Un Tavolo Verde per l’agricoltura di montagna

Merita
attenzione questo "Rapporto", ma merita attenzione studiare "Il
caso Trentino" ampiamente analizzato in questo articolo. C'é da
imparare! (NdD)



Il 10 giugno le regioni dell’arco alpino si sono riunite a San
Michele all’Adige per la presentazione del IX° Rapporto Nomisma
sull’agricoltura italiana, specificatamente dedicato alle
attività agricole nelle aree alpine.

I rappresentanti delle Regioni e delle associazioni di
categoria, secondo il Rapporto Nomisma, devono formare un Tavolo
Verde transfrontaliero per portare maggiore pressione sulla
difesa dell’agricoltura di montagna nelle politiche comunitarie
e nazionali dei singoli stati membri.

"Abbiamo sollevato l'attenzione su questi temi, ma le aree
alpine devono valorizzare meglio le proprie specificità" dice
Paolo De Castro, presidente di Nomisma ed ex Ministro
dell’agricoltura, che chiede la formazione del Tavolo Verde con
l’obiettivo di aumentare la capacità di autogoverno e di
condividere le esperienze e i piani d’intervento delle regioni.


                                           
-------------

Un Tavolo Verde "transfrontaliero", costituito dalle Regioni
dell'arco alpino, per imporre a livello comunitario l'
attenzione sull'agricoltura di montagna, con l'obiettivo di
aumentare la capacità di autogoverno, di condividere le
esperienze e i piani di intervento, operando, come una vera e
propria "lobby" e gruppo di pressione, tanto a livello politico
che tecnico. Questa la principale proposta operativa avanzata
dai rappresentanti delle Regioni dell'arco alpino e delle
associazioni di categoria - oggi riuniti a San Michele all'Adige
per la presentazione del IX° Rapporto Nomisma sull'agricoltura
italiana - per far pesare di più, nell'ambito delle politiche
comunitarie e nazionali dei singoli Stati membri, l'agricoltura
di montagna.

Una giornata davvero intensa e fitta di interventi quella
iniziata questa mattina nell'aula magna dell'Istituto agrario e
coordinata dall' assessore all'agricoltura e alla montagna della
Provincia autonoma di Trento, Dario Pallaoro. Due i momenti
principali del convegno: la presentazione del Rapporto Nomisma,
quest'anno specificamente dedicato al ruolo delle attività
agricole nelle aree alpine, tra competitività, multifunzionalità
e prospettive future, con l'intervento finale del presidente di
Nomisma ed ex ministro dell'agricoltura Paolo De Castro, e
l'atteso intervento di Michele Pasca-Raymondo, direttore per i
Programmi di sviluppo rurale della Commissione Europea, sulla
riforma della Politica agricola comune (Pac) e sui suoi impatti
ed opportunità per le aree di montagna.

La proposta del Tavolo Verde interregionale è però solo una
delle azioni, condivise dalle Regioni alpine, che il Rapporto
Nomisma avanza sia a livello comunitario che nazionale e locale
per dare una nuova prospettiva all'agricoltura di montagna. Un
futuro ed un'opportunità di riscatto e di sviluppo che passa,
innanzitutto, dal riconoscimento ai più ; alti livelli
istituzionali, financo nella stessa "Carta costituzionale"
europea in fase di ultima elaborazione, del grande ruolo svolto
dalle montagne, quale risorsa peculiare e ricchezza
inestimabile, della loro specificità e valore autonomo.

All'Unione Europea, le Regioni dell'arco alpino che "vivono" ;
anche di agricoltura di montagna chiedono però molte altre cose:
l'inserimento, attraverso una modifica del Trattato che
istituisce la Comunità Europea, delle zone montane tra quelle
meno favorite riguardo all'obiettivo di riduzione del divario
tra i livelli di sviluppo; la definizione e delimitazione del
concetto di montagna; una delega commissariale per le montagne
all'interno della Commissione Ue; la costituzione di una
Macroregione Alpina, geograficamente coincidente con la
delimitazione fatta dalla Convenzione delle Alpi, con funzioni
analoghe ad una grande comunità montana e destinataria, a
livello europeo, di un " obiettivo montagne".

