UNA NUOVA ARMA CONTRO IL BRACCONAGGIO

Indagini ambientali innovative, usate tra le prime volte in Italia e nel resto d’Europa, condotte dalla Polizia Provinciale, hanno permesso di individuare un bracconiere responsabile dell’uccisione di uno dei cervi più belli delle nostre montagne, un maschio di quasi 250 chili, in un primo tempo denunciato come ‘cattura regolaré. Ma voci insistenti, il fatto risale al settembre del 2004, lasciavano trapelare dubbi sulla versione del cacciatore, tanto da indurre la Polizia Provinciale ad avviare accurate indagini seguite personalmente dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio dottor Gianfranco Avella.

A seguito di sopralluoghi, ben due settimane dopo, è stato individuato un punto, situato in una zona protetta dove la caccia è vietata, in cui erano ancora presenti campioni biologici appartenenti a un selvatico che sono stati inviati al laboratorio dell’Università di Ferrara. Stabilito che i reperti appartenevano ad un unico cervo di notevoli dimensioni, le indagini si sono dirette in un’unica direzione. In collaborazione con la Polizia di Lecco è stato effettuato il sequestro del trofeo dell’ungulato, che l’uomo aveva già portato da un noto imbalsamatore, dal quale sono stati prelevati campioni utili per essere comparati con quelli rivenuti sul luogo dell’uccisione e con della carne congelata appartenente al cacciatore.

Successivamente è stato sentito il cacciatore che ha confermato la sua versione dei fatti, sostenendo la regolarità della cattura e portando a supporto dei testimoni. Ascoltati presso gli uffici competenti, questi ultimi hanno fatto emergere diverse contraddizioni e da successive indagini è stata evidenziata l’incongruenza con quanto affermato dall’indagato e da coloro i quali l’avevano assistito. Anche in questa fase gli agenti della Polizia Provinciale non hanno lasciato nulla al caso impegnandosi in prima persona e facendo ricorso a collaborazioni tecnico-scientifiche per la verifica del percorso e dei tempi impiegati. Nello specifico, è stato focalizzato, in base alle dichiarazioni rese, il momento del presunto abbattimento con le fasi successive. Mediante una ricostruzione temporale effettuata dal Centro Geofisico Prealpino di Varese è stato possibile, anche in questo caso, rilevare pesanti incongruenze relative allo svolgimento dei fatti. Inoltre, sono state avviate indagini presso la vicina Confederazione Elvetica per verificare la veridicità di quanto dichiarato da uno dei testimoni, un cittadino svizzero. La pronta ed efficace collaborazione con la magistratura elvetica ha consentito di appurare in tempi brevissimi che il testimone non poteva essere stato di aiuto all’indagato sul punto dell’abbattimento in quanto in quel momento si trovava sul posto di lavoro a Sankt Moritz.

L’Autorità giudiziaria ha accolto la tesi dell’accusa condannando il responsabile e i suoi complici. Una grande soddisfazione per il Corpo di Polizia Provinciale che con impegno e professionalità si è prodigato nella ricerca della verità facendo ricorso alle più sofisticate tecniche investigative e, in particolare, utilizzando la prova del DNA, sin qui così poco comune nei casi di bracconaggio. La svolta nelle indagini si è avuta infatti proprio con la conferma che il DNA dei campioni raccolti nella zona di divieto di caccia, sul punto di abbattimento, corrispondeva a quello delle tracce rinvenute nel luogo aperto alla caccia in cui l’animale era stato successivamente sventrato, ‘regolarizzandolo’, e a quello del trofeo consegnato all’imbalsamatore. Il successo ottenuto ha indotto la Polizia Provinciale ad allargare l’applicazione di questa tecnica ad altri casi analoghi che, senza il ricorso all’esame del DNA dell’animale, sarebbero di difficile se non addirittura impossibile soluzione.

CS

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