha riferito uno dei suoi amici e confidenti più
cari, Joaquin Navarro-Valls, arrivò a benedire tranquillamente
le mogli incinte di seminaristi di rito cattolico orientale,
appartenenti alla Chiesa di Roma, in una sua visita in Ungheria (Cfr.
Corriere della Sera, 7 aprile 2005).

La regina Cristina di Svezia era un’eccezionale
poliglotta (greco, latino, francese, spagnolo, italiano…) e
sapeva discutere di filosofia, teologia, di arte con i grandi
luminari del tempo, mentre Carlotta, regina di Cipro, molto
devota alla chiesa, può essere considerata la “classica” moglie
e madre, piuttosto sventurata, però tanto religiosa da meritare
la sepoltura nelle grotte vaticane. Le due sono quasi un
esemplare del femminismo odierno che si batte per la totale
libertà della donna, pari all’uomo nelle attività culturali,
politiche, sociali o, rivaluta il ruolo materno oltre che quello
di sposa, proprio come piace e piacerebbe a tanti.

Di sicuro, Giovanni Paolo II potrà intrattenersi piacevolmente
in dotte conversazioni con le due regine, non più “stoppato” dal
suo tremendo entourage, ligio, assolutamente ligio alle regole
gerarchiche della chiesa cattolica che non vuole nessuna donna
vicino ai grandi personaggi, specie nei momenti tristi da
storicizzare.

Che miseria.

Però papa Wojtyla, quando era ricoverato ultimamente al Gemelli,
dopo la terribile tracheotomia ha scritto su di una lavagnetta:
- Wanda dov’è?-(Cfr.: La stampa , aprile 2005).

E, dov’è Wanda, ora? Sparita, nascosta assieme alle sue quattro
figlie che chiamavano Karol Wojtyla “zio”, fin dai tempo lontani
quando lui era vescovo a Cracovia.

Questa donna, psichiatra, medico, responsabile di un sacco di
istituzioni per la famiglia, in Italia e all’estero, non avrebbe
meritato un posto tra i potenti, visto che è stata preziosa
“consigliera” del Papa fino all’ultimo??? E perché a nessun
cronista, prelato o altro, è mai venuto in mente di citarla,
proprio in omaggio al Papa che la considerava, assieme alle sue
figlie e a suo marito, la sua “famiglia”???

Una cosa è sicura: la gerarchia cattolica soffre ancora di
misoginia, non sa liberarsi dai ciarpami del passato che
considera la donna, non solo inferiore all’uomo, ma addirittura
come sua tentatrice e causa di peccato. Non ricordando,
purtroppo, che si pecca in due: sempre.


Wanda Poltawska

Karol Wojtyla la conosceva bene. Era una delle sue migliori
collaboratrici, proveniente da una famiglia polacca
cattolicissima. Da giovane partecipava ai movimenti cattolici di
Cracovia, divenendone, poi, un'esponente qualificata. Per
questo, durante la guerra, dopo l'invasione della Polonia da
parte delle truppe tedesche, era stata arrestata e internata nei
campi di concentramento nazisti, dove era rimasta cinque anni,
tra sofferenze e disagi incredibili, sopportati sempre con
grande fede e con rassegnazione. Ritornata in patria, aveva
ripreso gli studi universitari e la sua attività nei gruppi
della gioventù cattolica. Dopo quello che aveva subito e
sofferto, era diventata un esempio per i suoi coetanei. E fu in
questi anni che Karol Wojtyla la conobbe. Egli era un giovane
sacerdote, da poco nominato vicario nella chiesa di San
Floriano, nel centro della città. il suo incarico principale era
quello di interessarsi degli studenti, dei gruppi giovanili
cattolici. Wojtyla era già laureato in Teologia e Filosofia.
Teneva conferenze che appassionavano i giovani cattolici.
Intorno a lui si radunavano folti gruppi di universitari,
assetati di ideali umanitari e religiosi. Essi restavano
incantati dai suoi insegnamenti e dal suo comportamento,
desiderando di restare sempre più tempo con lui, per discutere,
parlare. Allora Karol Wojtyla organizzò le escursioni in
montagna. Lassù, lontani dai rumori della città, a contatto con
la natura, si parlava meglio di Dio e dei problemi della vita.