Ancora, si chiede di dare dignità, forza e valore
costituzionale, con la nuova Convenzione europea, alle
convenzioni sopranazionali; priorità, nell'ambito della riforma
della Pac, per le aziende di montagna nell' utilizzo dei fondi
destinati alla zootecnia; discutere nel semestre di presidenza
italiana dell'Ue dell'organizzazione comune di mercato (OCM)
dell'ortofrutta dando ad essa priorità nei programmi operativi;
identificare la specificità dell'agricoltura di montagna
all'interno delle singole OCM; istituire Denominazioni di
origine montana (DOM) per i prodotti tipici dell'agricoltura in
quota; attivare, nell'ambito del regolamento dello sviluppo
rurale, "contratti rurali" con il fine di remunerare attività,
quali la manutenzione e presidio del territorio proprie delle
attività agricole alpine, che non hanno mercato e che
direttamente agricole non sono ma che vanno ascritte al "valore"
ed alla funzione di questo sistema eco-produttivo.

Da ultimo la richiesta, espressa da molti dei rappresentanti dei
Dipartimenti agricoli delle Regioni alpine e delle associazioni
agricole intervenuti al convegno di San Michele all'Adige, di
lasciare libere le Regioni di attivare misure di sostegno
locali, nonché un'azione di semplificazione legislativa e
burocratica del sistema normativo comunitario.

Una "piattaforma", come si vede, articolata e complessa, perché
; complessa – lo ha fatto capire appieno il Rapporto Nomisma – è
la realtà delle aree alpine e della loro agricoltura. " Ciò che
va riaffermato – ha detto l'assessore Pallaoro – è il diritto
degli agricoltori di montagna a produrre". Quante di queste
proposte verranno accolte in fase di revisione della Politica
agricola comune? Lo si potrà forse capire già domani, quando il
commissario Franz Fischler – al quale il 27 maggio scorso il
presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, e
lo stesso assessore Pallaoro, consegnarono il documento
contenente le "Proposte per una riqualificazione delle politiche
per la montagna e l'agricoltura di montagna" – presenterà al
Consiglio europeo per l' agricoltura una prima bozza della nuova
Pac.

Non mancano però, a fronte di vecchi e nuovi vincoli che
stringono d'assedio l'agricoltura alpina e di cui si è
ampiamente parlato oggi a San Michele, alcuni segnali
incoraggianti. Se ne è fatto "ambasciatore" Michele
Pasca-Raymondo. "Non è vero – ha detto, rispondendo alle
richieste venute dalle Regioni alpine – che le proposte relative
al cosiddetto disaccopiamento (garanzia all'agricoltore di
adeguati livelli di reddito mediante la corresponsione di un
premio unico per impresa, slegando la concessione degli aiuti
dalla produzione, che può essere così riagganciata più
strettamente alle dinamiche del mercato, n.d.r.) siano la
condanna a morte dell'agricoltura di montagna, esse mirano, al
contrario, a sostenere i produttori anziché le produzioni come è
stato fino ad ora".

Pasca-Raymondo ha ricordato le nuove misure che, nell'ambito di
una riforma che ridisegna completamente il sistema degli aiuti e
delle sovvenzioni comunitarie, si muovono nel senso di un
maggiore riconoscimento delle specificità delle zone alpine e
dell'agricoltura che in esse, per altro sempre più
faticosamente, viene praticata. "La funzione di protezione
attiva dell'ambiente e del territorio svolta dagli agricoltori
di montagna – ha fra l'altro detto Pasca-Raymondo – va
remunerata anche con i soldi dello Sviluppo Rurale, così come i
servizi sociali per le genti di montagna devono poter essere
finanziati con questi fondi. Gli Stati membri, però – ha
aggiunto – devono ridefinire in modo più corretto le zone
svantaggiate, le cui indennità vengono contestate dalla Corte
dei Conti europea, così come le misure agro-ambientali non
possono più essere sparse in modo casuale ma devono essere
territorializzate"

"La montagna – ha concluso il direttore dei Programmi di
sviluppo rurale della Commissione Europea – ha bisogno di
politiche complesse, globali e integrate; in montagna si devono
poter mantenere e sviluppare i servizi di interesse generale, ma
ciò che voi Regioni alpine dovete fare è, soprattutto,
sviluppare ed incentivare la collaborazione transfrontaliera, e
collegare meglio la qualità della vita con la qualità del
territorio e delle produzioni".

