LA CRISI VISTA DA SONDRIO: 1) CHI SI FERMA (NON) È PERDUTO

Anno 1960, anzi no, 1939 - Il capitale agli ordini dello Stato - Politica ed economia - Torniamo alla fermata. - Fermarsi - C'è anche chi non ha il problema del risparmio ma quello della sopravvivenza - La scelta

Anno 1960, anzi no, 1939

Con buona pace di Totò interprete nel 1960 del film "Chi si ferma è perduto" non è a lui, come molti pensano, che bisogna riferirsi per tale detto entrato nell'uso comune. Nel "Foglio di disposizioni" del dicembre 1939, - sette mesi prima della tragedia bellica -, del Partito Nazionale Fascista si dava mandato ai Segretari federali di "provvedere perché le frasi del Duce, ivi riportate, venissero riprodotte sulle pareti

interne o esterna della sedi del P. N. F. o delle organizzazioni dipendenti". E si doveva farlo in modo che fossero "perfettamente intonate all'ambiente in modo da costituire un richiamo diretto ed efficace". Dei 73 motti, suddivisi in nove gruppi, quello in esame, appunto "Chi si ferma è perduto", era destinato alle Case della Gioventù Italiana del Littorio, la GIL, quella che prevedeva, in base all'età, dai 6 anni fino ai 21 i Figli della Lupa, le Piccole Italiane, Giovani Italiane, Giovani Fasciste, i Balilla, gli Avanguardisti e infine i Giovani Fascisti.

Il capitale agli ordini dello Stato

Perché la scelta di questo motto vedremo avanti. Intanto però prudono le mani, come capita quando si vorrebbe qualcosa che non si riesce ad ottenere. Il tremolio è venuto leggendo un altro motto che fa al caso nostro, "Nell'Italia fascista il capitale è agli ordini dello Stato", altro motto del Duce destinato per "Fabbriche e sedi sindacali". Tremolio per un sogno: ch e quel motto per un momento diventasse realtà con un paio di modifiche. Per l'appunto così: "Nell'Italia democratica e repubblicana il capitale è agli ordini dello Stato", da estendere poi all'Europa e al mondo.

Non siamo impazziti, non siamo diventati marxisti di riflusso, non siamo diventati dirigisti. Il tremolio vorrebbe che quel motto si concretizzasse ovviamente solo per un tempo limitatissimo, un giorno, due, forse anche una settimana. Soltanto il tempo per fare giustizia, magari anche giustizia sommariache, absit injuria verbis, quando ci vuole ci vuole. Nessuno sulla forca o sulla sedia elettrica, nessuno all'ergastolo ma a parecchi quella pena esemplare che la Serenissima Repubblica di San Marco comminava ai potenti che si erano macchiati di qualche grave reato. Non la galera, non i Piombi. Troppo comodo. Il potente veniva spogliato di ogni suo bene e spedito in esilio. Fortuna sua se in qualche convento trovava una minestra, lui abituato ai pranzi dorati, stracci da mettersi addosso lui abituato all'abbigliamento di lusso, e un pagliericcio su cui riflettere, lui abituato al fulgore dei palazzi (e magari anche di qualche condiscendente matrona).

Sentire che negli USA un manager responsabile di un gravissimo dissesto se ne è andato con 18 milioni di dollari di liquidazione è cosa che fa gridare vendetta. Per quel manager, applicando il principio di cui dianzi, ci vorrebbe l'esilio alle Bahamas. Non a Nassau o Paradise Island - ove si trova anche una suite da 20.000 $ la notte - né a Great o Little Abaco, non Man-O-War Cay o Elbow Cay eccetera. Nulla di tutto questo. Ci sono 3000 fra scogli e isolette. 700 le isole, in gran parte disabitate. Una capanna rustica e la dimora coatta. Isola dei famosi. A vita.

Politica ed economia

Al di là della provocazione sta il fatto, serio e tale da essere approfondito ovunque, del rapporto tra politica ed economia. Guai a lasciare campo libero ai business-man. Il capitale, il fatturato, il profitto a tutti i costi. Sulla testa di chi capita capita, e quindi, di fatto sulla testa dei più deboli. L'invadenza della politica è certo, come si diceva un tempo, un male ma ugualmente un male è la messa in un canto della politica.

