La performance di AlomarDanza

Nonostante la malattia. Oltre il dolore. Il gruppo AlomarDanza Sondrio, incarnato dall’”abbraccio sensibile” di Ilaria Negri,  si è  chiesto a lungo se la malattia sia il linguaggio dell’anima, e lo ha fatto testimoniando alle persone come il codice corporeo attraverso la “danza” sia uno strumento positivo per raggiungere un miglior  benessere psicofisico e ritrovare il coraggio di amare la vita, nonostante la malattia. La performance di AlomarDanza, nata da una costola della delegazione sondriese di Alomar, l’associazione dei malati reumatici, con l’infaticabile Rita Piasini a scandire i vari momenti associativi, e l’inguaribile sognatrice Silvia Valsecchi, presidente della compagine, in versione danseuse, presso la Sala delle Acque del Bim affollatissima ha tracciato un cammino che porta dritto al cuore. Poesia. Emozione pura nell’ecceità nostalgica del volo che trasforma il dolore in dono. Elegiaco il preludio in versi della dolcissima Elena che ha aperto una sorta di libro bianco su cui scrivere col linguaggio dell’anima danzando il ritmo della propria vita. Mentre la voce lamentosa del duduk piangeva sommesso nella penombra, le danzatrici, nel ritmo lento di una gestualità dell’incontro, misurata e composta, hanno disegnato tenui arabeschi di rosso e di bianco: l’affanno tortuoso della vita e la luce solenne della redenzione. La danza dei veli tessuta sulla tavolozza cromatica del rosso, dal cremisi al vermiglio, dal carminio piumato al purpureo più puro, dall’arancio sfumato di rosa e corallo all’amaranto granato, ha schermato lo sguardo, metafora del muro d’indifferenza che rende invisibili al mondo, impaludato nel duro retaggio della sofferenza, per svelarlo infine nel risveglio di nuove primavere, evocate, presagite, afferrate con dolce possanza. Libere nel vento, le donne di AlomaDanza, mentre i veli cadevano, uno ad uno ed è cominciato il canto. Vibrante, sinuoso, toccante, nel suo riconoscente “Gracias a la vida” di Violeta Parra: un inno alla vita, gioioso, palpabile e parimenti ineffabile, nonostante il graffio prepotente del dolore che morde le carni. Per farne un dono. La visione di un rituale quasi magico quelle mani apriche che consolavano nell’abbraccio, che si schiudevano come la corolla di un fiore, elargendo a tutti i presenti in un sussunto e sussulto d’emozione una rosa: una rosa increspata di bianco, una rosa di carta venata d’affetto, una rosa sublime d’amore, mani al cielo, in attesa della mistica teofania dell’Assoluto.
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