Il Rapporto Nomisma si era posto un obiettivo, quello di "alzare
il tono" del dibattito attorno alla montagna e di individuare
soluzioni praticabili. Un obiettivo che per Paolo de Castro, al
quale l'assessore Pallaoro ha lasciato il compito di concludere
i lavori, è stato raggiunto. "Più che di aiuti – ha detto De
Castro - le zone di montagna devono porre attenzione
all'importanza di valorizzare meglio quelle specificità dei
singoli comparti agricoli che il mercato, come dimostra una
ricerca sui consumatori, già adesso è disposto a pagare meglio.
Spesso, e in Trentino l'esempio vale per " Trentingrana", il
consumatore non riconosce la specificità di un prodotto di
montagna".

"Di fronte alla globalizzazione dei mercati, all'apertura ad
altri Paesi ed alla concorrenza data dalle produzioni di altre
aree agricole del pianeta – ha concluso il presidente di Nomisma
– dovremo parallelamente impegnarci a salvaguardare la tipicità
delle produzioni europee, altrimenti sarà la stessa agricoltura
europea in generale, nella quale molti vedono un ostacolo allo
sviluppo del Terzo Mondo, che verrà fagocitata da quelle di
altri Paesi che hanno costi di produzione enormemente inferiori
e maggiori dotazioni naturali".

L'importante – come ha detto Silvano Rauzi, presidente della
Federazione provinciale allevatori – è che noi allevatori e
agricoltori non vogliamo rinunciare al nostro ruolo primario e
fondamentale di produttori di beni alimentari di alto profilo e
qualità". " Ogni euro dato all'agricoltura – ha aggiunto
Gabriele Calliari, presidente dell'Unione Contadini – non è
carità, ma dignitoso riconoscimento di un ruolo".
IL "CASO" TRENTINO

Chi saranno gli agricoltori di domani, nelle zone di montagna
del Trentino? Chi alleverà più bovini, pianterà alberi da
frutto, falcerà i prati? Viene da chiederselo leggendo il
capitolo che il IX Rapporto Nomisma sull'agricoltura italiana,
dedicato al ruolo delle attività agricole nelle aree alpine,
riserva al "caso Trentino" ;. Due termini, nell'analisi che
Nomisma fa dei punti di debolezza (" un quadro preoccupante")
del sistema agricolo locale, definiscono qual è il problema
dell'agricoltura trentina: "frammentazione" e "senilizzazione".
Insomma, un comparto sempre più polverizzato nella sua struttura
aziendale (34.700 aziende) e fondiaria (il 55 per cento delle
aziende iscritte all'Archivio provinciale delle imprese agricole
presenta una superficie agricola utilizzata (Sau) inferiore a 3
ettari e solamente il 4 per cento sono quelle che superano i 20
ettari) e sempre più "anziano" nell'età dei suoi conduttori. Il
numero di imprenditori/coadiuvanti agricoli a tempo pieno con
meno di 35 anni iscritti all'Albo sono, infatti, diminuiti, dal
1985, in maniera continua, fino a toccare, nel 2000, un calo
complessivo del 25 per cento, mentre quelli con più di 35 anni
si sono praticamente dimezzati in quindici anni.

