FINALMENTE AL VIA IL PIANO TERRITORIALE-PAESISTICO DELLA PROVINCIA DI SONDRIO, STRUMENTO IMPORTANTE PER VALTELLINESI E VALCHIAVENNASCHI

Sondrio diverso da Aosta, Bolzano, Trento - Piano Oggetto misterioso - Piano da anno 2010 - In treno a Livigno - La mobilità - I trafori - La viabilità di soccorso - La pianificazione non é la programmaz

Finalmente, con l'assegnazione dell'incarico della progettazione vera e propria da parte della Provincia, parte il Piano Territoriale della provincia di Sondrio. 

La legge regionale 23, di buona memoria - legge regionale di attuazione della Legge Valtellina, nazionale -, aveva previsto, andando oltre ogni più rosea nostra previsione, che fosse la Provincia a predisporre questo Piano con valenza anche di Piano Paesistico. Una opportunità unica che purtroppo non è stata colta subito: ci sono voluti anni perché si arrivasse alla definizione del quadro di indirizzi, e ultimamente ci sono voluti un paio d'anni perché venisse assegnato l'incarico.

Ci pare doveroso dire che non è il momento delle polemiche, ma di pensare ad arrivare in porto nel migliore dei modi dato che il Piano alla fine dovrà essere definitivamente varato con legge regionale. Questo significa che, una volta varato, sarà da scontare un'altissima improbabilità di possibili modifiche, anche in presenza di eventuali aspetti negativi, in quanto in tal caso sarebbe necessaria un'altra legge regionale che, in Lombardia, non è subito fatta.

SONDRIO DIVERSO DA AOSTA, BOLZANO, TRENTO

Noi siamo infatti in situazione ben diversa da zone che possono avere problematiche simili in termini di Piano Territoriale-Paesistico: Aosta, Bolzano, Trento. 

Là infatti il soggetto gestore coincide con il legislatore. 

Là è facile modificare una legge in conseguenza di problemi di gestione, che significano guai per i cittadini. 

Qui il soggetto gestore sarà la Provincia. 

Il Legislatore, che è a Milano, deve occuparsi di una regione che demograficamente è oltre cinquanta volte la nostra provincia e territorialmente quasi otto volte. Non solo, ma le tematiche sono ben diverse, a cominciare dalla struttura socio-economica, tali da determinare quella "cultura metropolitana", di cui parlava spesso il compianto sen. Della Briotta, talora, ed in alcuni settori spesso, incapace di cogliere la realtà specifica di una zona, autorevolmente definita dal prof. Alberto Quadrio Curzio "vera e propria Regione Alpina".

Si tratta di un dato essenziale, in quanto sta nella responsabilità degli amministratori, più che in quella dei progettisti, di scegliere la via di un Piano che "si autoadegui", con metodologia e strumenti appropriati, per evitare di ingessare la provincia entro le linee e secondo le norme di un Piano divenuto legge, con il rischio che se l'abito si rivelasse stretto a pagare sarebbero valtellinesi e valchiavennaschi. Non sarebbe infatti né semplice, né facile, né soprattutto breve, convincere il sarto ad allargarlo.

PIANO, OGGETTO MISTERIOSO

Dicevamo prima che non è il momento delle polemiche, sia per la ragione appena addotta, che esige da parte di tutti, diconsi tutti, un impegno comune per scongiurare il rischio indicato, sia per un altro motivo che pure deve essere considerato: la sensibilità al problema.

In tutta la provincia si contano sulle dita di due mani - largheggiando si potrebbe forse arrivare a tre mani - le persone che sono in grado di cogliere, nella sua accezione più ampia, quella indispensabile per l'approccio corretto al tema, essenza, significato e prospettive del Piano Territoriale-Paesistico. 

Non è una boutade, ma la realtà, considerando tutte le fasi che è essenziale considerare, dall'impostazione iniziale sino al prevedere, in dettaglio, come dovrà essere la gestione operativa, tenuto conto, per esemplificare, che una volta entrata in vigore la legge regionale di approvazione, la competenza in fatto di Piani Regolatori passerà dal Pirellone al Palazzo di Muzio in Sondrio, e che verrà meno il vincolo previsto dall'articolo 1-ter della cosiddetta Legge Galasso, quello che in provincia, oltre certe quote diverse da Comune a Comune, impedisce qualsiasi intervento, salvo gli ordinarissimi o salvo una procedura farraginosa di "stralcio".