Tra i frequentatori di quelle escursioni, che si ripetevano più
volte l'anno e che duravano anche più di una settimana, c'erano
sempre Wanda Poltawska e suo marito Andrei. Erano laureati in
Medicina e specializzati in Psichiatria. Erano interessatissimi
ai temi che Karol Wojtyla trattava, soprattutto quelli inerenti
i problemi della coppia. Spesso si fermavano a discutere con lui
portando il loro contributo di medici. Wojtyla intuì la fede
profonda che animava quei due giovani e divenne loro amico.
Karol era solo al mondo. Sua madre Emilia era morta quando lui
aveva soltanto nove anni; il fratello maggiore, Edoardo, medico,
era morto subito dopo aver conseguito la laurea, e suo padre se
ne era andato all'improvviso per infarto nel 1942, quando egli
aveva 21 anni. Una serie di disgrazie familiari terribili che
avevano profondamente segnato il suo animo sensibilissimo. Non
avendo più nessuno al mondo, Karol Wojtyla a volte sentiva molto
il peso della solitudine. Ma da quando aveva fatto amicizia con
Wanda e Andrei, quella sofferenza interiore era quasi scomparsa.
Essi erano diventati fratelli per lui, e la loro famiglia era
diventata la sua famiglia adottiva. Avevano continuato a
lavorare insieme per anni. Avevano fondato gruppi di ricerca,
scritto libri, organizzato conferenze, sempre sui problemi della
famiglia. Poi Karol Wojtyla era diventato professore
universitario, era stato nominato vescovo. La famiglia dei suoi
amici era aumentata. Wanda e Andrei avevano avuto quattro
bambine. Wojtyla andava a trovarle, giocava con loro e le
bambine lo chiamavano "zio". Era un'amicizia stupenda, profonda,
quella di Karol e della giovane famiglia di Andrei Poltawska,
un'amicizia che arricchiva il cuore. Poi, a Roma, gli giunse la
notizia tremenda: Wanda stava per morire. Di fronte a quella
lettera, Karol Wojtyla provò il dolore di quando aveva perduto i
suoi cari. Pregò per la sua amica. Chiedeva al Signore di
allontanare da quella famiglia una tragedia immane. Wanda aveva
soltanto 40 anni. Le sue bambine avevano bisogno della mamma. Il
male progrediva rapidamente. La dottoressa Poltawska doveva
essere sottoposta a un intervento chirurgico ma, data la gravità
della malattia, le speranze che potesse salvarsi erano poche.
Karol Wojtyla intensificò le sue preghiere e chiedeva preghiere
ad amici e sacerdoti, a suore, a quanti conosceva. Poi,
improvvisamente, si ricordò di padre Pio che egli aveva
conosciuto nell'immediato dopoguerra. Era andato a trovarlo nel
1947. Si era confessato da lui e ne aveva riportato una grande
impressione. Credeva nella santità di quel frate e decise di
rivolgersi a lui.

Gli scrisse su un foglio intestato "Curia metropolitana
cracoviensis", la diocesi di Cracovia, con la data del 17
novembre 1962.

La lettera venne consegnata ad Angelo Battisti che, in Vaticano,
era molto conosciuto perché lavorava alla segreteria di Stato.
Essendo egli amministratore della Casa Sollievo della
Sofferenza, era un amico di padre Pio ed era quindi una delle
poche persone che potevano avvicinarlo sempre. Si recò subito a
San Giovanni Rotondo, nella cella di padre Pio, cui porse la
lettera dicendo che si trattava di cosa urgente. Padre. Pio gli
ordinò di leggere e quando il prelato finì gli disse:
"Angiolino, a questo non si può dire di no". Dopo undici giorni,
e precisamente il 28 novembre, Karol Wojtyla scrisse una nuova
lettera a padre Pio: "Venerabile padre, la donna abitante a
Cracovia in Polonia, madre di quattro ragazze, il giorno 21
novembre, prima dell'operazione chirurgica è guarita
all'improvviso. Rendiamo grazie a Dio. E anche a te padre
venerabile porgo i più grandi ringraziamenti a nome della stessa
donna, di suo marito e di tutta la sua famiglia. In Cristo,
Karol Wojtyla, vescovo capitolare di Cracovia".

Così Wanda guarì e da allora, assieme alla sua famiglia, ha
mantenuto sempre i contatti con Papa Wojtyla.

