ITALIA DEL TERZO MILLENNIO. DIBATTITO

(Con una nostra nota)

I padri fondatori della nostra Repubblica oltre alla Costituzione avevano anche creato una struttura economica e sociale equilibrata tipica delle socialdemocrazie. Le strutture economiche di importanza strategica per lo sviluppo del paese, in particolare quelle di carattere monopolistico perché basate su reti (energia elettrica, acquedotti, autostrade e sistemi viari, telecomunicazioni) erano a controllo pubblico. Il capitalismo nazionale veniva aiutato nelle sue espressioni imprenditoriali, per la funzione sociale del lavoro che davano. L'I.R.I. del dopoguerra era una struttura statale di bravi manager che assorbiva le realtà industriali in crisi, provvedeva alle ristrutturazioni e alle riconversioni per poi tornare a privatizzarle ovvero a restituirle alla conduzione dei privati.

Sicuramente il metodo e gli obiettivi erano buoni ma erano anche inevitabili le storture: il capitalismo italiano, formato in realtà da poche famiglie, riceveva spesso queste "regalie" pubbliche (vedi Alfa Romeo alla famiglia Agnelli) anche quando ormai il rapporto dare/avere con queste era a saldo sensibilmente negativo perché ormai erano sempre più sganciate dagli interessi nazionali. Negli anni '80 e '90 alle poche grandi famiglie del capitalismo italiano (Agnelli, Pirelli, Crespi ecc.) si sono aggiunti altri sparuti gruppi: alcune uscite dall'imprenditoria di successo (Benetton ad esempio), altre dal management pubblico, dove hanno maturato le loro capacità, (De Benedetti ad esempio), o privato (Romiti, Tronchetti, Provera, Colaninno ecc.).

La svendita e la regalia delle imprese economiche strategiche dello Stato (autostrade, telecomunicazioni ecc.) a questa ristretta - molto ristretta - aristocrazia del capitalismo italiano, ha portato ad una sempre maggior concentrazione della ricchezza in poche mani. Nelle maggiori società ed imprese nazionali i consigli di amministrazione sono formati quasi sempre dagli stessi soggetti: cambiano solo ruoli e disposizione delle sedie.

Gli anni sessanta hanno assicurato l'istruzione a tutti e la rivoluzione culturale del '68 che ha impresso uno sviluppo sociale senza precedenti formando l'attuale "middle class". Questa è composta da figli di operai e contadini divenuti agiati commercianti e professionisti e dei loro figli. Una classe che vive l'inquietudine del futuro, pervasa da una sottile paura di perdere il benessere e la sicurezza conseguite. Per sè e per la propria famiglia, per la propria discendenza.

E quindi la ricerca di certezze, di difese.

Nulla di nuovo sotto il sole.

Una società sempre più segmentata che vuole acquisire sempre più potere e distanza rispetto al segmento inferiore. Una aristocrazia economica, una nobiltà di commercianti e professionisti che possono pagare le rette delle università private (e magari anche corsi di laurea idioti perché le assunzioni non sono meritocratiche o curriculari ma seguono ben altre logiche).

Università e scuola avevano urgenza di riforme strutturali e non di tagli indiscriminati, l'università aveva bisogno di spezzare il sistema delle baronie (dai concorsi alle ricerche commissionate e con i risultati "pilotati" dai privati), deficita di strutture per gli studenti economicamente in difficoltà (pre-salario, campus e pensionati universitari) ma invece sono stati create solo sedi staccate in ogni paesino natale del politico di turno.

Un paese privo di risorse materiali come l'Italia se non investe sull'immateriale della cultura, della conoscenza, della ricerca e della valorizzazione delle sue migliori intelligenze si condanna ad una lenta eutanasia.

Il modello è lo Stato "leggero".

I servizi, e fra questi l'istruzione, saranno a carico essenzialmente degli utenti in funzione delle loro disponibilità.

L'obiettivo non sarà quindi più quello di dare a occasioni di promozione economica e sociale a tutte le persone intelligenti, brave e capaci. Una vittoria di Pirro anche per chi è agiato perché si priva di del contributo di idee e ricerca che uomini capaci ma messi nell''impossibilità di dispiegare la loro intelligenza avrebbero potuto dare al benessere di tutti.

Forse la vecchia D.C. e tutti i Padri Fondatori della Costituzione e della nostra Repubblica hanno segnato l'Età di Pericle del secondo millennio permettendo che fiorissero intelligenze e con esse progresso tecnico e scientifico per tutti. La voglia di autoritarismo e di segmentazione sociale preannuncia la fine dell'età dell'oro. Sono tramontate le condizioni internazionali che permettevano di elaborare pensieri e politiche originali esterne a quelle dei blocchi.

Ora esiste solo il pensiero unico.

La solidarietà sociale che assicura dignità a tutti i cittadini e pari opportunità è divenuto out e "comunista".

Giampaolo Palmieri

La nostra nota

Da sottoscrivere molte valutazioni. Con qualche aggiunta:

1) Riforme. Non è un caso che l'allora comunista" Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer" abbia dichiarato la propria solidarietà al Ministro s.ra Gelmini. Probabilmente nel merito dei singoli provvedimenti non sarà del tutto d'accordo ma certamente sul problema di fondo, il metodo. SI.

Da anni e anni ogni riforma che venga promossa vede le sollevazioni, magari degli stessi che in precedenza sfilavano nei "cortei per le riforme". Prima della Gelmini di centro-destra c'era Fioroni di centro-sinistra. Ebbene non ci ricordiamo dei cortei e dei cartelli oltraggiosi contro Fioroni e le sue proposte?

