IL PETROLIO IN USA: FRA SGRAVI FISCALI E PROFITTI STRATOSFERICI 11 6 10 24
"Non punite la nostra industria per avere fatto bene il proprio lavoro". Parla John Watson, l'amministratore delegato di Chevron, una delle cinque maggiori compagnie petrolifere statunitensi, mentre cerca di convincere un gruppo di senatori a non togliere sgravi fiscali alla sua ditta. Si tratta di benefici che aiutano l'azienda di Watson come pure di Exxon, Mobil, Shell, ConocoPhillips e BP America.
In che modo fanno bene il loro lavoro? Ovviamente non con il prezzo basso della benzina che attualmente oltrepassa i quattro dollari al gallone (1,34 euro al litro) ma con i recenti profitti stratosferici. Perché avrebbero dunque bisogno di sgravi fiscali queste aziende che hanno moltissimo successo quando i consumatori devono continuare a pagare prezzi sempre più alti?
Watson ed i suoi colleghi hanno cercato di giustificare il bisogno degli sgravi fiscali perché producono più esplorazione ed eventualmente prezzi più bassi.
La realtà però lo guardava in faccia. Il contrario era davanti a tutti. Inevitabilmente i senatori democratici hanno dimostrato il loro disappunto ed hanno introdotto un disegno di legge al Senato che toglierebbe le agevolazioni fiscali alle aziende petrolifere americane.
Si tratta di leggi approvate in parte più di cent'anni fa che al giorno d'oggi non hanno più rilevanza. Nel passato dovevano incoraggiare la ricerca di nuove fonti di petrolio. La loro eliminazione avrebbe, secondo Watson, un impatto negativo alla creazione di posti di lavoro.
Ridurrebbe i loro profitti del 2% per quest'anno. Per il primo trimestre queste aziende hanno realizzato 35 miliardi di profitti. L'eliminazione degli sgravi fiscali avrebbe naturalmente un impatto minimo. Considerando i profitti di 900 miliardi realizzati da queste cinque aziende dal 2001 al 2011, due miliardi di tasse non dovrebbero fargli perdere sonno.
Poi se si considerano le tasse pagate da queste aziende si nota che la loro cifra è del 17% mentre quella per una famiglia americana tipica è del 20%.
Il disegno di legge al Senato non è stato approvato perché solo 53 senatori hanno votato a favore. Non si è raggiunto il numero magico dei due terzi, cioè 60 voti necessari. In effetti, la minoranza repubblicana è riuscita a bloccare la proposta, almeno temporaneamente, dato che i democratici intendono riprovarci.
L'eliminazione degli sgravi fiscali ad aziende che hanno molto successo non risolverebbe tutti i problemi fiscali del Paese. Ciononostante i due miliardi annui di fondi potrebbero essere usati per buonissime cause. A cominciare con investimenti su treni ad alta velocità che ridurrebbero la nostra dipendenza sull'uso delle macchine e spingerebbero il prezzo della benzina in giù. Il costo di ogni prodotto dipende dal fabbisogno e meno sarebbe la richiesta, più in basso andrebbero i costi. Un altro modo efficiente per usare questi fondi sarebbe di investirli ad incoraggiare l'uso delle macchine ibride e sviluppare la fabbricazione di automobili efficienti che raggiungano 60 miglia al gallone.
I voti contrari al disegno di legge non sono venuti esclusivamente da senatori repubblicani, gli alleati naturali delle grosse aziende. Anche qualche democratico si è opposto. Mary Landrieu, senatrice della Louisiana, per esempio, ha spiegato che, votare per colpire le aziende petrolifere può fare piacere, ma non risolve la situazione. Queste aziende, secondo lei, offrono lavori a 9,2 milioni di americani. Ha ragione. Rimane da considerare però che le aziende offrono lavoro non per la loro generosità ma perché i lavoratori sono strumenti necessari per i profitti.
Votare per continuare gli sgravi fiscali ad aziende che sono in pericolo di andare in bancarotta e quindi causare la perdita di posti di lavoro è una cosa. Un'altra cosa è continuare sgravi fiscali ad aziende che sono sane e guadagnano un sacco di quattrini. Questo si chiama puro e semplice egoismo che solo si spiega con i 145 milioni di contributi annuali ai politici ed i 798 lobbisti che lavorano per le aziende petrolifere.
Domenico Maceri (X)
(x) PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.)
ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.