Dalle Alpi ai ghiacciai dell’Antartide: “Il Pompa”

di Nello Colombo

Ruvido personaggio da romanzi noir dal sapore un po’ nostalgico del passato, il bormiese Alberto Quintavalla, 60 anni suonati, vissuti  all’arma bianca tra i denti, con la grinta e la resilienza all’impossibile. Il faccione aperto e simpatico, il barbone fluente, incolto, venato di grigio, per “l’uomo vissuto che non deve chiedere mai”, sfuggente alla pressione delle domande, insofferente alle etichette, al limite dell’irriverenza verbosa, ma dalla simpatia multiforme di un Pierino scavezzacollo che la sa lunga. Alpinista tenace e indomito che affronta le cime innevate con la maschia e caparbia protervia di un Odisseo o un Prometeo che sfida imperterrito gli dei. Inventore sagace e intraprendente al cui istinto manipolativo nulla resiste nel laboratorio segreto della sua officina. Meccanico di grido prestato alle scienze, che sa volare oltre le stelle abbandonandosi al folle volo di Icaro col suo biplano o in sella alla sua ultima rombante moto d’epoca riesumata.  Ma anche irrefrenabile globetrotter tra i ghiacci dell’Antartide con lo spirito dell’avventura nel sangue: quella di un Jack London (che lui ha avuto la fortuna di interpretare come controfigura) dalla scorza dura e dall’anima pannosa, sguinzagliato su una slitta trainata dai suoi husky verso la spasmodica ricerca dell’oro tra le gelide foreste dello Yukon.  Enfant prodige della meccanica, instancabile e iperattivo, Quintavalla da bambino ne ha sempre combinate di cotte e di crude mostrando senza remore le sue predilezioni per l’elettronica e i motori a scoppio, “consenzienti forzati” il suoi maestri delle Elementari quando si presentava in aula con animali impossibili e il frutto dei suoi primi geniali esperimenti.  Alle Medie eccolo con i suoi amici lungo impervi e impegnativi sentieri di montagna. Ma voglia di studiare poca o niente, col suo istinto ribelle che lo portava a entrare in ritardo in aula attraverso la finestra arrampicandosi come un ardito felino fino al terzo piano. Pena l’espulsione. Una tira l’altra, come le ciliegie. E paga il fio con l’insofferenza mai sopita di un collegio, finché la passione per il volo si concretizza presso l’Istituto aeronautico di Forlì.  “A 18 anni ho costruito il mio primo gatto delle nevi ed ho cominciato a portare in giro attori, registi e troupe cinematografiche che giravano allo Stelvio e in altre zone dell’Alta Valle. Tra i registi ho conosciuto Neri Parenti che mi ha voluto in varie parti dei suoi film, sia come controfigura che come comparsa. Negli anni ‘70 ho fatto la controfigura di Jack London per il film “Martin Eden”, poi un bel giorno ho conosciuto Alessandro Melazzini in modo occasionale perché avrei dovuto portare la sua troupe allo Stelvio in primavera e, parlando della mia vita, alla fine sono diventato protagonista del suo documentario”, racconta Quintavalla che sembra quasi incidere nell’aria per dipingere un nuovo foglio d’album dei suoi ricordi più belli: quelli in Antartide dove ha lasciato mente e cuore, anche se in un incidente ci ha rimesso l’uso di un piede. “Mia mamma mi dice che ormai è l’ora di mettere la testa a posto e quasi quasi le do ragione: credo proprio che tirerò i remi in barca e mi limiterò a fare dei bei giri in moto, rigorosamente con moto d’epoca, sempre tenendo d’occhio qualche attrezzatura per il soccorso”, confida l’intrepido esploratore dei ghiacci. Ma è difficile immaginarlo, appollaiato come un asceta sulla cuspide cristallizzata di un nevaio, Übermensch sospeso sull’abisso di un’olimpica solitudine, o sprofondato su una cassapanca accanto al fuoco a narrare ai bambini le sue titaniche imprese.  Difficile. Veramente difficile. Maledettamente difficile.

 

 

 

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