A Roma, lavora come membro del “Pontificio Consiglio per la
famiglia”, come consultore del “Pontificio Consiglio per gli
operatori sanitari” e come membro della “Pontificia Accademia
per la vita”, incarichi che per ora ancora conserva, mentre in
patria è Direttore dell’Istituto di Teologia della Famiglia alla
Pontificia Accademia di Teologia di Cracovia.


Karol: non solo studio

Molti sanno che a Karol Wojtyla piaceva il teatro (anche da Papa
ha scritto pregevoli cose che poi sono state portate sia in
teatro che nella fiction).

Aveva calcato le scene dei teatri di Cracovia ed aveva
frequentato varie fanciulle che lo avevano presente come un
abile ballerino. Si disse allora che c'era stato anche un amore
infelice. Ne aveva parlato un suo amico, il vescovo Dabrowski.
"Era un bellissimo giovane e piaceva alle ragazze, non c'è
dubbio. Non era un segreto per nessuno", ha ricordato un altro
amico, Teofil. Una sera in Vaticano, ad una di quelle
"rimpatriate" di ex liceali che gli organizzava puntualmente il
suo vecchio compagno di scuola ebreo Jerzy Kluger, Danocia
Kokowna ha confessato che a 18 anni era stata innamorata di
Karol.

Lunga ed intensa è stata anche la sua amicizia con Halina, la
figlia del direttore del liceo. Qualcuno ha immaginato qualcosa
di più nell'amicizia con la futura attrice Danuta Michalowska.
Ma nella sua autobiografia, scritta per i 50 anni di sacerdozio,
ha lasciato chiaramente intendere che non ha avuto "altri amori
nel suo cuore" se non quello che lo avrebbe portato fino a Roma
e a cercare in giro per il mondo folle incredibili che lo hanno
aspettato come un amico (Cfr.: Corriere della Sera, 02 aprile
2005)


«Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!»



Questa esclamazione, degna di un innamorato, si trova nella
Lettera alle donne (10 luglio 1995). In essa il Papa esprime
«rammarico» per i maltrattamenti che le donne subiscono da parte
degli uomini di Chiesa.

Wojtyla è un poeta del genio femminile. In un documento sulla
vita consacrata (marzo 1996) parla della donna come di «un segno
della tenerezza di Dio verso il genere umano».

«Credo nel genio delle donne! Anche nei periodi più oscuri della
storia si trova questo genio che è la leva del progresso umano e
della storia!», dice a Maria Antonietta Macciocchi (17 febbraio
1988).

Egli affida al linguaggio poetico le affermazioni più ardite,
sfidando il pericolo che le destinatarie non gradiscano
l’omaggio: «Appartiene al genio della donna anche il piangere»
(Policlinico Gemelli, 8 maggio 1994).

Afferma che le parole dell’apostolo Paolo sulla soggezione delle
mogli al marito sono dovute alla cultura del tempo e vanno
evangelicamente interpretate nel segno della «reciproca
sottomissione» (Mulieris dignitatem, 1998).

Vorrebbe infine che ogni cattolico maschio migliorasse il
proprio apprezzamento del mondo femminile: «Faccio appello a
tutti gli uomini della Chiesa, affinché si sottopongano, ove
necessario, a un cambiamento del loro cuore, e facciano propria,
come richiede la loro fede, una visione positiva delle donne»
(Messaggio alla delegazione vaticana alla conferenza di Pechino
sulla donna, 29 agosto 1995).

Ma quando mai!


Più l’affetto che l’intelletto, in un mondo di madri e sorelle



Giovanni Paolo II ha detto: «Credo nel genio delle donne! Anche
nei periodi più oscuri della storia si trova questo genio che è
la leva del progresso umano e della storia!». Era il 17 febbraio
1988. Una frase lontana negli anni, forse sperduta, che merita
ancora d’essere analizzata a largo raggio. Ogni frase di un
Pontefice, del resto, fa storia.

Che peso hanno avuto nel progresso della Chiesa quelle parole?
Qual era la loro portata? Hanno prodotto una nuova visione della
donna? Oppure è stato solo una mossa politica, seppure
sinceramente avvertita?

Non si può escludere il «fattore politico» di Karol Wojtyla. Da
tale angolazione bisogna dire subito che è stato un gran Papa. E
nello stesso tempo aggiungere un altro aggettivo per precisare:
un gran Papa politico.

