Guerra, come volevasi dimostrare. Ma dopo?

di

Come volevasi dimostrare -
S'era scritto... - Magari avessimo sbagliato! - Come andrà a
finire= Le forze di Saddam - Malgrado tutto non perdiamo
contatto con gli USA


COME VOLEVASI
DIMOSTRARE


Guerra, come volevasi dimostrare.

Il primo punto di questa nostra nota è lo spazio vuoto
sottostante.




Questo spazio corrisponde, a velocità media di lettura, a dieci
secondi. Dieci secondi da dedicare al raccoglimento pensando
alle vittime dei prossimi giorni, siano essi irakeni o
americani, soldati o civili, uomini o donne, bambini o vecchi.

Prima di ogni altra cosa l’umanità.


S’ERA SCRITTO…

E dopo questo momento di raccoglimento, e di riflessione per chi
lo vorrà, le valutazioni.

Qualsiasi cosa si fosse fatta, persino l’esilio di Saddam – cui
sarebbero seguite ben altre condizioni – guerra doveva essere e
alla guerra ci si sarebbe arrivati. Il perché lo abbiamo scritto
nell’editoriale del numero scorso: “questione di papiro”.

Già il 28 luglio 2002, titolando “Delendus Saddam” prefiguravamo
del resto l’inevitabile conclusione.

L’8 ottobre parlavamo di “conflitto imminente” introducendo il
concetto del “papiro”, dianzi citato, e quindi della
inevitabilità del conflitto. Precisavamo però in tale occasione
che non era accettabile l’equivalenza "Né con Bush né con Saddam",
come era stato per qualcuno con passato illustre ma con il tarlo
della senilità ai tempi delle BR aveva sentenziato “Né con lo
Stato, né con le BR”.

In pari data chiarivamo il perché del nostro NO alla guerra. In
primo luogo evidentemente per quello che una guerra comporta:
vite umane, distruzioni, spreco di risorse che potrebbero ben
diversamente essere impiegate. Poi per alcune motivazioni
specifiche.

Avevamo precisato le debolezze delle posizioni favorevoli al
conflitto.

Questa volta le motivazioni sarebbero la disponibilità irakena
di armi di distruzione di massa, batteriologiche, chimiche e,
forse forse, nucleari.

Queste motivazioni non reggono, non perché teoricamente sia
sbagliato, ma perché, se questa é una via giusta, allora va
praticata in toto.

Quanti sono i Paesi che posseggono armi di distruzione di massa?
Partiamo dai 44 Paesi che posseggono reattori nucleari per
arrivare a quelli che posseggono ordigni nucleari e a quelli che
possono arrivarci in breve tempo.

Ancor più ricco il club dei Paesi con un arsenale chimico e
batteriologico, relativamente facile da approntare

Si legga in proposito l'articolo in materia di Martin
Fleischfresser sul sito
www.peacelink.it/tematiche/disarmo/documenti/batteriologiche/
nel quale oltre a USA e altri Paesi occidentali si parla di Iran
e gli Stati dell'ex Unione Sovietica, seguiti da Giappone, Iraq
e Israele come sospettati di avere un programma di ricerca sulle
armi biologiche sono Cina, Taiwan, Corea del Nord, Siria, Egitto
e Cuba. Ma l'autore aggiunge che la lista probabilmente è molto
più lunga.

E allora perché solo l'Irak? Le regole devono valere per tutti,
così come le risoluzioni dell'ONU che, ad esempio, nessuno si
sogna di far rispettare ad Israele con la forza, sia pure
tenendo conto degli eccessi e dei massacri anche degli
oltranzisti palestinesi.

L’8 febbraio scorso ribadivamo il nostro NO alla guerra
precisando: “Siamo contro la guerra in Irak e lo scriviamo prima
che si pronuncino le varie parti politiche, politicizzando così
un tema che certamente è politico ma che dovrebbe vedere la
priorità delle coscienze.

Abbiamo scritto di essere con il Papa e con i suoi messaggi che
cadono nel vuoto. Aggiungendo: “Non siamo antiamericani. E come
potremmo esserlo pensando che gli USA ci hanno salvato due
volte, prima dal nazismo e poi dal marxismo? Ovviamente,
dicevamo “Questo non vuol dire che siamo con Saddam Hussein (e
non occorre aggiungere altro al riguardo). Siamo contro la
guerra in Irak”.

Perché? Non per partito preso.

E ci chiedevamo anche: “Ma la Gran Bretagna è in Europa? Bush
tira dritto per la sua strada, nonostante il clima che circonda
questa avventura. Ci sono Paesi che hanno espressa chiara e
tonda la loro disapprovazione, arrivando anche, come ha fatto la
Germania, che questa volta non ci sarà neppure il contributo
finanziario che c’era stato per la Guerra del Golfo. Tirerebbe
così dritto se fosse solo, e se fosse stato solo in questi anni?
Dubitiamo. In realtà gli ha fatto da grande sponda,
politicamente in misura molto superiore all’apporto concreto,
pure non trascurabile, la Gran Bretagna. Se lo fosse dovrebbe
stare, come gli altri, alle regole comuni unitariamente
definite. Evidentemente siamo ancora in quell’habitus mentale
che faceva dire “Nebbia sulla Manica, il Continente è isolato”.

