FORTI DUBBI SUL DECRETO PER LA QUES

Non è così semplice come la si presenta. E il risparmio? Qualche spicciolo

Prime pagine dedicate ai tassisti e così si parla poco del resto. Vediamo la questione delle medicine cosiddette da banco”, sinora in vendita esclusiva nelle farmacie e domani, con il decreto Bersani anche nei supermercati, anche se non tutti. Occorre infatti che ci sia sempre un farmacista laureato e quindi bisogna che ve ne siano almeno due in ragione di turni, ferie ecc.

In Italia ci sono 15987 farmacie private e 1365 pubbliche. In totale 17352. Sulla base della popolazione (57.888.245 ab.) consegue che in media ce n’è una ogni 3336 abitanti.

In Lombardia sono 2.330+384, in totale 2.714. Con 9.246.796 abitanti se ne hanno 3.407 per farmacia. Inoltre in molti centri, piccoli, piccolissimi comuni o frazioni sono aperti “armadi farmaceutici “gestiti, di norma, dalla farmacia più vicina.

I medicinali da banco (aspirina, sciroppi, pomate ecc.) sono quasi il 15% del fatturato globale. In Lombardia ancora meno con un ricarico lordo che vogliamo stimare intorno al 30%. Facile fare i conti e trarre le conseguenze, ma lo faremo dopo. Intanto sentiamo come ha preso la cosa l’associazione di categoria e cioè Federfarma.

FEDERFARMA

Federfarma ha proclamato lo stato di agitazione delle farmacie contro le misure contenute nel decreto-legge Bersani che stravolgono l’assetto del servizio farmaceutico. Il Consiglio di Presidenza, convocato in riunione permanente, ha deciso una serie di iniziative di protesta, tra le quali una giornata di chiusura delle farmacie di tutta Italia, in una data che sarà decisa dall’Assemblea nazionale nei prossimi giorni. Nel frattempo Federfarma chiede un incontro urgente al Presidente del Consiglio Prodi.

Federfarma stigmatizza duramente il fatto che le misure siano state varate, dopo un blitz notturno, senza la concertazione preannunciata più volte dallo stesso Presidente del Consiglio e senza tenere minimamente conto delle proposte formulate dai farmacisti per migliorare il servizio e ridurre i costi a carico dei cittadini. Tali proposte avevano ricevuto, già in campagna elettorale, l’apprezzamento dell’attuale Presidente del Consiglio, del Ministro della salute e del Ministro per l’attuazione del programma che oggi da atto del positivo confronto avviato in campagna elettorale.

Particolarmente grave appare l’utilizzo di un decreto-legge per modificare norme strutturali che servono a tutelare la salute dei cittadini e la cui importanza è stata confermata di recente dalla Corte Costituzionale. Il decreto, infatti, consente alle multinazionali della distribuzione intermedia del farmaco di gestire farmacie, nonostante la Corte Costituzionale abbia affermato che tale commistione di attività genera un conflitto di interessi pericoloso per la salute pubblica. Ma evidentemente il conflitto di interessi e la difesa della Costituzione valgono solo quando fanno comodo.

Stesso discorso anche per il richiamo all’Europa e all’esigenza di rispondere ai rilievi formulati dalla Commissione Europea. Appare singolare lo zelo e la tempestività con i quali si tenta di accontentare Bruxelles nell’introdurre norme che trasformeranno la dispensazione di farmaci in un’attività prettamente commerciale, mentre da anni vengono disattese le norme europee che impongono il rispetto dei tempi di pagamento alle farmacie da parte delle ASL.

Paradossalmente, per fare ancora più in fretta e mettere al riparo le multinazionali dai rilievi della Corte Costituzionale, il decreto modifica oggi una norma che non è ancora entrata in vigore…

Dichiarazione di Giorgio Siri, presidente Federfarma. Farmaci: il governo preferisce stare dalla parte dei più forti

Le prime decisioni del Governo in materia di farmaci sembrano orientate più a pagare una cambiale a grandi gruppi economici che a tutelare la salute dei cittadini, dimenticando che in ballo non ci sono tanto prerogative delle farmacie quanto un importante tassello dello stato sociale, rappresentato dal servizio farmaceutico. Le decisioni prese oggi, infatti, accolgono le richieste della Coop di poter vendere i farmaci nei propri supermercati e delle multinazionali che operano nel settore farmaceutico di creare catene commerciali di farmacie.

Tali scelte faranno prevalere nella vendita dei farmaci un approccio prettamente commerciale a scapito della salute. A orientare la scelta dei farmaci, ancora più di oggi, saranno la pubblicità, nelle sue varie forme, e le politiche di marketing di grandi gruppi.

A pagarne le conseguenze saranno i cittadini che avranno meno garanzie sul fronte della salute, anche perché le farmacie, in particolare quelle dei piccoli centri, rischiano di essere stritolate dalle politiche commerciali aggressive di operatori orientati solo al profitto. Alcune aree del Paese rimarranno senza farmacie: non si vedrà mai una Coop aprire un supermercato in un paesino con 200 abitanti, dove fino a oggi la farmacia c’è e, oltre a fornire i farmaci, è anche l’unico presidio sanitario sempre accessibile.

La decisione di consentire la vendita dei medicinali senza obbligo di ricetta medica/farmaci da banco in esercizi diversi dalla farmacia è estremamente grave, sia per le conseguenze negative sulla salute della popolazione sia per il metodo con cui questa decisione è stata presa.

