Il mondo ha fame
di Maria de falco Marotta
A New York è stato aperto il vertice delle Nazioni Unite sui food systems in cui si discuterà di come riportare sui giusti binari gli sforzi affinché tutti nel mondo abbiano da mangiare, alla luce dei danni causati dalla pandemia. Nel mondo c’è un profondo squilibrio, ha affermato su Nature il gruppo di scienziati incaricato di fornire una serie di raccomandazioni in vista del vertice: “Una persona su dieci è denutrita. Una su quattro è sovrappeso. Un terzo della popolazione mondiale non può permettersi una dieta salutare. Le forniture alimentari sono minacciate dal caldo intenso, dalle alluvioni, dalla siccità e dalle guerre. Le persone che hanno sofferto la fame nel 2020 sono state il 15 per cento in più del 2019, a causa della pandemia e dei conflitti. Anche l’ambiente soffre. L’industria alimentare è responsabile del 30 per cento delle emissioni mondiali di gas serra. L’espansione delle terre coltivate, dei pascoli e delle piantagioni di alberi contribuiscono per due terzi alla scomparsa delle foreste (5,5 milioni di ettari persi ogni anno)”. Senza contare che i prezzi dei generi alimentari sono aumentati sia a causa della pandemia sia dei conflitti, soprattutto in Africa. Si può dire- senza temere di essere smentita- che “La fame è la storia dei nostri tempi” in cui si descrive il peggioramento delle condizioni di vita e le difficoltà a nutrirsi di persone che vivono in Sudafrica, Brasile e India – che, non a caso, sono anche alcuni dei paesi più colpiti dal covid. I governi e la comunità internazionale nei loro casi non hanno fatto molto per aiutarle: più efficace è stata la solidarietà e la collaborazione con i vicini, così come le iniziative scaturite dal basso, come gli orti comunitari.
Detto ciò, è doveroso che i rispettivi governi e le Nazioni Unite intervengano. E anche se questi vertici internazionali vengono, non poche volte, criticati, perché riflettono soprattutto la voce dei più ricchi del mondo, restano comunque un appuntamento utile per accendere i riflettori su una serie di questioni impellenti.
Solo un esempio:
in Etiopia, nella regione del Tigrai, la carestia – che in questo caso è la conseguenza diretta della guerra – è sempre più visibile e gli operatori umanitari locali hanno registrato decessi per fame in almeno venti distretti della regione. Le notizie di questa tragedia sono scarse perché il governo di Addis Abeba cerca in ogni modo di ostacolare il lavoro delle organizzazioni umanitarie (che non sono in grado di fare delle stime) e di impedire la diffusione di immagini e testimonianze.
Maria de falco Marotta