Ma anche: “Di qui però la seconda: ma esiste l’Europa?

Il 18 febbraio abbiamo guardato, con realismo, agli equilibri
nello scacchiere

Con realismo. La guerra del Golfo era oggettivamente inevitabile
dopo l'invasione del Kuwait. Non solo per il rispetto della
legalità internazionale ma per forti motivazioni di tipo
strategico. Una serie di analisti, alcuni seri e altri "della
domenica", avevano allora individuato come causa scatenante del
conflitto il petrolio.

Nessuno di loro era andato a vedere, riflettendoci su, i dati
essenziali economico-finanziari, e relativo trend, dei due
Paesi, invasore e invaso, come il PIL, il debito estero, le
disponibilità della Banca Centrale kuwaitiana. Men che meno gli
equilibri, militari compresi, nello scachiere.

Quali cioé prima dell'invasione e quali sarebbero stati senza
intervento con il Kuwait annesso all'Irak”.

Poi gli ultimi articoli fino a quello del “papiro”.


MAGARI AVESSIMO
SBAGLIATO!


Il nostro è un giornale atipico, visto che tutti gli articoli
pubblicati restano, tali e quali, in rete e quindi sono
leggibili anche a grande distanza di tempo.

Scrivendo di prospettive non si può giocare d’azzardo e
commentare emotivamente o superficialmente. Occorre approfondire
e misurarsi sul piano della logica in base a quante più
informazioni è possibile avere, distinguendo però grano dal
loglio.

Seguendo questo criterio abbiamo avuto significative conferme
per tesi originali, solo dopo condivise e sposate dai
commentatori, esposte negli articoli del dopo 11 settembre.

Ci saremmo augurati di prendere una solenne cantonata 233 giorni
or sono quando scrivemmo che Saddam era “delendus”, da
distruggere, qualsiasi cosa facesse, sulla base delle tre
ragioni reali, a nostro avviso, alla base della scelta
americana. Non ci eravamo sbagliati.

L’unica cosa che non abbiamo messo in conto i morti e feriti –
oltre quelli, ahimé, in carne ed ossa – che tutto questo lascia
sulla scena internazionale: l’ONU, l’Europa, la NATO, ma
soprattutto i principi etici soccombenti di fronte alla logica
della forza.


COME ANDRA’ A
FINIRE? LE FORZE DI SADDAM


Come andrà a finire?

Dipende dalla reazione delle forze irakene dopo le prime,
devastanti, battute della guerra.

Gli americani sperano in una implosione, in un flop sia nel
settore militare che in quello politico.

Per la verità speravano in una rapidissima conclusione. Avevano
accreditato l'ipotesi di un inizio al fulmicotone, con una
pioggia di missili - almeno 4 miliardi di lire l'uno - e di
bombe stupidamente chiamate "intelligenti". In realtà avevano
localizzato prima Saddam, ne seguivano gli spostamenti, sapevano
dov'era e hanno cominciato da lì pensando di fare centro subito.
Senza Saddam, pensavano, si tratta e si chiude. Non é andata
così.

Significativo che subito dopo il primo bombardamento siano
spariti gli annunci di guerra-lampo, sostituiti dall'annuncio di
Bush che la guerra sarà più lunga del previsto...

I generali irakeni non pensiamo però siano così folli da esporre in
campo aperto le loro forze condannandole alla catastrofe scontata
dato l’assoluto dominio dei cieli, anche con i micidiali
elicotteri armati, degli americani. Né dimenticheranno la
soverchiante supremazia tecnologica.

Restano armi chimiche e batteriologiche.

Non verranno usate. Se Saddam lo facesse darebbe ragione a Bush, e non potrebbero non
dargliela anche i Paesi contrari alla guerra, Francia, Germania,
Russia e Cina per primi.

Osserviamo comunque che l'avanzata delle truppe di terra appare
molto, molto più lenta rispetto alla prima guerra del Golfo.
Qualche ragione ci sarà pure, anche se l'informazione pilotata
di questi giorni non consente valutazioni.

Bagdad come Stalingrado? E’ un rischio. Certamente i generali
americani avranno esaminato anche questa ipotesi e studiato le
contromisure, ma quale sarebbe il prezzo, dall’una o dall’altra
parte?

Merita comunque una breve disanima della situazione delle forze
di Saddam.

La rivista “Analisi Difesa”, rivista fatta molto bene e
sempre molto documentata, ha pubblicato nel n. 32.o di marzo
2003, un’analisi di Gianandrea Gaiani della situazione militare
dell’Irak. Abbastanza impietosa, tanto che c’è da chiedersi come
possa essere, così stando le cose, l’Irak un pericolo per il
mondo.
“Rispetto al 1991 le forze di Saddam sono più deboli, hanno
meno mezzi, meno reparti e minore autonomia logistica. Anche
l’aeronautica e le forze missilistiche sono a effettivi ridotti:
i jet da combattimento Mig, Sukhoi e Mirage operativi sono al
massimo 150 e gli arsenali missilistici potrebbero al massimo
contare su sei rampe mobili per missili tipo Scud/Al Hussein
(tra i 20 e gli 80, a seconda delle stime) e su un centinsio di
vettori a corto raggio Al Samoud e Al Abil..

