Le piante della fame - Lezione ALL'UNITRE del prof. Pirola
Le popolazioni alpine come tutte quelle di zone povere
sottoposte a climi
difficili, hanno sempre condotto un’agricoltura di sussistenza i
cui
prodotti erano al meglio appena sufficienti per l’alimentazione
di un anno e
per il rinnovamento delle colture. Le proprietà frammentate dei
suoli da
coltivare non hanno mai permesso il passaggio a forme di
monoculture più
vantaggiose per la creazione di eccedenze di prodotti da
scambiare
attraverso il commercio. D’altra parte i frequenti e
imprevedibili
peggioramenti climatici, con anni “senza estate”, propri del
periodo noto
come Piccola Era Glaciale (1300-1850), furono il motivo
ricorrente di
un'indigenza persistente, specie nelle zone alpine. Qui,
infatti, si
sommarono gli effetti negativi naturali a quelli di ordine
politico generati
dagli eventi bellici: l’isolamento, il passaggio di eserciti con
libertà di
saccheggio e con la diffusione di pestilenze.
Le piante coltivate per la dieta normale possono già essere
considerate
prossime tra le più povere: i cereali, ottenuti da suoli ridotti
in
superficie, ebbero un’altra riduzione per l’estensione del
vigneto i cui
proventi non erano sufficienti a compensare le mancanze
alimentari. Le
verdure coltivate negli orti familiari costituiscono allora la
fonte più
importante dell’alimentazione per tutti i ceti sociali, ma negli
anni con
clima sfavorevole, il ricorso a piante spontanee verosimilmente
corrispondenti ad alcune di quelle coltivate, assume grande
importanza per
la sopravvivenza. Questa soluzione deriva dalle conoscenze
acquisite dalla
pratica della pastorizia seminomade fondata su spostamenti
stagionali verso
gli alpeggi che permettono ai pastori di trovare erba per gli
animali e i
ricacci primaverili di piante eduli per la propria
alimentazione. Il
riconoscimento delle specie vegetali, solo sulla forma delle
foglie, espone
ai rischi di raccogliere piante con principi tossici. Di ciò dà
prove il
medico botanico Giuseppe Massara (1833).
Queste condizioni alimentari, per se stesse, sono da considerare
sintomo di
un’estrema indigenza, ma si trovano indicazioni di condizioni
peggiori
quando per l’alimentazione umana sono usati erbe o frutti
destinati di norma
agli animali o trascurati in tempi normali: ghiande, semi della
vite, paglie
e fiori secchi, aggiunti alla scarsa farina di cereali senza
concorso
utilità alimentare se non quella di riempire lo stomaco.
Adesso sono rivisitate ricette dei periodi di indigenza con
nostalgia, ma
con aggiunta di condimenti che allora erano molto scarsi o del
tutto
assenti.
Marisa Schena Andreoni
(x)
(x)
Presidente UNITRE Sondrio
Gds - 20 XI 04 -
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