WELBY (6). UN ESERCITO DI MARTIRI SILENZIOSI
L’esistenza terrena di Piergiorgio Welby, 61 anni, da 40 malato di distrofia muscolare, si è conclusa ieri notte, 20 dicembre alle 23.40. I suoi amici politici, aderendo una sua precisa richiesta, hanno staccato la spina della macchina che gli permetteva di respirare, ed è morto.
Il “caso” Welpy, però, continua. Intellettuali, uomini politici, uomini di scienza, medici, continuano a intervenire con commenti e discussioni che riguardano questo argomento in tutte le sue diramazioni e implicazione, morali, giuridiche, sociali, religiose, e certamente le discussioni sono destinate a continuare a lungo. I pareri e i giudizi sono innumerevoli. Provengono da ogni direzione ideologica. Inquinati spesso da obiettivi politici, che “usano” e “sfruttano” la vicenda dolorosa di una persona per altri scopi.
In questi giorni, però, ho letto e sentito pochi interventi di provenienza strettamente cattolica. A parte gli interventi preziosissimi del Papa, di vescovi, di teologi, rivolti soprattutto ad affermare dei principi “non negoziabili” sul valore della vita e della morte. Ma rari gli altri interventi, quelli “pratici”, che riguardano i casi concreti dell’esistenza quotidiana.
Solo in Italia, sono migliaia e migliaia le persone malate di distrofia muscolare. Alcune si trovano già nelle condizioni di Welby e le altre hanno come prospettiva certa di arrivare a quel traguardo pauroso. E ci sono altre migliaia di persone ridotte all’immobilità assoluta, in un letto o su una sedia a rotelle, per molte altre cause diverse. Moltissimi di questi malati, per non dire la quasi totalità, vivono la loro condizione drammatica attaccate alla fede religiosa. Qualcuno ha insegnato loro che è esistito un uomo di nome Gesù, buono, che ha insegnato ad amare la vita, anche nella sofferenza, e che, senza avere alcuna colpa, è stato condannato a morte e alla morte di croce. Morte atroce, che egli ha accettato per amore e poco prima di spirare ha chiesto perdono a Dio per i suoi crocefissori. Con quella sua morte, Gesù ha spiegato, a chi vuole credere in lui, il valore della sofferenza e della condizione umana.
Moltissime delle persone che stanno vivendo malattie uguali o simili a quella di Welby, credono in Gesù, e ogni giorno sorridono alla vita, pregano, offrono le loro sofferenze per il mondo, per i loro fratelli. Ma in mezzo al mare di discussioni, teorie, opinioni, dichiarazioni, formulazioni di ipotesi, leggi, obiettivi, diritti che in questi giorni invadono i media, le loro convinzioni e le loro sicurezze ideologiche vengono attaccate, scosse, umiliate a volte fino a sembrare delle pie illusioni. Molte di quelle persone, infatti, sono giovani, ragazzi, adolescenti. Non hanno una formazione ideologica solida ed è comprensibile che vengano frastornati. Ma anche tra gli adulti ci sono molte persone semplici, con un apparato ideologico elementare, non in grado di sostenere la valanga mediatica in atto. Al cospetto di un martellamento ideologico del genere, si chiedono se le convinzioni religiose che li hanno sostenuti per anni sono ancora valide o se si è trattato di un semplice e volgare raggiro da parte di una religione cattolica ormai tramontata.
Credo che, da parte dei cattolici, sia doveroso pensare a questi fratelli sofferenti. Spiegare bene loro il valore straordinario della scelta che hanno fatto. Non ingannarli, ma dire la verità straordinaria della fede cristiana sulla sofferenza. Giovanni Paolo II è stato un esempio eccelso nel vivere la sofferenza, perché ha condotto la battaglia della sua esistenza sempre in pubblico, anche quando era ridotto a una larva umana, dimostrando che l’uomo è sempre un valore assoluto ed è utile al mondo con la sofferenza ancor più che con l’azione trionfale e vincente, perché da sofferente e più vicino e più simile a Cristo.
Padre Pio è stato un uomo crocifisso per quasi tutta la sua vita. Papa Wojtyla ha detto di lui: <>
Madre Teresa aveva un segreto per il successo della sua attività: affidava tutti i problemi più importanti e delicati a una “segretaria speciale”. E questa misteriosa segretaria era una donna olandese che viveva su una sedia a rotelle e offriva ogni giorno le sue sofferenze a Dio.
Due anni fa è sta proclamata beata Alessandrina da Costa, una donna portoghese morta a 51 anni, trenta dei quali trascorsi immobile in un letto, tra sofferenze indicibili, sopportate con il sorriso sulle labbra, senza mai un lamento e offerte sempre a Dio con amore.
E’ in corso la causa di beatificazione di Giacomino Gaglione, casertano. Era figlio primogenito di una famiglia ricca. Il padre, un celebre avvocato e la madre una nobildonna. Amava lo studio e lo sport, le feste, i balli, e le belle ragazze. Un giorno cominciò a sentire strani dolori, gli si gonfiarono le articolazioni di piedi, delle gambe, i dolori diventarono atroci, dopo pochi mesi era paralizzato. Furono interpellati i più celebri specialisti, intraprese cure di ogni genere, interventi chirurgici, ma inutilmente. Giacomino amava la vita, voleva vivere ad ogni costo e si batteva contro la malattia come un leone. Era già fidanzato e perse la ragazza. La disperazione fu tale che tentò il suicidio. Un giorno lesse un articolo su Padre Pio, e disse: “Voglio andare a San Giovanni Rotondo perché voglio guarire”. Fu portato da Padre Pio, ma di fronte a lui dimenticò il motivo di quel suo viaggio. Non chiese niente al Padre, ma tornò a casa cambiato. Di fronte alle stigmate di padre Pio aveva “intuito” il valore della sofferenza. Visse ancora 50 anni. Stava disteso su quella sedia-sdraio di ferro, perché non poteva neppure essere messo in un letto. Poteva muovere solo le mani, e le usava per consolare altri sofferenti. Scriveva in media 3.500 lettere l’anno ad ammalati che avevano bisogno del suo incoraggiamento, scriveva articoli per varie riviste, fondò un periodico, partecipava e guidava pellegrinaggi a Lourdes, a Loreto, a San Giovanni Rotondo. Morì il 28 maggio 1962. Una grande folla partecipò ai suoi funerali facendo capire quanto bene egli avesse silenziosamente compiuto.
Ma sono innumerevoli i grandi spiriti cattolici, cristiani, che hanno fatto della loro sofferenza un trampolino di lancio, e sono diventati straordinarie personalità, utili al mondo. Un esercito di martiri viventi, che, attraverso il mistero del “corpo mistico, collaborano alla salvezza dei fratelli. Sarebbe un delitto se tutte le discussioni in corso sulla sofferenza, sul diritto a non soffrire, discussioni che hanno di mira anche giusti obiettivi umani, spegnessero o solo indebolissero il valore cristiano della sofferenza che è fonte di energia potentissima. La colpa, se ciò accadesse, sarebbe solo nostra, di noi cattolici. E sarebbe una colpa grave.
Renzo Allegri