L’esercito dispone di circa 2.200 carri armati dei quali solo i
700 T-72 in dotazione alla Guardia Repubblicana sono
relativamente moderni mentre l’ampio numero di blindati (3.500)
e di artiglierie (1.750 obici) non sarebbe comunque in grado di
manovrare in operazioni di difesa dinamica considerata la totale
superiorità aerea imposta dagli anglo-americani…”.

E ancora: “Le divisioni dell’esercito irakeno sono in realtà
piuttosto deboli: molte dispongono di appena 8.000 uomini male
armati, poco addestrati ed equipaggiati con materiale obsoleto e
di scarsa efficienza…”
.

Dove la supremazia tecnologica sparisce e il dominio dei cieli
non servono più, salvo rinnovare l'ecatombe di civili di
Stalingrado o di Berlino, é a Bagdad, probabilmente scelta da
Saddam come ultima ridotta. Il fatto che non siano stati fatti
saltare i ponti sulla via per la capitale lascia pensare che
proprio questo sia il disegno, fidando sulla lealtà e sulla
dichiarata efficienza della Guardia Repubblicana.

Conquistare l'Irak é relativamente semplice. Bagdad é un'altra
cosa.


MALGRADO TUTTO
NON PERDERE CONTATTO CON GLI USA


Malgrado tutto, noi ferocemente – per usare un
termine antitetico con l’affermazione - contrari alla guerra,
sosteniamo che non bisogna perdere contatto con gli Stati Uniti.

Ci fosse stato il Governo Prodi o il Governo D’Alema lo spazio
di manovra per il nostro Paese sarebbe stato e sarebbe
estremamente ridotto.

Il Governo probabilmente non ha tenuto
conto, nella prima fase, che lo spazio di mediazione era
estremamente ridotto, posto che ce ne fosse (fin dal 28 luglio
scorso noi avevamo manifestato il nostro assoluto pessimismo al
riguardo e la dichiarazione lapidaria di un autorevolissimo
personaggio del Vaticano ne ha dato conferma). Ha cercato di mediare, in particolare con Putin e non
solo ma gli spazi, come detto, non c’erano.

Adesso invece occorre mediare perché è impensabile non
provvedere dopo il tonfo colossale dell’Europa, cominciando a
vedere se nel Vecchio Continente si riesce a riannodare le fila
per, subito dopo, ripristinare un rapporto, anche dialettico se
occorre, tra Europa e USA.

Non dimentichiamo esperienze negative di presenze americane in
altri Paesi, prima fra tutte la Somalia, ma anche di quelle
inglesi. Non basta “comprare” la benevolenza della gente
portando, come già pianificato, gli aiuti alimentari, di
medicine e quant’altro. Occorre anche saper gestire le
situazioni, cosa che gli italiani sanno fare meglio di tutti, se
vengono lasciati fare e non trovano testoni come il comandante
americano in Somalia, e come tanti esempi dimostrano, a partire
dal Libano.

I cocci sono tanti. Occorre incollare il vaso. Rattoppato fin
che si vuole ma è indispensabile che svolga la sua funzione.
Vale per l’ONU, vale per l’Europa, vale per la NATO, vale
persino all’interno dei singoli Paesi.

E non basta rattoppare,
occorre anche farlo in fretta perché gli spazi temporali sono
ridotti se non si vuole che della situazioni approfittino gli
estremismi di ogni tipo.

E occorre anche guardare alle prossime mosse, al rischio che
dopo l’Irak arrivi il turno di qualche altro Paese. Rischio che
la logica di potenza faccia piazza pulita di tutto il resto,
dimenticando quel saggio insegnamento di G.B.Vico, consacrato
dalla storia, che va con il nome di “corsi e ricorsi”.

D’altronde nel citato articolo di "Analisi Difesa” si legge:
“Con l’ONU moribonda, la NATO in coma e la UE che non riesce a
nascere non c’è da stupirsi se Washington è pronta a giocare su
scala globale la carta della superpotenza solitaria, persino
senza Londra se necessario, Quando le armate anglo-americane
travolgeranno il regime di Saddam, magari accolte da milioni di
irakeni sventolanti bandierine a stelle e strisce (come gli
europei nel 1943-45), ponendo le basi per un inevitabile accordo
di pace israelo-palestinese, Londra e Washington si saranno
garantite per ancora qualche decennio la leadership globale. Noi
europei, ancora una volta, resteremo a guardare”
.

O mettersi a ricucire con la saggezza della vecchia Europa
oppure mettere in cantiere questa prospettiva (che non é
piacevole e non é un bel viatico per le future generazioni).
Alberto Frizziero

GdS 18.III 03   

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Alberto Frizziero
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