Non è una boutade, dicevamo. Specchio ne è del resto l'assoluta mancanza in provincia di un qualsiasi dibattito in argomento, in ogni sede e per tutti questi anni. Unica eccezione la meritoria iniziativa, qualche anno fa, della Società Economica Valtellinese, che ha organizzato un Convegno, che però non è stato ripreso né nelle o dalle Istituzioni, né dalle forze politiche e sociali. E pensare che il Piano avrebbe potuto essere, e potrebbe ancora essere, l'univo vero strumento di autonomia!

Anche per questo sbagliato e inutile dare la stura a polemiche per i ritardi pluriennali. 

A cosa servirebbe peraltro andare a vedere cosa è costato ai convalligiani, e in certi casi alla collettività, questo ritardo, a cominciare magari dal richiamato 1-ter della Galasso, a certi condizionamenti subiti dai Comuni per certe posizioni degli uffici, urbanistici o ambientali, regionali, al non ancora definito progetto della Statale 38, strada asburgica ormai al limite del collasso, eccetera eccetera?

Un'occasione perduta. Un tempo che non può essere recuperato. Questo è vero. 

Quello che però conta, oggi, è partire col piede giusto, evitando i rischi che possono esserci dietro l'angolo. Per evitarli occorre però averli ben presenti.

PIANO DA ANNO 2010

A ciascuno la sua parte. I progettisti incaricati possono naturalmente, con la loro esperienza, fornire un supporto importantissimo, ma sarebbe un errore caricare sulle loro spalle anche scelte che invece appartengono alla sfera politico-amministrativa. Il Piano Territoriale-Paesistico non è affatto, come pure qualcuno ha dimostrato di pensare, una sorta di Piano Regolatore più grande, bensì il quadro territoriale delle previsioni di sviluppo della provincia. 

Un Piano pertanto databile non 2001 o 2002, ma almeno 2010.

Un esempio. Se si sposa la tesi di alcuni che prevedono per tale data che anche la Svizzera entri, o sia di fatto obbligata ad entrare, nell'Europa, si deve pur considerare che a Montespluga, Castasegna, Campocologno e sul Santa Maria non ci sarà più il confine tra Europa e Confederazione Elvetica. Conseguenze a raffica. Accenniamo a quelle sul turismo, dato che, in tale ipotesi, il comprensorio Valtellina (con la Valchiavenna ovviamente), Engadina, Alto Lario sarà la regione turistica potenzialmente migliore d'Europa, mare escluso. Ma se fosse valida questa prospettiva alcune opzioni devono essere scelte oggi, perché un decennio, in questo settore, è un tempo breve.

IL TRENO A LIVIGNO
Un esempio concreto.

In questo scenario sarebbe essenziale ipotizzare nel Piano la
possibilità, tutta naturalmente da verificare, della bretella
ferroviaria tra Samaden e Livigno, collegando la nostra
località con la rete svizzera della Retica. Lo scartamento
ridotto, le pendenze superabili, la limitata sezione delle
gallerie, la relativa brevità del tunnel transalpino, sono
elementi di fortissima limitazione dei costi. In compenso si
avrebbero accessi ferroviari diretti dal centro Europa,
aeroporti compresi, e da Milano, con vantaggio per il traffico
turistico e per le merci (nonché per le gite su circuito), in
tempi, per traffici turistici, compatibili.

LA MOBILITà
Altro esempio concreto: la mobilità.

Scontato l'inserimento nel piano di nuova Statale 38, di nuova
Statale 36, il problema che si presenta, a diversi gradi di
maturazione, é quello complessivo della mobilità. Quindi,
oltre le due nuove Statali c'é il problema della
complementarietà con la rete provinciale, in alcuni aspetti
caratterizzata tuttora da frammentazione o comunque da tratti,
talora anche modesti, suscettibili di rettifica. E ci sono altri
problemi, due dei quali appresso citiamo.

