Venezia è nata sull'acqua

Un tempo lontano, quando costruire una città sul mare aveva un senso - "Palo fa paluo"

(Maria de falco Marotta)   Oggi, 21 novembre, è la Festa della Madonna della Salute. Scuole ed uffici sono chiusi per onorare la Vergine Maria che ha salvato Venezia dalla peste tanti anni fa. Ma i veneziani nel loro DNA, fra sangue e tratti somatici, hanno la memoria di un tempo lontano, quando costruire una città sul mare aveva un senso, destinato a incidere la storia, specie quando orribili malattie vi si abbattevano, come fu per la peste. Nel tempo, Venezia ha seguito il ritmo delle maree. Sei ore sale, sei ore cala. È la prima cosa imparata da un “foresto” appena sfiora i masegni della città sospesa. Venezia ha sancito il suo legame con l’acqua salata gettando un anello tra le onde, lanciato da dogi ogni volta diversi, ma convinti del valore di uno sposalizio. Eppure oggi le cronache parlano di maree eccezionali e di litigate furiose con lo scirocco, scagliato a tutta velocità contro canali dragati dalle chiglie di navi multipiano, che solcano, placide e inesorabili, flutti troppo fragili per sostenerle. Eppure, tra il fango e la rabbia, la marea eccezionale ha fatto emergere gesti inattesi, figli di una solidarietà che, in un Paese dominato dall’odio da tastiera e da una classe politica incapace di reagire alle catastrofi, suona più forte delle sirene e delle polemiche da quattro soldi, all’indomani della tragedia. Dopo i 187 centimetri salmastri che hanno invaso le sue arterie, Venezia ha sputato detriti – elettrodomestici inceppati, pagine squarciate dalle onde, cimeli di famiglia incrinati dalle raffiche di vento. Quegli stessi detriti che ingolfavano calli e campielli, rischiando di finire al largo durante il picco di marea successivo. Tra il disastro e l’indifferenza di una nazione che non sa più distinguere il dolore vivo dagli effetti manovrati delle fake news, ha preso forma una trama di interventi spontanei, nati “dal basso”, dal cuore di giovani soprattutto.
PAROLA AI PIÙ GIOVANI
All’indomani di una notte senza fine, Venice Calls – “progetto nato nel 2018 dalla volontà di un gruppo di ragazzi veneziani […] per salvaguardare la società veneziana e ripristinare la cura e la tutela della Città e della sua Laguna”, si legge sul sito internet – ha usato Telegram e WhatsApp per far fronte all’emergenza, riunendo giovani volontari non solo dalla città martoriata ma anche da Mestre, Padova, Treviso e oltre.
Una “chiamata alle armi” che ha prodotto l’effetto desiderato, portando a Venezia centinaia di ragazzi – studenti universitari e delle scuole secondarie – intenzionati a mettere le proprie forze, fisiche e psicologiche, al servizio di un’urgenza collettiva. Divisi in squadre, gli “angeli dell’acqua alta” ‒ così sono stati battezzati da chi ha ricevuto il loro aiuto ‒ si sono spartiti i sestieri e le conseguenze di una città sommersa, spazzando fanghiglia, trasportando sacchi di immondizia, coordinandosi con i barconi dei rifiuti, sfoderando guanti, stivali di gomma e parole di conforto. Giovani e giovanissimi che credono nella “città che affonda”, nella “Disneyland del nord est”, in una Venezia che, fortunatamente, non è solo uno scenario da cartolina o un luogo dove sperimentare l’ebbrezza dell’acqua alta da parte dei turisti della domenica. Più o meno organizzati in gruppi, i volontari si sono fatti sentire in questa settimana di ondate fuori misura, che scolpiscono con il sale l’ineluttabilità di cambiamenti climatici non più ignorabili. Se i ragazzi di Fridays for Future hanno alzato la voce contro amministrazioni miopi, sollevando la spinosa questione del Mose – eterno convitato di pietra – e rimboccandosi le maniche per dare un aiuto concreto alla città, individui di qualsiasi età – hanno regalato il proprio tempo e le proprie energie alla salvaguardia del patrimonio cardine di Venezia, quello culturale.
A SOSTEGNO DELLA CULTURA
Frotte di volontari hanno prestato soccorso alla Fondazione Querini Stampalia nel recupero del materiale librario inondato dall’acqua, così come avvenuto al Conservatorio Benedetto Marcello, i cui archivi sono stati messi a dura prova dalla marea, o alla Fondazione Bevilacqua La Masa. Iniziative autonome, che fanno notizia proprio perché non sono il frutto di trattative governate dalla burocrazia o di vertici che rispondono ai comandamenti elettorali. Gesti indipendenti, che centrano il cuore del problema. Come la tangibile solidarietà dimostrata alla Libreria Acqua Alta.
ISTITUZIONI E FUTURO