I dati parlano da soli: l'agricoltura trentina è ormai fatta per
lo più da part-time, 7.500 quelli oggi iscritti all'Albo, pari
al 59 per cento del totale degli iscritti. Una nuova "classe" di
agricoltori che si è ora stabilizzata, con ciò denotando –
sentenzia Nomisma – "l'inellutabilità" dell' esodo agricolo,
oggi non più limitato alle sole aziende amarginali. Ecco, è la
difficoltà di ricambio generazionale ed il passaggio da attività
principale ad accessoria che, assieme alla polverizzazione
aziendale, frena le possibili opportunità di sviluppo dell'
agricoltura di montagna trentina.

Purtroppo - ricorda il Rapporto – la negatività connessa al calo
delle aziende è resa ancora più grave dal venir meno della "
funzione ambientale" e di presidio del territorio che è
intimamente collegata alla loro presenza. Anzi, alle altitudini
più elevate, il valore di queste aziende si esprime proprio e
soprattutto nella tutela e salvaguardia del territorio, che è un
valore che tutti dovremmo imparare a riconoscere. Chi dunque,
quando dal paesaggio trentino saranno scomparsi gli agricoltori
di montagna, pulirà i fossi di scolo, taglierà l'erba dei prati,
curerà la manutenzione di sentieri e cavedagne, alzerà muretti
per creare barriere antierosione?

Aiutare l'agricoltura di montagna a sopravvivere e,
possibilmente, a svilupparsi facendo leva sui propri punti di
forza, che pure ci sono, significa anche pensare a questo quando
si va a fare la spesa. E molti consumatori, sempre in maggior
numero, riconoscono nei prodotti alimentari di montagna una
qualità superiore, che deriva – oltre che da metodi di
coltivazione più rispettosi dell'ambiente dettati da precisi
disciplinari di produzione e da materie prime qualitativamente
eccellenti – anche dai valori di naturalità e salubrità che il
territorio riesce a trasmettere nel prodotto che origina. È
dunque dal territorio che occorre ripartire.

"Tanto più è forte e in crescita la domanda di "territorio" –
afferma Nomisma – tanto più i prodotti di montagna possono
godere di una posizione di vantaggio". Il problema, per la
nostra come per altre aree agricole alpine, è concretizzare tale
vantaggio in termini economici attraverso adeguate politiche di
comunicazione e di valorizzazione di queste caratteristiche.

Certo – e il Rapporto Nomisma non dimentica di sottolinearlo –
se talune nostre produzioni possono essere competitive a livello
internazionale, ciò lo si deve in gran parte alla diffusione del
modello cooperativo. Circa l'80 per cento della produzione
agricola trentina è attualmente gestita dalle 375 cooperative
del settore. "La cooperazione – afferma Nomisma – ha permesso di
concentrare volumi altrimenti dispersi, incrementando il potere
contrattuale nei confronti della domanda (in questo caso la
distribuzione) attuando strategie di valorizzazione sul prodotto
in grado di remunerare i numerosi produttori associati".

Quando si parla di tipicità e qualità dei prodotti di montagna,
nella nostra provincia, si fa riferimento a cinque prodotti Dop
(denominazione di origine protetta), nessuno dei quali fa
riferimento in maniera esclusiva al territorio trentino, essendo
riconducibili ad un areale di produzione che si estende su
diversi territori provinciali: valga per tutti il "Trentingrana",
prodotto esclusivamente con latte locale e però commercializzato
con il marchio Grana Padano, esempio di come si può annullare il
valore aggiunto di un "prodotto di montagna".

Il Rapporto Nomisma informa che il paniere trentino a marchio di
tutela ha riguardato la produzione, nel 2001, di circa 6.220
tonnellate di formaggi, 338 tonnellate di Mortadella Bologna Igp
e poco più di 6 tonnellate di Olio Garda Dop, per un valore
stimato complessivo al consumo stimato in circa 71 milioni di
Euro, l'1 per cento del valore totale attribuibile all' intero
paniere nazionale dei prodotti Dop e Igp.