Con Tremonti, sì al libero mercato, no al mercatismo. Un equilibrio dinamico, in cui, aggiungiamo, ci sta anche la tecnocrazia non la burocrazia ripiegata su se stessa.

Le incertezze dell'Europa, talora la stasi, sono conseguenza di un'Europa costruita, contrariamente al disegno, che era politico, dei suoi grandi Padri, Adenauer, De Gasperi, Schumann, dalla e sulla economia, persino nell'allargamento a 27 Paesi senza che prima, appunto, la politica fissasse regole che invece oggi, dovendosi avere l'OK di 27 su 27, non si riesce a definire.

La lezione è stata ed è durissima. Resta da vedere se sarà salutare. Se si riuscirà a capire che è ora e tempo che la politica riprenda il suo rango e che l'economia faccia un passo indietro.

Poi resta da vecere che fare degli apprendisti-stregoni. Quelli delle banche, delle assicurazioni, delle società di certificazione (da chiudere, se non tutte quasi) e via dicendo ma anche quelli degli organi di informazione.

Torniamo alla fermata.

Per noi, nello sfascio mondiale del momento quando vanno in fumo capitali giganteschi, sia pure magari in gran parte fondati sul nulla, il detto cambia, con l'aggiunta del "non". Quindi "CHI SI FERMA NON È PERDUTO". Questo cioè è il momento in cui qualsiasi cosa,. o quasi, che si fa si sbaglia. Non ci sono elementi di giudizio tali da fornire un quadro non di certezze ma neppure di probabilità. Esiste un solo dato: il castello di carte è crollato trascinando con sé e con la fufa anche del buono. In che misura, come e quanto, come e quando, come e perché non è assolutamente dato di sapere.

Chi possiede titoli scorre sconsolatamente i listini e magari cogita, perso per perso, di rimediare quel che resta. Non vuole rischiare un futuro incerto. Non si ferma, procede, vende, racimola solo una parte di quel che avrebbe riscosso soltanto qualche settimana fa. E poi che fa? Compra magari oro per ancorarsi a qualcosa di certo, che non solo non dà reddito ma che non è detto domani sia oggetto esso pure delle ventate speculative che in questi ultimi anni hanno percorso il mondo in un modo disumano.

Fermarsi.

Poi ognuno faccia quel vuole. Non siamo economisti, non siamo analisti, non siamo veggenti. Ragioniamo soltanto con il buon senso partendo proprio da una nostra posizione costante, quella del "Chi si ferma è perduto" che traduce l'anelito di domani dell'uomo, per dire invece, questa volta, di fermarsi, di attendere, di rilassarsi in un training autogeno, iniezione di tranquilla consapevolezza che l'unico mondo di vincere, o di perdere meno, è di guardare al domani ma forse più probabilmente al dopodomani.

C'è anche chi non ha il problema del risparmio ma quello della sopravvivenza

C'è anche chi non ha di questi problemi. Chi non ha risparmi investiti in questo o in quel modo, risorse oggi messe in forse. C'è chi, cioè, ha solo il suo stipendio, al massimo magari la casa dove abita (in Italia 3 su 4, in Valtellina 9 su 10) e assiste sconcertato agli eventi. Non guarda le facce stralunate di Wall Street, non lo impressionano i titoloni sull'enorme quantità di risorse che le Borse bruciano in poche ore, non il frenetico attivismo dei Governi. Guarda i cartellini del pane, della pasta, del burro, del tonno, del formaggio. Gli interessano quelli e si chiede come saranno domani. Stringe la cinghia, ma con lui c'è anche chi riesce ad assorbire questi aumenti avendo ancora margine, e che si fa sospettoso del domani, si fa prudente, acquista il necessario, rinvia quello che proprio non è indispensabile. Qui il motto non vale più come prima. Cautela sì ma senza eccessi perché la somma delle prudenze aggraverebbe la situazione.

La scelta

Quale allora la scelta giusta?

Quella, detta in dialetto, del "taja e medega", detta in latino classico "in medio stat virtus".

Nella speranza che quella dote in più che alberga nella nostra penisola, la fantasia, sappia imboccare più rapidamente e con migliori risultati la strada giusta.

GdS

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