Carcere sondriese. Il canto della libertà
La luce della redenzione, del riscatto dalle umane colpe, ha illuminato le celle del carcere cittadino. E i reietti della società sono diventati protagonisti assoluti di una serata quasi surreale. Musica e parole. Le libere melodie di un quartetto jazz nell’angolo della sala della sezione detentiva, e la voce suadente dell’illuminata e lungimirante reggenza del direttore Stefania Mussio. Un sorriso che riconcilia con la vita, il suo, la voce coinvolgente dell’entusiasmo rotta dalla commozione che accoglie un’umanità ferita e dolente, finalmente rasserenata, che dà ali alla nuova speranza di ricominciare. E un’intera città che incontra il mondo penitenziario tra celle aperte, simbolo di una nuova primavera d’intenti che cresce e prepara la via a un futuro migliore, tra uomini che imparano dai propri errori a rialzarsi per riprendersi la propria dignità, fuori da sterili steccati tra loglio e frumento, come figli di una stessa amorevole madre che si prende cura di tutti, soprattutto di chi ha smarrito la via. Un dono la vita, come un pane che affratella e il frutto di quel “Divino amore”, di vino e amore, con cui il solerte cultore della terra ha cercato di riconciliare terra e cielo. Come la piccola ghirlanda di gesso messaggera di pace intessuta di lacrime e attesa, opera di un detenuto che il cielo non l’ha mai perso di vista. Un’attesa che si fa avvento nel segno vero di misericordia e di comunanza sincera, e all’insegna dell’agone sportivo come palestra della mente prima che del corpo, nel sapersi rialzare dopo la sconfitta, uscendo dal buio per guardare al cielo, uomo nuovo, rinato e artefice del proprio destino e di nuove esaltanti vittorie. Ed è allora che il miracolo della riconciliazione, prima con se stessi, avviene. E il canto della libertà diventa allora dolce cura per tutte le ferite lenite dalla umana comprensione, per ritrovarsi in seno ad una società redenta.