E dovrei anche ricordare il cuore del Papa. Un cuore che non ha
conosciuto confini quando ha combattuto contro la miseria nel
mondo. Talvolta ho partecipato con dolore al suo sforzo di
comprendere la povertà del mondo, di segnalare i rischi che
corre l’occidente che si comporta come il ricco epulone (Cfr.:
Vangelo di Luca 16, 19- 31).

Però bisogna ammettere che la Chiesa cattolica ha avuto spesso
paura del corpo femminile, che oggi ancora più impudicamente,
presuppone la libertà sessuale delle donne.

Forse in un modo esagerato, però la psicanalisi viene in aiuto e
a quanto mi risulta, spesso la gerarchia vi ricorre( e non solo
per il sesso).

Infatti, essa non è più una dottrina anticristiana com’era
definita tra le due grandi guerre, non è più la dottrina
sessuale dei tempi in cui Freud doveva finire dietro le sbarre
di un rifiuto totale e le sue teorie sprofondare all’inferno.

Negli ultimi decenni molti preti sono stati analizzati, i
gesuiti si sono interessati alla psicanalisi, le due sponde,
dunque, si sono avvicinate. Gli intellettuali cristiani, un po’
come i marxisti in un preciso frangente storico, si sono trovati
molto vicini a certe posizioni morali freudiane. La stessa
teoria del desiderio è ormai accettata dalla Chiesa.

Si può essere portati a credere che ci sia stato un balzo in
avanti anche per quanto riguarda la donna. Invece, la Chiesa è
ferma. E con la Chiesa è stato fermo il suo Pontefice.

Karol Wojtyla ha avuto fiducia nel genio delle donne e lo ha
esaltato. Ha detto che tale genio è la leva del progresso umano
e della storia. Queste parole ed altre pronunciate in diverse
occasioni corrispondono a una concezione arcaica della
femminilità. Una concezione classica del cattolicesimo
tradizionale. E tutto ciò che è arcaico immobilizza storia e
progresso, come un enorme blocco di marmo posto sui binari del
divenire.

La donna di Giovanni Paolo II continua le sue prigioni nella
sfera dell’affetto, mentre l’uomo resta ben saldo in quella
dell’intelletto e del potere. Il Papa si è limitato a
riconoscere il «genio specifico» delle donne, la loro
disponibilità alla compassione, alla tenerezza e alle lacrime.
La donna è venerata, sia sotto la forma evangelica della
Vergine, madre del Cristo, sia sotto la forma di mamma o
sorella( e le altre?). Certo, la storia è fatta anche di questo,
ma il mondo moderno necessita anche del restante.

Eccoci, fatalmente, davanti alla chiesa arroccata contro
l’aborto, la contraccezione, la fecondazione, tant’è che
prossimamente si dovrà votare(metà giugno 2005) su questo
problema dolorosissimo.

Ogni epoca costruisce una sua rappresentazione particolare della
donna. Però, pur soffrendo, bisogna affermare e difendere la
libertà di coscienza così decisamente affermata dal Concilio
Vaticano II.

La donna non è migliore dell’uomo e nel mondo occidentale essa ,
conquistando i diritti all’uguaglianza, potrà uscire dalla sfera
dell’affetto ed entrare nella sfera del potere.

Con il successore di Papa Wojtyla, la Chiesa si rimetterà in
moto (non per niente penso che lo Spirito Santo che rinnova e
vivifica, soffierà verso il futuro migliore dell’umanità). Ma
non è solo la Chiesa che ha un peso nella nostra ricerca di
altri orizzonti. Guai se la donna si trasformasse in
protagonista della Storia, se si appropriasse dell’universalità.
Per fare una società egualitaria è necessario un giusto
equilibrio tra «universale» e «differenza».

Papa Wojtyla ha parlato con convinzione del “genio” femminile.

Auguriamoci che il prossimo Papa (penso a un sudamericano), con
l’ausilio di quanto il progresso gli offre per espandere il
Regno di Dio nell’amore e nell’uguaglianza tra gli esseri umani,
non si chiuda tra le vecchie mura, specie spirituali, ma spazi
nell’orizzonte, sempre più aperto all’infinito.

Maria De
Falco Marotta


GdS 20 IV 2005 -
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Maria De Falco Marotta
Editoriali