LA RESA DEI CONTI
Commentando i disastri sociali ed economici causati dal fallimento della Enron, il grande economista premio Nobel, Jon K. Galbraith, in una intervista rilasciata al britannico Independent ebbe a dichiarare: "Non mi sarei mai aspettato un fenomeno delle dimensioni di quello che stiamo vedendo in questi mesi. Vale a dire la totale separazione fra la proprietà di una azienda (gli azionisti) e il management. É la completa monopolizzazione del controllo da parte di persone irresponsabili impegnate solo ad aumentare le proprie ricchezze personali, portata fino ad un punto così estremo da provocare il collasso della stessa azienda". Ma, continuava Galbraith, "non meno preoccupanti sono anche le dimensioni dell'inadeguatezza mostrata dalle società di revisione e di controllo". Infine, dopo le dure critiche ai disastri provocati da quello che una volta si chiamava capitalismo e che ora si chiama "sistema libero di mercato", il grande vecchio (novantatreenne) saggio liberal americano vede qualche spiraglio e suggerisce qualche motivo di conforto: "Il rispetto delle norme che regolano le Corporation e la necessità di un maggiore controllo pubblico sul settore privato sono destinate a tornare di moda, a un ventennio di distanza da quando Ronald Reagan ne aveva decretato l'inutilità". Questa intervista fu rilasciata il 1° luglio 2002.
Jon K. Galbraith è andato a miglior vita, ma le sue ammonizioni, le sue analisi critiche e i suoi suggerimenti sono rimaste tra noi con tutta la loro carica profetica. Basta osservare quanto deciso nei giorni scorsi dal Congresso americano, su orante sollecito del Presidente Bush, relativamente all'aiuto pubblico di 700 miliardi di dollari da destinare alle grandi corporation finanziarie private, per evitare il tracollo dell'economia.
É da notare che il Presidente Bush ha praticato una politica di liberalizzazioni e privatizzazioni del settore pubblico, compreso l'esercito, per certi versi esasperando la dottrina liberista suggerita da Milton Friedman. Nemmeno Il presidente Reagan si era spinto tanto avanti nell'applicare pedissequamente quella dottrina, tanto che Friedman si permise di accusarlo di codardia e di inettitudine. A dimostrare che le idee di quel professore, pure premio Nobel, erano disastrose e hanno causato tracolli economici e sociali ovunque sono state applicate c'è voluta la crisi come quella che gli Stati Uniti stanno vivendo ora e che si ripercuote nostro malgrado anche da noi.
In buona sostanza una certa scuola di pensiero, in molti casi fatta propria dalla politica con l'obiettivo esclusivo di meglio difendere e tutelare interessi di parte, sembra essere arrivata al capolinea. Il cosiddetto "sistema mercato" fondato sulla assenza di regole, ha tutelato gli interessi di pochi e più forti a scapito di molti e più deboli, creando di conseguenza spaccature e steccati nella comunità internazionale con guasti sociali dagli sbocchi imprevedibili.
Insomma ci stiamo accorgendo, al di la delle assicurazioni che ci vengono propinate dai politici nostrani, che la crisi non mette al riparo nessuna popolazione; chi più chi meno tutti, tranne pochissimi, ne siamo coinvolti e dovremo pagarne lo scotto. Ciò deve farci riflettere duramente!
Senza inneggiare al catastrofismo, imprese e lavoratori devono collaborare per costruire un nuovo sistema fondato sulla centralità della persona. Un sistema che metta il lavoro e la produzione di beni e servizi al riparo dalla speculazione delle lobby finanziarie. In modo particolare i cattolici devono respingere con fermezza un sistema che prevarica la persona umana. Se la nostra centralità è l'uomo, perché "l'uomo è il fine" noi dobbiamo combattere la "cultura del mezzo" che è prevalente, ripensando come reintrodurre la "cultura del fine". Ciò vuol dire ripensare il nostro modo di essere.
Se pensiamo all'uomo, dobbiamo valorizzare le persone, soprattutto chi è portatore di esperienze e di saggezza. Amen
Valerio Dalle Grave