L'economia non é tutto
Dopo il crollo del comunismo e l’adozione del liberismo da parte di tutti i Paesi e partiti politici, anche di quelli dell’Est europeo e della Cina. il capitalismo basato sul libero mercato avrebbe dovuto essere una realtà indiscussa. Ma invece, seppure a distanza di anni, diversi studiosi stanno mettendo in luce i limiti del libero mercato, o libero scambio come viene chiamato comunemente.
Adam Smith, il padre del moderno capitalismo, assicurava nel suo saggio “La ricchezza delle Nazioni” che l’ingordigia degli uomini nella corsa all’arricchimento sarebbe stata frenata dalla mano invisibile del mercato, in quanto, appunto, il libero mercato giocato sulla leale concorrenza avrebbe avuto la capacità di autoregolare il sistema.
Purtroppo le buone intenzioni di Smith, lungo gli anni sono state demolite da uomini senza scrupoli, da speculatori professionisti, da amministratori incompetenti, da governanti corrotti, che hanno esercitato il loro potere agendo proprio su un disvalore dell’uomo: l’ingordigia.
Col passare del tempo, la libera concorrenza, che avrebbe dovuto mettere i consumatori al riparo dalla cupidigia speculativa degli attori economici, è stata solo un pretesto usato per coprire operazioni di concentrazione di potere finanziario in poche mani.
Ma c’è di più. L’autore di un saggio edito dalla Università di Yale, John Bogle, citato dalla Agenzia Vaticana Zenit, sostiene che gli ultimi due decenni hanno visto un notevole deterioramento nell’atteggiamento e nei valori dei maggiori uomini d’affari, banchieri d’investimento e gestori finanziari. Pur essendo Lui un sostenitore del libero mercato, lamenta l’eccessiva attenzione che viene data ai prezzi delle azioni, a discapito della considerazione del valore intrinseco delle aziende. Infatti, occorre notare che le aziende non sono fatte di soli beni immobiliari, tecnologici e prodotti di qualità, ma anche e soprattutto di uomini; ed è proprio la scarsa considerazione di questi ultimi che nel sistema si creano guasti enormi e spesso irreparabili.
Un altro fattore che incide negativamente sui mercati finanziari, quindi di riflesso sull’intera economia, osserva Bogle, è quello della tendenza a puntare eccessivamente sui guadagni a breve termine. Qualche decennio fa, i fondi comuni di investimento acquistavano e rivendevano, nell’arco di un anno, circa il 15% delle proprie azioni. Alla fine degli anni ’90 questa quota era aumentata al 100% e più, perché i gestori finanziari perseguivano l’obiettivo dei guadagni immediati in un mercato drogato e senza regole. Questo passaggio dall’investimento alla speculazione azionaria di breve termine comporta una minore propensione da parte dei gestori del credito e dei fondi ad esercitare pressioni sulle aziende per indurle a cambiamenti nella gestione (investendo in tecnologia, ricerca e innovazione di prodotto e di processo) e nell’etica d’impresa (più coinvolgimento partecipativo delle maestranze e più responsabilità sociale sul territorio).
In aggiunta è da rilevare che i dirigenti d’azienda, i revisori dei conti e i legislatori hanno mancato di assicurare un controllo adeguato sulla gestione delle società, con la conseguenza degli scandali degli ultimi anni (compreso quello politico che ci vede stupidamente contrapposti alla Francia).
Secondo quanto insegna Smith, nel mercato le persone perseguono i propri obiettivi e, attraverso il libero funzionamento del sistema dei prezzi, il mercato è in grado di regolare l’attività economica e di assicurare la maggiore efficienza. Il mercato è un processo sociale in cui gli individui constatano che i propri obiettivi potranno essere raggiunti solo se vengono in qualche modo conciliati con quelli di altre persone (concorrenza leale).
Quindi, il mercato in se non è cattivo, non porta necessariamente ad un’iniqua distribuzione della ricchezza. Questa è solo l’effetto di scelte determinate dagli uomini, di qualsiasi rango o potere essi siano investiti. La Dottrina Sociale della Chiesa, che pure riconosce il ruolo positivo svolto dal mercato, esorta però a tenere conto della necessità di assicurare giustizia e solidarietà. Le persone devono quindi evitare di cadere nell’errore di vedere nell’accumulazione di beni materiali (denaro) l’unico fine della loro attività. L’attività economica è solo un aspetto dell’attività umana e deve essere quindi posta nell’ambito del più ampio contesto della persona. Un’impostazione difficile da fare propria, ma che potrebbe essere molto importante per porre rimedio alle deficienze dell’economia di mercato.
Valerio Dalle Grave