IL “NON FARE” COSTA 200 MILIARDI. LO HA STUDIATO AGICI

Ne sappiamo qualcosa anche in provincia!

Il “non fare” ci costa, almeno 200 miliardi. Questa la conclusione dello studio Agici, società specializzata nelle tematiche ambientali e delle public utilites , che ha presentato il suo studio, il primo di questo genere, a Roma il 16 novembre. La ricerca ha voluto quantificare i costi della mancata infrastrutturazione del Paese, conteggiando il tempo perso su auto e camion imbottigliati in autostrada, in incidenti per il traffico, in posti di lavoro non creati, in costi che avrebbero potuto essere evitati, in aumento dei costi di gestione, in emissioni nocive nell’ambiente, in maggiori costi dovuti alle importazioni.

200 miliardi è una stima per difetto - ammoniscono gli studiosi - e riguarda solo una piccola parte di tutte le infrastrutture italiane: dei trasporti si sono considerate solo autostrade e tangenziali a pedaggio (non anche, dunque, ferrovie, aeroporti, porti); dell’energia, solo le centrali elettriche, gli elettrodotti e i rigassificatori (non anche, per esempio, le reti idriche), delle infrastrutture ambientali, solo lo smaltimento dei rifiuti (non la depurazione delle acque o le aree verdi). Escluse, da questo primo rapporto, tutte le altre infrastrutture, dagli ospedali all’istruzione, alla cultura.

Eppure, nonostante si tratti di una fotografia parziale, il numero finale è imponente: 200 miliardi di «costi del non fare». «Siamo partiti senza pregiudiziali, ma alla fine siamo rimasti impressionati dai dati emersi», dicono gli autori Andrea Gilardoni e Alessandro Marangoni. Che precisano: «Non vogliamo cementificare il Paese e non vogliamo nemmeno stupire, ma fare un ragionamento su una parte molto modesta del sistema infrastrutturale italiano».

Gli autori identificano una serie di interventi che dovrebbero essere compiuti entro il 2020. In particolare - scrivono -, per realizzare «una moderna politica dei rifiuti, che punti anche a quote elevatissime di raccolta differenziata», c’è bisogno di almeno 100 termovalorizzatori e di 85 impianti di compostaggio.

Nel comparto elettrico, «una ragionevole strategia a medio termine che contemperi gli obiettivi ambientali, di costo, di sicurezza degli approvvigionamenti e di diversificazione delle fonti», richiede non meno di 2-3 grandi centrali a carbone, 16 centrali a gas, qualche centinaia di impianti di produzione da fonti rinnovabili, circa 3.500 chilometri di linee ad alta tensione. Nelle infrastrutture viarie, per raggiungere livelli decorosi entro 15 anni (pari alla media europea odierna), c’è l’esigenza di non meno di 2 mila chilometri di autostrade.

Non fare tutte queste cose costerebbe, appunto, al Paese 200 miliardi di euro: 28 miliardi nei rifiuti urbani, quasi 40 miliardi nell’energia e ben 133 nelle autostrade e tangenziali a pedaggio.

Quindici – Federutility

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Economia