L'accresciuta "domanda di territorio" non ha per altro indotto
in Trentino ad una crescita apprezzabile del biologico. Sebbene
la superficie coltivata sia cresciuta in provincia di quasi
sette volte negli ultimi cinque anni, non rappresenta che il 3,4
per cento della superficie agricola totale trentina, contro una
media nazionale che è pari al 7 per cento (con una punta del 23
per cento in Sardegna). Occorre poi considerare che dei quasi
4.370 ettari coltivati a biologico nel 2001, circa il 90 per
cento riguarda prati e pascoli, un altro 6 per cento
coltivazioni frutticole ed un altro 5 per cento circa vite,
seminativi e produzioni orticole.

Per una terra che detiene, a livello nazionale, il primato per
quanto riguarda l'incidenza delle superfici a bosco (309.000
ettari) sul totale della superficie agricola (il 65 per cento),
anche la silvicoltura rappresenta una "voce" di cui tenere
conto, e che vale l'8 per cento sul valore complessivo della
produzione agricola trentina. Dal 1980 al 1999 il valore a
prezzi costanti dei prodotti della silvicoltura è diminuito, in
particolare per quanto riguarda il legname, rimasto ai prezzi
analoghi a quelli di vent'anni fa.

Il Rapporto Nomisma sul "caso trentino" da conto degli strumenti
legislativi, e delle risorse, messi in campo dalla Provincia
autonoma di Trento per sfruttare i punti di forza o,
all'opposto, per eliminare le criticità presenti negli assetti
strutturali e produttivi del sistema agroalimentare e rurale del
Trentino. Un dato per tutti: la dotazione finanziaria globale
espressa in termini di finanziamenti pubblici recati ad esempio
dal Piano di sviluppo rurale nel periodo 2000-2006 è di 210
milioni di Euro. La partecipazione comunitaria attuata
attraverso il Fondo Feoga – sezione Garanzia è di 90 milioni di
Euro, quella statale di 95,9 milioni di Euro e quella
provinciale di 24 milioni di Euro. A questi importi si devono
aggiungere "aiuti di stato aggiuntivi", autorizzati dalla
Commissione europea, per altri 221 milioni di Euro, a totale
carico della Provincia autonoma di Trento. Complessivamente, gli
stanziamenti pubblici previsti per l'agricoltura trentina nei
sette anni considerati ammontano a 431 milioni di Euro.

Fra le leggi provinciali, vanno poi ricordate la legge
provinciale 17/98 recante "Interventi per lo sviluppo delle aree
montane" che ha istituito il Fondo provinciale per lo sviluppo
delle zone montane e la più recente "Disciplina
dell'agriturismo, delle strade del vino e delle strade dei
sapori" (L.p. 19 dicembre 2001 n. 10).

Quale conclusione? Se consideriamo che le aziende trentine sono
calate in numero, negli ultimi dieci anni, di appena il 4 per
cento (rispetto a variazioni negative a due cifre a livello
nazionale), si dovrebbe concludere, come fa il Rapporto Nomisma,
che il sistema agricolo e rurale trentino ha sostanzialmente
"tenuto" nella tempesta generale. E il merito, per gli analisti
di Nomisma, va ascritto anche al sistema cooperativo locale. Che
"ha permesso di concentrare l'offerta in modo da contrastare
efficacemente l'aumentato potere contrattuale della
distribuzione, nonché di implementare adeguate strategie di
marketing per la valorizzazione anche internazionale dei
prodotti locali".

LA SCHEDA: I "NUMERI" DELL'AGRICOLTURA TRENTINA

Il settore agricolo e forestale trentino contribuisce alla
produzione del valore aggiunto provinciale per circa il 3,4 per
cento (rispetto al 2,9 per cento a livello nazionale) e
all'attivazione di occupati per il 5 per cento, producendo
effetti di attivazione economica anche su altri settori
direttamente collegati, ad esempio, con la trasformazione dei
prodotti di base. Nel 2001 il valore aggiunto dell'agricoltura
trentina ha superato i 372 milioni di Euro, il 17 per cento in
più rispetto a cinque anni prima. Sono alcuni dei dati che fanno
capire il "peso" dell'agricoltura nel sistema socioeconomico
trentino contenuti nel IX Rapporto Nomisma sull'agricoltura
italiana presentato oggi a San Michele all'Adige da paolo De
Castro, presidente di Nomisma - accreditato osservatorio sulle
tendenze dell'economia nazionale fondato da Romano Prodi – ed ex
ministro dell'agricoltura.

