Frane. Tresenda 1983 e Tresenda 2002... L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI Partecipazione solidale - Dopo Tresenda 1983.

Partecipazione solidale - Dopo Tresenda 1983.




PARTECIPAZIONE
SOLIDALE


Ci risiamo.

La Valtellina ritorna in cronaca dopo la recente alluvione. La
nostra terra ha riportato numerose ferite. La popolazione tutta,
con alla testa i Sindaci, si à data da fare per arginare le
acque. Alla nostra gente va il mio pensiero. Cosa posso scrivere
per dimostrare la mia partecipazione al loro dolore?

Mi sono ricordato di un pezzo che avevo scritto per il
settimanale dell’amico Frizziero dopo la frana di Tresenda nella
anni ’80. Desidero riproporlo ai lettori ed in particolare alla
popolazione di Albaredo duramente colpita. Non ho altro da
offrire.



DOPO TRESENDA 1983


«Il piccolo schermo, nelle sere d’inverno, è l’amico fedele. Lo
schermo, un capace divano, una piccola lampada, il telecomando,
il nulla. Ad una cena leggera, ad un programma interessante
seguono ore di veglia, alla mancanza di uno di questi
ingredienti il nulla prevale e le solo pareti della casa
assorbono luci e suoni. Una cena leggera quindi per la serata
con Olmi, per la riedizione del film che ci ha suggerito il
titolo del nostro scritto: l’albero degli zoccoli. Serata
d’inverno dicevamo all’inizio, inverno di vita, quella
realistica riportata su celluloide della sensibilità,
dell’umanità del regista, film da fazzoletto in mano anche per
chi dicono appartenere al sesso forte.

Quella vita cittadina e da filanda,… quel combattere per la
sopravvivenza,… quel continuo procreare come unico piacere
nell’arco di un anno se si esclude il giorno di festa del
paese,… quel far maturare in anticipo i pomodori da parte di un
nonno, al limitare degli anni, per dare gioia, con regalo, a
piccoli nipoti…. quell’albero sacro al limitar della strada,
mozzato per la salvaguardia di piccoli piedi di figlio, quei … e
potremmo continuare con questa stupenda Odissea lombarda se non
temessimo, nello scrivere, di contemporaneamente inzuppare carta
e fazzoletto.

Ricordiamo, alcuni anni or sono, all’uscita dalla sala
cinematografica, alla prima visione dello stesso film, il
commento di alcuni giovani. «Non è possibile, questo modo di
vivere chissà a quanti secoli risale». Non risale a molti
secoli, o giovani della seconda metà del XX, ma solo a poche
decine di anni. Avevamo l’età di un giovane che non è più, che
il terriccio dei vigneti di Tresenda ha soffocato, terriccio
portato a valle dalla indimenticabile alluvione recente. Era il
figlio dell’amico Guido questo giovane. Guido, come noi,
ricorderà gli anni ’40 - ’50 dell’’ultimo conflitto mondiale.
Eravamo figli della lupa e giovani balilla, sovente allineati e
coperti sul piazzale tra scuola e ferrovia, a far ginnastica con
l’insegnante. E’ ancora così quel piazzale ed a volte, passando,
con deamicisiane memoria sostiamo e sostando ritorniamo giovani,
rivediamo quella camicetta nera, con bianco incrocio sul davanti
da far invidia agli stilisti di oggi. Papà era in ferrovia,
deviatore, la mamma, per necessità, tentava di arrotondare le
entrate girando la manovella al casello, ad ogni passaggio di
treno.

Papà e il capostazione erano l’organico della fermata, con tanta
voglia dell’ordine, del bello anche in tempo di guerra come
quelli. Ricordiamo le aiuole dalla stazione e nostre sempre
fiorite, tempestate di portulaca, il fiore dei poveri. Due
locali come abitazione, cucina e camera, nella cucina il pozzo
per l’approvvigionamento dell’acqua. Dietro il casello una
tettoia con sotto le gabbie di prolifici conigli. Sulla tavola
conigli “mausc” che i libri di cucina valtellinese riportano
come pasticcio di patate e fagioli. Poco lontano dal casello,
lungo la statale, le case degli amici con stalla a piano terra.
Stalle da “albero degli zoccoli” dove i contadini e noi ci
trovavamo, nelle fredde sere d’inverno, per scaldarci,
chiacchierare, donne con aggeggi per filare, donne a far maglia
per indumenti a noi allergici, ma da sopportare per mancanza di
alternative. I personaggi di Olmi sono quindi con noi.

La Valtellina ricorda. L’uomo che ha vissuto quegli anni si è
formato con un certo stampo, difficilmente modificabile. Ma
questo stampo non è da sottovalutare, da schernire, è forse da
rievocare per farlo conoscere a chi stampo non ne ha più o non
ne ha mai avuto, di nessun genere, per colpa forse un tantino
anche nostra, di noi genitori».
Giancarlo Bettini



Gds - 8 XII 2002 -
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Giancarlo Bettini
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