Il MiBACT è al lavoro per estendere l’Art bonus al patrimonio ecclesiastico lagunare, in seguito al sopralluogo del ministro Franceschini a Palazzo Ducale e nell’area marciana, mentre è attivo, per trenta giorni, il servizio di donazioni via sms per il recupero del patrimonio culturale della città. Ovviamente la conta dei danni è a stento iniziata – complice il susseguirsi di maree ben al di sopra del livello di guardia –, ma la risposta di interlocutori oltreconfine non ha esitato a giungere, con l’Associazione Comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia che ha ribadito il suo impegno a favore della Laguna. Tuttavia, al di là delle risposte “dall’alto”, che nei prossimi giorni dovranno trasformarsi in realtà, a lasciare il segno sono le iniziative spontanee. Quelle che scardinano la retorica, gli slogan e i luoghi comuni. E che dimostrano la tenacia di Venezia nell’essere viva. Marea, Mose, overtourism o meno. Oggi, in Italia, esistono tre protagonisti: Venezia, con l’acqua alta; Matera, con il nubifragio e al centro, divisa in due fazioni, l’Italia del malcontento. Non ha senso dilungarsi o esprimere pareri su coloro che, in queste ore, stanno subissando i social con il loro rancore, con il loro intimo e inguaribile campanilismo. Ciò che è necessario sapere è che esistono. Ciò che dicono non ha importanza. Quello che ha importanza, in questo contesto, è una caratteristica strutturale della nostra democrazia e il modo con cui la nostra classe dirigente intende l’attività politica. 
L’ITALIA E LA POLITICA DELL’ “EMERGENZA”
Con le doverose eccezioni, oggi, chi fa politica in Italia, ha una visione temporale che non supera il proprio incarico. Un anno, tre? Nelle prospettive più rosee, forse cinque. È questo il periodo di riferimento per la nostra classe dirigente: è con queste deadline che i nostri politici misurano le loro performance. In un periodo di tempo così breve, non si possono adottare strategie e programmi in grado di riqualificare le nostre città e i nostri territori. In un periodo così breve, non si possono adottare soluzioni poco “gradite” dagli elettori.  La conseguenza di tutto ciò è evidente: nessuna programmazione, nessuna manutenzione e solo spese straordinarie. Se dal punto di vista economico un atteggiamento di questo tipo è tutt’altro che auspicabile, lo è ancor meno nelle sue implicazioni etiche: se tutti gli investimenti hanno carattere straordinario è necessario che sussistano le condizioni di straordinarietà.
L’ITALIA E LA POLITICA DEL CONSENSO
La responsabilità di tutto ciò, tuttavia, non è solo colpa di una politica e del suo essere assoggettata alle regole del consenso: l’Italia del malcontento ha un ruolo centrale in questo processo. Senza entrare nei meriti delle singole attività, è un dato di fatto che i processi infrastrutturali che riguardano il nostro Paese sono sempre circondati da proteste, polemiche, gruppi sociali che, a vario titolo, finiscono con il fornire un alibi perfetto ai nostri dirigenti, instaurando un circolo vizioso. La classe politica tende a privilegiare il consenso piuttosto che a trovare soluzioni che potrebbero migliorare gli equilibri di lungo periodo; le attività che vengono avviate incontrano prontamente la disapprovazione dell’opinione pubblica, che nel world of mouse impiega un istante ad incidere sui sondaggi; ciò si traduce in un atteggiamento “poco proattivo” da parte della nostra classe dirigente. L’unica soluzione di continuità in questo meccanismo che ormai si reitera da anni, è rappresentata dalle condizioni di emergenza, che rappresentano per i politici un’occasione unica da sfruttare. Possono così realizzare, nel nome dell’emergenza, le opere infrastrutturali per le quali i fondi erano già disponibili. Possono superare l’opposizione dei piccoli gruppi di interesse. Possono realizzare, con ritardi “umani”, quelle azioni che altrimenti avrebbero richiesto anni. 
L’ITALIA DEL MALCONTENTO 
Quando gli effetti di questo atteggiamento si palesano, l’Italia del malcontento, volutamente ignara del ruolo che riveste, si indigna a gran voce e struttura il proprio pensiero in modo che possa declinarsi in un hashtag. Ma la classe politica, in questi casi, non se ne cura più di tanto. Presto ci saranno nuove emergenze e nuove ragioni per indignarsi. Questa però non è politica. Questa però non è cittadinanza. Questa, però, non è democrazia (Cfr.: I quotidiani italiani di novembre 2019+ le riviste specializzate di arte).
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Mi associo. Avevo predisposto una nota perchè avrei mille cose da dire. "Venezia è nata sull'acqua", e lo è anche Chioggia (dove, inciso, il miniMose ha funzionato salvando il canal Vena). Nei miei scritti in argomento, nelle conferenze che ho tenuto ho sempre avuto un riferimento prioritario nella grandezza di Venezia, sul suo ordinamento, circolare - un unicum  - e non piramidale come è per i circa 200 Stati nel mondo. Elemento fondamentale per quanto non unico, il corpus legislativo, quello a cui bisognerebbe si ispirasse il legislatore. Erano 10 gli articoli, mio padre era solito quando si entrava in argomento a snocciolarli tutti e 10 perchè avevano una grande particolarità: la comprensibilità al punto che un analfabeta, facendoli leggere, non avrebbe avuto bisogno di consulenti. Ne ricordo purtroppo uno solo ed è "PALO FA PALUO". Semplice: piantare un palo determina una sedimentazione ecc. ecc. dirà il competente ma anche l'incompetente poteva capire che piantando un palo si fa palude. Ergo guai a piantarlo senza autorizzazione anche perchè - secondo punto - il Magistrato delle acque aveva sì il supporto scientifico del "Bo" ma anche le guardie lagunari che hanno esercitato un controllo costante per secoli fino ad dopoguerra, anni '50. Sarebbe importantissimo che, passando parola, si trovi qualcuno che  conosce le altre norme consentendo di ricostruire questo mirabile corpus legislativo,

Alberto Frizziero, direttore

Maria de falco Marotta
Degno di nota