La realtà è che i Ministri che hanno sul serio espresso una concreta volontà riformatrice sono finiti male quasi tutti e non solo nella PI ma anche nella Sanità per non parlare della Giustizia. Con vasto concorso di "sabotatori".

2) Le rivoluzioni spesso finiscono auto-ingoiandosi. Dal '68 è anche uscito, ed ha imperversato anni e anni, il "18 politico" e dunque la laurea facile, soprattutto nelle facoltà non scientifiche. Evitata la selezione nel suo posto naturale questa però la faceva poi la società… Negli anni cosa è venuto? Una università auto-ordinata. 20 anni fa a Sondrio in una sua conferenza Ceccato, sia pure con espressione di limite, sosteneva che l'università italiana era finita, che non era più capace di fare ricerca. C'è più d'uno che sostiene che il livello di preparazione - rispecchiato d'altronde nei confronti internazionali - è ormai quello d'un tempo del Liceo o poco più. Per fortuna non è tutto così ma il quadro che appare scorrendo le statistiche pubblicate dalla Gazzetta di Sondrio è disarmante. Non ci sono solo i baroni, contro i quali oggi sono tutti dimenticando i loro assordanti silenzi quando dilagavano le cattedre di parenti, famigliari, conviventi, amici di bocciata… Ci sono le università spuntate come funghi un po' dappertutto e non solo per volontà "dei politici". Ci sono corsi di laurea allucinanti. Eccetera eccetera. E in un quadro di clientelismo diffuso "chi tocca i fili muore". A parole tutti per il cambiamento. Nei fatti guai a cambiare persino la targa sul cancello.

3) Il lamento è divenuto regola aurea. Ovunque. Siamo fra i pochi che non accettano la qualunquistica definizione di "malasanità". La sanità italiana è forse la migliore dell'occidente combinando livello clinico a gratuità del servizio. Le tecnologie sono di avanguardia. Non dappertutto, certo. Se le cose però funzionano in gran parte d'Italia si vada a vedere perché da altre parti - e non solo al Sud - le cose non vanno. Se da un pronto soccorso qualcuno esce con una diagnosi incoraggiante e un'ora dopo muore non si tratta di malasanità ma di qualcuno che ha sbagliato - e può essere anche chi ha messo in quel posto delicato qualcuno non adeguato… - e che quindi va messo in condizione di non sbagliare più.

Ci sono gli anziani e si dice che ci vorrebbero più case di riposo e rette meno care. Anche qui. Una ventina d'anni fa chi sosteneva la necessità delle case di riposo veniva preso per reazionario da gran parte della sinistra che non ne voleva sapere. Meno male che non l'ha spuntata… E quanto alle rette vediamo la formazione dei costi, come pure per gli asili-nido. Sotto pressioni degli addetti ai lavori si è andati a definire standard da Paese del Bengodi senza tener conto dei costi che questo comporta. Il Presidente della RSA di Sondrio al tempo dell'avvio sconsolato diceva cosa se ne faceva di 90 bagni, quelli prescritti, quasi tutti inutilizzati e inutilizzabili dagli ospiti non autosufficienti o degli ampi spazi prescritti, un lusso e soldi buttati via. E così per altri parametri. E così per il personale negli asili-nido. Certo, non c'è limite al meglio ma con costi più contenuti al posto di due asili potrebbero essercene tre, e qualche bambino oggi fuori potrebbe essere dentro… Dappertutto a dire queste cose si passa per reazionari e non si capisce che chi ci rimette sono i più deboli. Torniamo alla scuola, in particolare ai bidelli. Una scuola che funzionava perfettamente con 3 o 4 bidelli quando era in carico al Comune di Sondrio, passata allo Stato vedeva i bidelli aumentati a 12 con il no ad alcune mansioni, prima svolte… Comprensibili le spinte sindacali, criticabili i cedimenti dei Ministri, non accettabile oggi la difesa ad oltranza di una presenza nella scuola italiana di un esercito di bidelli (ma anche di un piccolo esercito di Presidi oggi Dirigenti Scolastici: che problema c'è se si accorpano due scuole? E non è meglio risparmiare sul personale, che assorbe il 97% della spesa totale della scuola, e destinare quei fondi a dotazioni, innovazione ecc.? Questo tenendo conto che nella spesa per alunno l'Italia è ai primi posti in Europa. Stop.

4) Federalismo. Oggi tutti o quasi d'accordo. Ma come è andata? Federalismo si chiama Tremonti, a livello cultural-politico. A suo tempo Bossi, animale politico, fiuta l'occasione e lo fa suo… Non ne vuol sentir parlare nessuno. Peste e corna nei commenti. Sono passati un po' di anni, ma sembrano secoli visto che oggi federalisti lo sono diventati tutti! E come mai questa giravolta su un tema simile mentre per le riforme il tapino che presenta una proposta finisce maciullato? Questione di privilegi. Tutti riconoscono la gravità della crisi, il fardello del debito pubblico, il deficit di competitività, il disastro in campo energetico (via il nucleare, ma gli altri Paesi? Ci avevano detto che dopo l'Italia sarebbero arrivati tutti: un bell'imbroglio. E la carissima corrente che ci arriva in casa viene dal nucleare dei francesi o degli svizzeri che ci fanno sopra un bel guadagno!). Tutti cioè sono d'accordo che bisogna intervenire, fare, tagliare. Sì, ma a casa degli altri.

5) Ci fermiamo. Lasciamo ad altri, se ritengono, di intervenire.

GdS

Giampaolo Palmieri
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