S'intende che in un Piano Territoriale non deve esserci tutto e
nello stesso modo. Deve esserci tutto quello che é quantomeno
ipotizzabile in un non breve numero di anni, ma con diversi
livelli di definizione in funzione del grado di maturazione
effettiva dei diversi aspetti.

I TRAFORI
C'é la considerazione, sia pure di massima, dei due
collegamenti transalpini, ovviamente turistici e non per le
merci.  Per lo Stelvio l'ultimo progetto, che allora aveva
visto la positiva adesione del potentissimo leader tedesco
Strauss, prevedeva un tunnel, all'altezza di Madonna dei Monti,
di uno sviluppo che é inferiore all'attuale ultima galleria
della nuova Statale 38 che sbuca nella piana di Bormio.

LA VIABILITA' DI SOCCORSO

C'é anche il problema della "viabilità di soccorso",
di cui il caso più vistoso é rappresentato dalla Valmalenco,
caratterizzato, proprio in corrispondenza della frana di Spriana
e per alcuni Km, dalla unicità, per cui nell'ipotesi di
interruzione della strada non vi sarebbero alternative e la
Valmalenco sarebbe condannata all'isolamento, salvo per pedoni o
elitrasporto (molti anni fa l'avv. Venosta e il prof. Foianini
avevano proposto un collegamento orizzontale grossomodo dalla
contrada Ronchi di Sondrio fino in comune di Torre.

Non é il solo caso, ma sicuramente é il più vistoso e semmai
meraviglia che in Valmalenco questo problema non sia mai stato
approfondito.

LA PIANIFICAZIONE

NON E' LA PROGRAMMAZIONE SOCIO-ECONOMICA


Contrariamente alla programmazione socio-economica che non ha per sua natura un quadro sanzionatorio collegato o collegabile, la pianificazione territoriale-paesistica deve fare i conti con Palazzo di Giustizia, sia pure per via indiretta in quanto, per fare un esempio, i vincoli urbanistico-edilizi connessi, e dunque le sanzioni conseguenti, debbono essere trasferiti in altri strumenti, in primis nei Piani Regolatori dei Comuni.

Le norme che si scrivono debbono pertanto non solo essere adeguate alle esigenze della comunità provinciale, ma essere le più chiare possibile. E ne bastano 20, di poche righe, contrastando certe tendenze che hanno determinato nella disciplina urbanistica il detto "ragioneria applicata all'urbanistica" e, nella sostanza, tanti guasti e ponderoso contenzioso.

I VINCOLI

Poi il discorso della vincolistica. Spesso, in occasione di polemiche ambientali, si grida allo scandalo per interventi effettuati "in zone vincolate".

Troppa gente continua a credere che vincolo equivalga a veto. Non è affatto vero. Vincolo significa che esistono regole specifiche da rispettare. Ciò vale per il vincolo ambientale, per quello idrogeologico, per quello relativo a servitù militari ecc. ecc. 

All'interno del quadro di regole specifiche può esserci anche il vincolo assoluto, cioè la proibizione di qualsiasi intervento, ma questo è un caso particolare. Il vincolo assoluto deve avere motivazioni forti in quanto l'antropizzazione del territorio richiede inevitabilmente trasformazioni dell'esistente.

Se, caso limite, un migliaio di anni fa ci fosse stato un vincolo assoluto per l'ambiente lagunare quel capolavoro unico al mondo che è Venezia non sarebbe mai sorto…

Ricordiamo il caso della Legge Galasso che estese i vincoli ambientali previsti dalla legge 1497 del 1939, definiti in base ad essa puntualmente, ad una serie di zone. L'art. 1-ter affidò alle Regione il compito di individuare, all'interno delle zone soggette a vincolo, quelle a vincolo assoluto. Un veto dunque per qualsiasi intervento che avrebbe dovuto essere di breve durata, concettualmente spiegabile con esigenze di salvaguardia per il tempo, supposto breve, necessario a predisporre i piani. La legge fissava un termine, il 31.12.1986, ma aggiungeva che comunque la scadenza sarebbe avvenuta all'approvazione dei Piani Paesistici.

Le Regioni, interpretando estensivamente e demagogicamente questa norma, abbondarono col risultato che nella nostra provincia finirono sotto questo vincolo assoluto grossomodo i tre quarti del territorio (così come nell'elenco dei corsi d'acqua per i quali vigeva il vincolo ambientale in termini di distanza dalle sponde finirono anche i più anonimi rongini, compreso il Merdarolo in comune di Caiolo o altri dal corso di poco superiore al Km che si attraversano con un salto). 

