Piero Ottone
In ricordo dell’amico Piero Ottone
Ho conosciuto Piero Ottone a metà degli anni 70.
Io avevo una trentina di anni.
Lui era più maturo.
Nacque subito una grande amicizia.
Venne tre volte a trovarmi a Sondrio e fu sempre lui a pagare il pranzo al ristorante Trippi.
Dopo la degustazione delle specialità, gli piaceva un goccio di Grappa Invitti e un goccio di Braulio.
Ci incontrammo più volte a Milano.
Conversavamo volentieri insieme.
Si parlava di politica – lui sapeva che io ero della Democrazia Cristiana, anche se un po’ atipico.
Mi diceva sempre che io ero fuori dal coro, per questo si trovava bene con me.
Per lui era come evadere dalla routine quotidiana che lo distraeva un po’ dai molteplici impegni redazionali al Corriere della Sera e dai rapporti frenetici con giornalisti di altre testate.
Parlavamo anche del suo editore, che pure io conoscevo e con il quale più volte ho conversato.
Quando ci salutavamo, apprezzava molto che io stringessi forte la mano. Diceva che nel suo ambiente professionale la mano non la si stringeva mai, anzi, era come un passa là.
Poi, a metà degli anni ottanta, ci siamo un po’ allontanati, forse anche a causa della vita convulsa che l’Italia attraversava, specialmente a seguito delle Brigate Rosse.
Ora, dopo la sua scomparsa, non mi rimane che abbracciarlo nel ricordo di quegli anni in cui ci siamo frequentati, senza interessi, ma per il piacere di stare assieme; e prego per lui.
Ciao Piero.
Il tuo affezionatissimo amico Luigi Mescia