"E' CRISI"

La crisi c'è, si vede, si tocca con mano e lentamente, ma inesorabilmente, coinvolgerà un pò tutti.

Anche la nostra provincia, dove solitamente le ripercussioni dei fenomeni arrivano sempre con leggero ritardo rispetto al resto del Paese, è interessata da segnali ormai evidenti, nei settori del legno, del tessile e dell'edilizia.

Dice il professor De Rita presidente del Censis: "Questa crisi sarà più grave delle altre perché oggi siamo socialmente una mucillagine, un amalgama di persone che non riescono a fare massa critica, a compattarsi, a mettersi assieme sottosforzo, partendo dal senso di collettività."

Il nostro Paese infatti, è sempre stato carente di senso civico e di coesione. Abbiamo sempre trovato pretesti per dividerci, tra nord e sud, tra nord e centro e per distinguere gli uni dagli altri, sia a livello individuale, che sociale e politico. Da sei o sette partiti politici che esistevano nella cosiddetta prima repubblica, dopo lo scompiglio provocato da mani pulite e conseguente rimaneggiamento della legge elettorale, i partiti si sono moltiplicati diventando un'accozzaglia di gruppi di interesse, dove a farla da padrone sono gli interessi più forti ed egemoni, i quali hanno mantenuto inalterati i loro vecchi difetti legati alla corruzione e alla logica di potere. Abbiamo visto personaggi pubblici cambiare colore politico e, senza tanti scrupoli, saltare sul carro del vincitore del momento. Abbiamo constatato che la coerenza con le proprie idee e con il perseguimento dei valori fondanti della nostra tradizione e cultura, non sono più una virtù e abbiamo assistito al dissolvimento di ideologie che si ritenevano inossidabili. Tutto ciò per lasciare spazio ad una stupida aggressività del linguaggio, alla demonizzazione dell'avversario e al rigurgito xenofobo del diverso.

In questo sfilacciarsi della situazione, complice il sistema mediatico (stampa, radio TV e internet) considerato strumento per fabbricare paura, sono passati tra la gente comune messaggi tanto chiari, semplici e facilmente assimilabili quanto devastanti, quali l'individualismo, il consumismo e il liberismo economico.

Il punto cruciale, come sostiene De Rita, è che "tutti vogliono mantenere le proprie autonomie personali, nessuno vuole sottostare a regole, modelli di comportamento, legalità, ovvero a quella solidità che si basa sulle certezze di una vita sociale che pone i propri confini proprio dove cominciano i confini dell'altro." Questa da molti viene definita autonomia strategica, quindi non condizionabile pena il sorgere di conflitti.

Com'era inevitabile, il liberismo economico è caduto in disgrazia e ora ne stiamo subendo le gravissime conseguenze. Più difficile sarà uscire dalle abitudini al consumismo sprecone e altrettanta difficoltà si incontrerà ad abbandonare la deriva individualista per recuperare, in una logica solidale, la responsabilità collettiva per il bene comune.

Da ciò che il Censis ci fa sapere si individuano alcune fragili note positive, come ad esempio: Il crescere dell'export di alta tecnologia, l'internazionalizzazione spinta dei nostri mercati, una popolazione sempre più informatizzata, la crescita a ritmi sostenuti dell'imprenditoria femminile rispetto a quella maschile, una ritrovata fiducia per le professioni intellettuali e il recupero di un positivo rapporto con il territorio.

Tutti questi elementi positivi di sviluppo sono però condizionati da altri molto pesanti: L'aumento delle persone in cerca di occupazione, un mercato del lavoro precario che non garantisce più niente a nessuno, le famiglie con figli su cui maggiormente grava il rischio di povertà, un livello di corruzione percepita, più affine a quella dei Paesi in via di sviluppo che a quello dei paesi avanzati. Le banche impaurite dalla crisi finanziaria non concedono facilmente crediti e le aziende ne soffrono perché non possono fare investimenti. Insomma, l'apparato economico-produttivo è in grande sofferenza e a pagarne i costi più alti sono, come sempre i più deboli e marginali.

E il Governo cosa fa? La percezione della gente in generale è che di fronte a questa situazione il Governo in carica stia facendo poco, e quel poco con provvedimenti controversi e confusi, ancorché per certi versi umilianti, come lo può essere la cosiddetta socialcardt: 40 euro al mese per sei mesi e solo per i poverissimi.

In compenso il presidente del Consiglio non desiste dal dispensare quotidianamente messaggi di ottimismo, come se l'attuale fosse una normale congiuntura e non invece una crisi del sistema di mercato.

Nessuna speranza allora? Domanda provocatoria che richiede una risposta complessa.

Alcuni esperti sostengono, e io concordo con loro, che questa crisi può rappresentare l'occasione per cambiare veramente il modo di governare il mondo e quindi anche il nostro Paese. Chiedendo a gran voce nuove regole (riforme) che prevedano il rispetto della persona, la tutela vera e dignitosa dei più deboli, l'eliminazione degli sprechi, la redistribuzione equa ed equilibrata della ricchezza, il contenimento e la sobrietà dei consumi e il rispetto dell'ambiente di vita. Il primo segnale che indichi il cambiamento che si vuole realizzare è quello di mandare a casa, privandoli del maltolto, tutti i responsabili dell'attuale sfascio. E questo dipende essenzialmente da noi! Valerio Dalle Grave

Valerio Dalle Grave
Economia