Lettera aperta sulla sanità provinciale

Destinato a chi vuole -Spunti di riflessione - Giunta Regionale e Consiglieri del territorio - Provincia, Comunità Montane, Comuni - Parti sociali - I manager

DESTINATO
A CHI VUOLE

Ho molto pensato a questa lettera che non ha un destinatario
preciso, ma che si rivolge un po’ a tutti quelli che con la
sanità hanno a che fare, dalle Istituzioni ai Direttori
Generali.

Scrivo lontano dalle tensioni locali e dalle leggende
giornalistiche di questo agosto, incerto nel clima e nelle
prospettive.

Sento l’Italia mentalmente in vacanza, anche se quest’anno
spiagge e montagne sono più deserte e molta gente è rimasta in
città, aiutata da temperature non sahariane come quelle dello
scorso anno.

Qualche giorno fa a Sondrio si è tenuto un incontro molto atteso
tra l’Assessore alla Sanità Lombarda Carlo Borsani, le
Istituzioni locali, i Sindacati e gli Operatori della Sanità.

Spunti di riflessione

Parto da quel confronto per alcuni spunti di riflessione.

A chi lamentava l’incertezza sull’assetto futuro del nostro
sistema ospedaliero, Borsani ha risposto di leggere la delibera
della Giunta Regionale che, approvando il Piano Organizzativo
Aziendale, sanciva: il mantenimento dei 4 ospedali, la messa in
rete degli stessi, la distrettualizzazione organizzativa.

A chi rivendicava il diritto di partecipare alle decisioni
organizzative, l’Assessore ha ricordato che esiste un solo
sistema per farlo: costituire una fondazione di soggetti
pubblici ed eventualmente privati che, concorrendo alla spesa
sanitaria, hanno titolo a decidere le finalizzazioni.

A chi sosteneva che la Regione non aveva attuato la previsione
del Piano Socio Sanitario, con la creazione di un modello di
sanità di montagna che, pur inevitabilmente più costoso, fosse
in grado di fornire risposte adeguate, Borsani ha ricordato che
la nostra sanità costa ai lombardi 50 milioni di euro all’anno
in più del budget assegnato, pur maggiorato delle quote per i
territori montani.

Si tratta di considerazioni assolutamente pertinenti, sulle
quali è difficile non convenire.

Vediamo un po’ di trarre alcune conseguenze e di assumere
atteggiamenti che non lascino da parte né il buon senso (virtù
da riscoprire!), né il realismo (da apporre alla demagogia
imperante).

Giunta Regionale e Consiglieri del territorio

Comincio da me, dalla Giunta, dal mio collega Tam. Ho
responsabilità precise in questa storia della sanità di
montagna, che rivendicai per la prima volta scrivendo la legge
10/1998, più conosciuta come Legge della Montagna.

Poi proposi l’emendamento, accolto nel Piano Socio Sanitario,
sempre per il riconoscimento della particolarità di questo
territorio. La Giunta doveva declinare un modello adatto.

Non l’ha fatto, anche perché forse si aspettava qualche
suggerimento dai consiglieri del territorio.

Tam ed io, peraltro, abbiamo visioni talmente distanti, che
risulta francamente impossibile immaginare percorsi comuni.
L’occasione la lasciamo dunque in mano ai Direttori Generali
Spaggiari e Triaca: tecnicamente spetta a loro.

Certo noi faremo la nostra parte, io per costruire, Tam per
distruggere. E’ un gioco delle parti che occorre accettare.

Provincia, Comunità Montane, Comuni

Al di là delle rivendicazioni “gestionali” di cui ho già detto,
credo si imponga qualche considerazione sui ruoli. Non sarei
così preoccupato di stabilire formali diritti per la Provincia
di avere un Assessore alla Sanità. Credo sarebbe utile per tutti
che questo percorso fosse sancito dai fatti, con il
riconoscimento di un ruolo di coordinamento delle istanze
comunali e comunitarie, in affiancamento alla Conferenza dei
Sindaci. Ad andare oltre si rischia unicamente di creare
confusione e questo non giova.

Suggerisco di sviluppare questo potenziale supporto alle
decisioni dei manager sanitari, mutuando da altre provincie
lombarde la costituzione di un “tavolo tematico sulla sanità”,
nel quadro del rinnovato rapporto tra Regione e Provincia, da
sancire con l’avvio (finalmente) del Tavolo Territoriale di
Confronto.

Quella sarà la sede vera per verificare proposte, soluzioni,
elementi gestionali della sanità in provincia.

Parti sociali

i piacerebbe pensare ad un mondo imprenditoriale che si fa
carico della gestione delle tematiche socio-sanitarie, così come
avviene in alcune parti del mondo e anche della Lombardia,
all’interno delle Fondazioni. A parte quelle private, alle quali
oggi i lombardi possono rivolgersi per le cure senza sborsare
più un euro, mi sembra di grande interesse il modello proposto
di istituzioni miste pubblico-privato per la gestione della
sanità. Sappiamo di avere fieri oppositori su questi modelli
nella sinistra dello schieramento politico dove, si sa, si
mettono davanti le ideologie (la sanità non deve essere
privatizzata) e si pratica, dove si comanda, esattamente quanto
altrove si nega.