La presenza dei farmaci in esercizi commerciali determinerà inevitabilmente una banalizzazione dei medicinali, che nell’ottica dei cittadini verranno assimilati sempre più a beni di consumo. Tale approccio, favorito dalle politiche commerciali della grande distribuzione, determinerà un aumento dei consumi, rischi di consumi impropri e danni per la salute della collettività.

Il prezzo troppo alto dei medicinali a carico dei cittadini è un problema reale che Federfarma denuncia da tempo. Portare i farmaci al supermercato è una risposta demagogica e non è la soluzione. Il cittadino non vuole sconti su pochi farmaci, quelli più redditizi per la grande distribuzione organizzata, ma deve avere il diritto e la certezza di pagare un prezzo equo per tutti i farmaci, ovunque li compri. Per dare queste certezze ci vogliono più regole e non pericolose forme di deregolamentazione. L’unica soluzione efficace è quella di intervenire a monte, introducendo strumenti per controllare e calmierare i prezzi che sono liberamente decisi dai produttori. Produttori che spesso stabiliscono per il mercato italiano un prezzo molto più alto di quello praticato in altri Paesi per lo stesso medicinale, magari prodotto in Italia.

Per quanto riguarda il metodo, Federfarma denuncia che la decisione è stata presa senza tener conto che era stato preannunciato un tavolo di concertazione con gli operatori. Il metodo smentisce di fatto la volontà più volte ribadita in queste settimane dal ministro della salute Turco di voler operare all’insegna della massima condivisione degli obiettivi da parte delle istituzioni e degli operatori.

Federfarma rimane in attesa di conoscere i dettagli del provvedimento per darne una valutazione completa e decidere quali azioni intraprendere per difendere il servizio farmaceutico pubblico e il diritto alla salute dei cittadini

IL RISPARMIO DEI CITTADINI: 3,8 €URO L’ANNO A PERSONA

Che ciascuno di noi possa risparmiare qualche soldo è evidente. Il farmacista ha una serie di costi che quindi gravano in proporzione su tutti i prodotti che vende. Il supermercato può permettersi il lusso di fare soltanto il conto economico e non quello economico-finanziario del nuovo reparto.

Diciamo dunque che su una confezione di aspirina anziché 3,95 €uro si vada a pagare diciamo 3,50. Meglio che un pugno nell’occhio senza dubbio ma alla fin dell’anno, salvo i malati immaginari dalla pillola facile, la cifra risparmiata sarà in ogni caso modesta. Le statistiche ci dicono che in Italia si spendono per questo tipo di farmaci 38 euro pro capite l'anno (meno della media europea con Francia a 84 euro, Germania a 72, Gran Bretagna a 65. Un single, supponendo che al supermercato facciano lo sconto del 10%, risparmierà in un anno 3,8 €uro.

Mediamente una famiglia di quattro persone, che spende quindi 152 €uro in un anno, avrà risparmiato, sempre in un anno, la bellezza di 15,2 €uro. Risparmiata poi da chi? Da chi è in serie A.

DUE ITALIE

Nel recente referendum punto di forza dei sostenitori del NO era lo slogan del NO a due Italie come, secondo questi, sarebbe andata a finire se avesse prevalso il SI. Il provvedimento delle medicine, adottato da chi aveva votato e fatto votare NO, determina cittadini di serie A e di serie B, secondo a quale Italia appartengono. Serie A dove c’è la grande distribuzione con forte affluenza di persone. Serie B dove i flussi non sono tali da garantire quantomeno il pagamento dei costi relativi ai minimo due farmacisti e un’inserviente-commessa. In provincia possono esserci condizioni favorevoli all’Iperal di Fuentes o, meno però, all’Iperal di Castione. Altri soggetti o gli altri punti di vendita Iperal, chiuderebbero in perdita. Larga parte della provincia non avrebbe quindi la possibilità di recarsi al reparto della grande distribuzione, così come in diverse parti d’Italia.

PROVVEDIMENTO INVOCATO DA ANNI DALLA GRANDE DISTRIBUZIONE

In realtà, visto il livello dei vantaggi, la componente decisionale del provvedimento è la risposta data alle istanze non solo delle Coop – che, si è detto in questi giorni, sono già in tiro per l’apertura degli spazi di vendita relativi a settembre – ma anche di altri colossi della grande distribuzione. Da anni sono tre le richieste: poter vendere i farmaci e i giornali e poter avere il distributore di carburanti. E’ legittimo il chiedere, è legittimo dare loro questa possibilità purché non venga contrabbandata come un grande vantaggio per i consumatori!

GdS

PS Doveroso corrispondere alla richiesta di un farmacista di dare conto anche di un altro aspetto. Oltre le varie cose che omettiamo per brevità (in particolare gli onerosi turni notturni e festivi) c’è l’incasso che per i prodotti da banco è immediato mentre il rimborso di tutti gli altri acquistati con ricetta avviene con mesi e mesi di ritardo. “Se perdiamo la vendita, o ne manteniamo una parte facendo uno sconto” continua l’interlocutore “non possiamo continuare a fare da banca per l’ASL, per cui senza soluzione si dovrebbe tornare al pagamento da parte dei cittadini che poi dovranno rivolgersi all’ASL per il rimborso”.

Per la verità, aggiungiamo noi, forse sarebbe opportuno agire sulla commissione centrale per il farmaco… (ndr)

Red

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