L'analisi dei dati strutturali relativi al settore mette in
luce, nel rapporto, una realtà estremamente polverizzata, con
34.700 aziende (in calo del 4 per cento rispetto al censimento
del 1990) che presentano, in media, una superficie agricola
utilizzata (Sau) pari a 4,7 ettari, in crescita del 5 per cento
rispetto all'ampiezza poderale media registrata dieci anni
prima. Le variazioni nell'utilizzo dei terreni hanno riguardato
in maniera diversa i singoli comparti: è calata la Sau dedicata
ai seminativi (- 26 per cento) e a prato (- 22 per cento),
mentre sono aumentate le superfici viticole (+ 4 per cento) e
quelle a pascolo (+ 8 per cento). Anche i boschi sono cresciuti,
sia come estensione (+ 5 per cento) sia come numero di aziende
(+ 1 per cento, unico valore in crescita rispetto alla tendenza
di calo generalizzato delle imprese agricole in tutti i
comparti, salvo il caso degli orti familiari).

Sensibili diminuzioni si sono inoltre verificate nel settore
zootecnico, che anche in Trentino, analogamente al resto
d'Italia, ha subito un drastico ridimensionamento sia nelle
aziende che nei capi allevati: dal 1990 al 2000, infatti, gli
allevamenti di bovini sono diminuiti del 49 per cento a fronte
di cali nei capi di circa il 16 per cento. Fanno eccezione
ovini, caprini ed equini, che vanno progressivamente a
sostituire bovini e suini, il cui numero di capi è aumentato tra
il 24 per cento e il 43 per cento.

Analizzando il ruolo delle diverse colture praticate in
provincia per la produzione di valore economico, emerge il
"peso" economico della frutta (in particolare mele): circa il 32
per cento dell'intera produzione agricola deriva infatti da tale
coltivazione; gli altri tre " pilastri" del settore sono
rappresentati dalle produzioni vitivinicole (15 per cento del
valore complessivo della produzione agricola provinciale), dalla
carne (13 per cento) e dal latte (10 per cento). Un altro 18 per
cento fa riferimento alle colture erbacee (tra le quali patate e
ortaggi, con una quota dell'11 per cento), mentre i prodotti
della selvicoltura incidono per l'8 per cento. Complessivamente,
la produzione agricola e forestale valutata ai prezzi di base
della provincia di Trento vale quasi 563 milioni di Euro, un
valore che corrisponde al 42 per cento dell'intera produzione
agricola regionale ed a circa l'1 per cento di quella nazionale.
Rispetto al 1990, tale produzione ha registrato una crescita
pari a quasi il 39 per cento.

Non tutti i comparti, naturalmente, sono cresciuti in eguale
misura. Prendiamo il caso della frutta. Il valore della
produzione frutticola è cresciuto, dal 1990 al 1999, di appena
il 6 per cento, facendo segnare al contempo un balzo del 79 per
cento della prima trasformazione, che deriva per metà dalla
lavorazione e trasformazione di mele e pere. Il che significa
che nei momenti di crisi (come quello del 1992) la filiera è
riuscita a salvaguardare i risultati economici del comparto,
grazie – sottolinea il Rapporto Nomisma – "ad una valida
politica commerciale dei Consorzi frutta".

La "performance" del vino, del resto, lo dimostra: dal 1993 la
produzione lorda vendibile del comparto è cresciuta
ininterrottamente, arrivando a registrare nel 1999 un valore
praticamente doppio rispetto a quanto registrato dieci anni
prima.
Corrado Zanetti


GdS 28 VI 03 - www.gazzettadisondrio.it

________________________________



I commenti sono liberamente riproducibili, con citazione però
della fonte e del relativo indirizzo Internet: www.gazzettadisondrio.it

Corrado Zanetti
Dalla provincia