“Linea Cadorna”
La redazionedelagata dalla Direzione del giornale ha ritenuto di tornare sull'estremo baluardo d’Italia attingendo, come ha fatto il prof. Colombo, all'affollata conferenza tenuta a cura del Cai Valtellinese, nell’ambito delle “Serate Tutela Ambiente Montano” capitanate da Enrico Pelucchi, su “L’attacco che mai avvenne Orobie 1915-18. La Linea Cadorna fra trincee, ambiente, natura, persone e fatti”. Un ponderoso testo frutto di un lavoro collettivo scritto a più mani che fa luce sulla storia dimenticata della “Linea Cadorna” disseminata nel Parco delle Orobie Valtellinesi e quelle Bergamasche. Tutto è iniziato quando Claudio Malanchini, coordinatore Commissione Cultura Cai Bergamo, s’imbatte una sera d’ottobre del 2017 in un vecchio baule confinato in soffitta in cui il nonno, “accumulatore seriale” delle testimonianze della Grande Guerra, aveva custodito le sue “memorie”. Un vero patrimonio storico con un capitolo dettagliato sulla linea difensiva italiana che intendeva prevenire un possibile attacco austriaco dalle vicine costole svizzere. Era il “la” per partire con un mega progetto di ricerca approdato all’Iscag, l’Istituto Storico del Genio Civile di Roma, a caccia di polverosi faldoni che nel corso degli anni hanno catalogato le mosse italiche dalla Guerra di Crimea alla… “Linea Cadorna”. Armata di obiettivo fotografico, la troupe esplorativa ha immortalato l’intera documentazione rivisitata poi grazie anche alla consulenza di Tarcisio Bottani del “Centro Culturale Valle Brembana” e dell’infaticabile ricercatore Lino Galliani, camminatore inesauribile sulle tracce dell’attività strategica difensiva del fronte bellico italiano. Il testo si presta però a diversi livelli di lettura, proiettando le vicende storiche che dalla Bell’ Époque si proiettarono sulle ombre micidiali della Grande Guerra, alla ricerca geomorfologica e speleologica del territorio alpino, con un approfondimento certosino sull’ambiente, addentrandosi talvolta, in un vero “Bosco addormentato delle Fate” in cui solo la natura tesseva il suo disegno. Nè manca l’aspetto “etnografico” tra gli arditi eroi della Resistenza. Da una elaborata cartina topografica di tutte le trincee che popolano le nostre Alpi, si è giunti infine alla stesura del libro che sembra respirare ancora delle antiche fatiche di soldati e finanche tanti adolescenti impegnati nella costruzione di baluardi difensivi, meticolosamente documentata ad ogni stato di avanzamento. Capitolo particolare riguarda le fortificazioni orobiche durante la Grande Guerra su un fronte che si estendeva per 170 km prevalentemente in alta quota tra il Passo dello Stelvio e il lago di Garda. La I guerra mondiale si concluse con il tragico bilancio di 680.000 caduti militari, senza contare feriti, gli invalidi, le terribili privazioni patite dai civili. Bergamo pagò il suo triste tributo con 12.338 caduti anche se fu risparmiata dalla guerra sul proprio territorio. Non fu certo così per Sondrio, epicentro di terribili scontri. Uno dei segni tangibili della situazione sul fronte orobico fu dunque la costruzione tra 1916 e 1917 del tratto terminale orientale della Linea Cadorna, estremo baluardo a difesa dei Passi alpini per prevenire un possibile attacco nemico alla Lombardia alle spalle del nostro fronte, attraverso La Svizzera, violandone la neutralità. Quell’attacco fortunatamente mai avvenne, per cui le opere realizzate rimasero inattive dal punto di vista bellico, e dopo 100 anni dalla loro costruzione sono presenti ancora lungo il crinale delle Orobie. Un confine che vide 72 km di trincee, 88 postazioni per l’artiglieria, 398 km di carrarecce e mulattiere, opere progettate dal genio militare con l’impegno di almeno 40.000 uomini. Dopo la rotta di Caporetto, la Cadorna perse d’importanza strategica e fu abbandonata nel 1919 e quasi dimenticata. Nel II conflitto mondiale però vive alcuni episodi bellici: nel 1943 la battaglia del San Martino tra partigiani e nazifascisti; il 4 nov. del ‘44 la fucilazione di 5 presunte spie da parte dei partigiani della 40esima Brigata Garibaldi alle trincee del passo di San Marco. Il 27 aprile del ‘45 dal forte di Montecchio a Colico furono sparati 5 colpi di artiglieria contro colonna tedesca in fuga (quella che portò infine al tragico epilogo di Dongo). Nel 1947 sempre da Montecchio furono sparati 20 colpi di cannone in onore di valorosi partigiani della Valsassina. Perfettamente visibili in Valtellina tra il Mera e l’Adda le opere belliche, patrimonio storico da tutelare dal degrado, su cui si ritrovano talvolta incisi sulle rocce i nomi dei “Ragazzi del ‘99”. Il loro sangue non è stato versato inutilmente.
Nello Colombo