09 11 10 GLI ESECUTIVI DI WALL STREET E I LORO "BASSI" STIPENDI. OBAMA NON SCHERZA: TAGLI FINO AL 90%

"Sono cifre brutali….Tagli come questi non si sono visti nemmeno quando le ditte hanno fatto bancarotta". Parla Jim Reda, consulente a Wall Street sui compensi degli esecutivi, mentre commenta i tagli dell'amministrazione di Barack Obama ai manager superpagati di Wall Street le cui ditte avevano ricevuto ingenti fondi dal governo per salvarli dal fallimento.

Kenneth Feinberg, lo zar dei compensi nominato dal presidente Obama, ha annunciato tagli drastici del novanta per cento comparati all'anno scorso ai manager di ditte come Bank of America, AIG, Citigroup, ecc. Si tratta di sette aziende che si sono riprese ed hanno pagato i soliti osceni stipendi ai loro esecutivi. Qualche esempio da capogiro: un esecutivo della Citigroup aveva incassato più di dodici milioni di dollari di stipendio. Riceverà "solo" cinquecentomila. Un altro esecutivo della AIG aveva ricevuto più di diciannove milioni di dollari. I tagli del governo ridurranno anche a lui lo stipendio a poco più di cinquecentomila.

L'intromissione del governo per stabilire gli stipendi degli esecutivi si spiega con i contributi fatti dal governo a queste aziende. In effetti, il governo ha investito in queste ditte per non farle fallire ed evitare conseguenze disastrose per il Paese e l'economia mondiale. Il governo ha dunque il potere di limitare i compensi.

Nonostante i tagli agli stipendi i compensi sono sempre molto alti. Inoltre, questi esecutivi super pagati riceveranno il resto del loro compenso totale in azioni che non potranno vendere per due anni. Infatti, quando si aggiungono stipendi e azioni, quattordici degli esecutivi di Citigroup guadagneranno fra cinque e nove milioni di dollari. In altri casi Feinberg non potrà fare nulla per limitari gli stipendi perché alcuni contratti erano stati firmati prima che le aziende ricevessero fondi dal governo. AIG dovrà dunque sborsare più di duecento milioni in bonus ai suoi esecutivi.

Quindi è difficile versare lacrime per questi signori. Eccetto alcuni membri del Partito Repubblicano che non vogliono imporre limiti al capitalismo. Il senatore Lamar Alexander, repubblicano del Tennessee, ha detto che non vuole "tanto governo nel sistema nell'iniziativa privata".

In altri Paesi però gli esecutivi ricevono stipendi molto più bassi di quelli percepiti dagli americani. Gli esecutivi dell'Australia e la Gran Bretagna hanno ricevuto aumenti fra il due e il venticinque per cento fra il 2002 e il 2006. Nello stesso periodo gli omologhi americani hanno visto i loro stipendi aumentare del sessanta per cento.

Ovviamente, quando il governo dà sussidi ad alcune aziende, diventa investitore ed ha tutti i diritti di imporre controlli. Inoltre il ruolo del governo è di stabilire le leggi mettendo dunque ulteriori controlli all'iniziativa privata. Ed è qui il nocciolo della questione. Durante l'amministrazione Bush, Wall Street ha avuto libertà totale di operare. Gli esecutivi hanno preso molti rischi e fino a quando uscivano profitti, tutti, inclusi i piccoli risparmiatori, erano contenti. Con il crack di Wall Street però il governo si è sentito in dovere di mantenere l'ordine per il bene dell'economia americana che ovviamente influisce notevolmente su quella mondiale.

I sussidi del governo hanno prodotto risultati. L'economia non si è ancora ripresa in modo notevole ma la borsa quest'anno ha avuto buoni aumenti per tutti gli investitori. Difficile però farlo credere a tutti coloro che hanno perso il lavoro e gli altri che sono disoccupati da parecchi mesi ed hanno poche speranze di trovare impiego.

Disturba dunque sentire che alcuni esecutivi continuano a percepire stipendi osceni. Alcune aziende che avevano ricevuto fondi dal governo li hanno già ripagati. Goldman and Sachs è una di queste. Come sono stati pagati gli esecutivi a Goldman? L'anno scorso Lloyd Blankfein, l'amministratore delegato di Goldman, ha incassato quarantatré milioni di dollari fra stipendio e bonus.

Il vero problema a Wall Street non è però gli stipendi osceni che le aziende offrono ai loro esecutivi. Ciò si potrebbe controllare mediante supertasse che il Congresso potrebbe giustamente imporre. Il vero problema e la mancanza di regolamentazione che fino ad ora è debole. Questa situazione dà la libertà agli esecutivi di rischiare grosso e mettere in pericolo i guadagni dei piccoli risparmiatori. Quando le cose vanno male il governo deve investire nelle aziende per evitare la bancarotta. Meglio un sistema di prevenzione che lega un po' le mani degli esecutivi a prendere meno rischi e di conseguenza evitare gli alti e bassi estremi che mettono l'economia statunitense e globale a rischio.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
Economia