Speriamo che si riesca a praticare anche in politica la regola
del buon senso.

Un cittadino emiliano e uno lombardo pari sono e davvero non si
capisce perché le cose che sono giuste in Emilia Romagna debbano
essere considerate orribili in Lombardia.

E veniamo al sindacato. Il discorso qui è davvero complesso,
anche perché i livelli di confronto tra segreterie generali e
segreterie di categoria viaggia su logiche molto diverse.
Sarebbe quanto mai opportuno trovare un equilibrio praticabile
tra gli interessi collettivi e quelli dei dipendenti della
sanità, i cui rappresentanti sono, troppo spesso, arroccati su
posizioni anacronistiche, difese in modo assolutamente
incomprensibile. Un sussulto di responsabilità si impone, anche
al fine di evitare soluzioni drastiche, laddove la
ragionevolezza fa difetto. Speriamo bene.

I manager

Tocca a loro il compito vero di proporre un assetto credibile,
praticabile e compatibile nel nostro sistema socio-sanitario.
Non è solo una questione di ospedali! Una sanità di montagna, in
grado di tenere conto di 200 km di valle, degli insediamenti in
quota nelle valli laterali, della neve, delle strade trafficate
e tortuose, della dispersione della popolazione, e chi più ne ha
più ne metta, esige un sistema multipolare, distrettuale e
integrato. In forma più semplice: di più presidi, di un sistema
di emergenza-urgenza efficiente, di razionalità organizzativa
che eviti doppioni inutili, di forte integrazione con i servizi
territoriali. A questi principi deve obbedire il riordino del
sistema socio-sanitario, con forme che risultino in grado di
fornire risposte adeguate a un territorio che non è un quartiere
di Milano e neanche un distretto della Brianza.

Questo già dice che la nuova sanità non è solo un problema di
Spaggiari, ma anche di Triaca. Dice che è illusorio pensare di
assolvere i propri compiti aziendali senza curarsi del sistema
nel suo insieme. Dice che i manager saranno promossi o bocciati
insieme.

C’è un Piano Strategico Triennale da maturare per tradurre
operativamente il Piano Organizzativo.

E’ ora di fare proposte concrete su cui ci si possa anche
confrontare. Serve comunque uscire dal limbo delle non scelte e
dal pantano delle decisioni estemporanee. Lo chiedono a gran
voce sindacati, medici e personale in genere, istituzioni, ma
soprattutto la gente, disorientata da notizie vere e fasulle che
si intrecciano, in un gioco la cui utilità appartiene più al
disfattismo che alla corretta informazione.

Non spetta a me proporre ricette, ma ritengo utile dichiarare
preventivamente cosa mi aspetto, anche perché non mi riuscirebbe
di difendere politicamente percorsi privi di alcuni elementi
irrinunciabili.

Un piano strategico, lo dice questo aggettivo, deve anzitutto
premettere la strategia che lo ispira. Obiettivi che si vogliono
raggiungere, modalità per arrivarci, tempistica di attuazione e
costi devono essere messi avanti in bella mostra, assoluta
trasparenza e comprensibilità. Dai massimi sistemi del POA si
passa alla traduzione rigorosa di come raggiungere gli
obiettivi, partendo dal corretto dimensionamento dei posti letto
nei vari ospedali, alle funzioni che agli stessi vengono
riservati, alla declinazione compiuta dell’organizzazione
distrettuale e giù fino alla organizzazione dei reparti, ai
lavori necessari, alle priorità e via discorrendo.

Da qui si capirà la qualità della proposta, che dovrà risultare
convincente sul piano della risposta ai cittadini, su quello
dell’utilizzo del personale e delle strutture, sull’efficacia
della integrazione tra sanità e servizi territoriali.

Sulla proposta dovrà poi svilupparsi un confronto vero con i
diversi interlocutori (che non sono solo i sindacati di
categoria!). Dal confronto si arriva al consenso, almeno è
sperabile.

Perché il confronto sarà anche sulle compatibilità economiche e
sarà obbligatorio per tutti fare i conti con le risorse
disponibili.

In giro per l’Italia ci sono formule diverse: c’è chi ha chiuso
e venduto i piccoli ospedali e chi, come in questi giorni la
Liguria, ha adottato la formula grigionese dei Country Hospital
(ospedali di comunità), chiamando i medici di base a fare i
primari di alcuni settori sanitari all’interno degli ospedali.

Vedremo le proposte. Quello che è certo è che mi aspetto un
piano concreto, con risposte non banali sui temi della
emergenza-urgenza, della specializzazione dei “piccoli
ospedali”, della qualificazioni delle grandi strutture di
Sondrio e Sondalo, della cura delle patologie più importanti,
della integrazione con i servizi territoriali.

Sono certo che non sarò deluso.
Gian Maria Bordoni


GdS 30 VIII 04 - www.gazzettadisondrio.it

Gian Maria Bordoni
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