Ne successero di orbe. 

Non potevano partire lavori decisi e finanziati di sistemazione idrogeologica. 

Non si potevano fare opere di presa o interventi per acquedotti. 

Non si potevano sistemare strade esistenti là ove si eccedeva la normalissima manutenzione. 

E tutto questo per citare soltanto il settore pubblico.

Si cercò di sopperire con una normativa di deroga, tuttora operante. Chi doveva intervenire doveva chiedere alla Regione lo stralcio della zona oggetto dell'intervento, anche il più modesto, con una procedura burocratica e costosa, talora soggetta alle visioni soggettive del funzionario milanese di turno, che si concludeva, e si conclude, con la pubblicazione persino sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Altro esempio illuminante di gestione soggettiva, e monocratica, dei vincoli è la questione dell'impianto di risalita di Valfurva, ancora in alto mare, destinato a sostituire l'attuale, ormai obsoleto. Una prima richiesta di realizzare una funicolare interamente sotterranea ebbe un esito kafkiano. Dato che il Parco dello Stelvio dipendeva da due Ministeri, Ambiente e Agricoltura (questo per legge non doveva entrarci più, ma invece continuava ad occuparsene!), l'esito fu positivo per l'Ambiente ma negativo per l'Agricoltura con la risibile motivazione che la galleria avrebbe mutato la situazione delle falde.

Dopo il no fu predisposto il progetto per un impianto in superficie che ottenne, in tempi facilmente immaginabili, il via libera da una lunga serie di soggetti interessati, compreso il settore dei Beni Ambientali della Regione. Quando ormai si era in dirittura di arrivo intervenne il veto della Soprintendenza di Milano, con una motivazione nella quale entrava anche la tutela di non ricordiamo quale specie di fiorellini che, come si sa, spuntano d'inverno dalla coltre di qualche metro di neve…. (Per inciso la Soprintendenza così solerte per il cavetto di Valfurva non si era minimamente mossa, nonostante pubbliche discussioni di anni, per i grandi cavi del maxi-elettrodotto ENEL di connessione con la Svizzera assurdamente progettato, nonostante la possibilità di equivalenti alternative, con l'attraversamento di una zona di alto valore ambientale come è la conca di Trivigno).

MONITO
Non si tratta soltanto di note storiche o cronistiche, ma di un monito per chi, amministratori e progettisti, deve predisporre il Piano.

E' chiaro che dovranno essere apposti anche vincoli assoluti, ma vanno bene soppesati. Inoltre ve ne possono essere alcuni oggi indiscutibili, ma suscettibili di revisione senza per questo dovere varare una legge modificativa di quella con la quale sarà approvato il piano. 

Facciamo l'esempio di una zona suscettibile di inondazione per la mancanza di argini. Il veto è giustificato, sia pure con una eccezione che si preciserà appresso. Dovesse essere realizzato l'argine viene meno la ragione che ha determinato il vincolo e quindi occorrono norme, con le griglie del caso a tutela della regolarità delle scelte, che prevedano questa revisione. L'eccezione: un fondovalle vincolato potrebbe ugualmente prevedere, ad esempio, modesti interventi al servizio dell'agricoltura nonché interventi di utilità pubblica o generale, sia pure con la clausola, condicio sine qua non, della preventiva rinuncia da parte di chi interviene a qualsiasi risarcimento o indennizzo in caso di inondazione.

RAPPORTO UOMO-AMBIENTE - IL CASO DEGLI ELETTRODOTTI

La tematica è vastissima, e quindi ci limitiamo ad alcuni flashes a chiaricazione. Esiste però un dato di fondo, un principio che dovrebbe essere alla base del Piano: "Non è l'uomo che deve servire l'ambiente ma l'ambiente che deve servire l'uomo".

La tutela dell'ambiente è obiettivo certamente prioritario, ma a questo non può essere sacrificato lo sviluppo, quello compatibile s'intende, perché oltre a tutelare paesaggio, flora e fauna, c'é l'esigenza di tutelare un particolarissimo tipo di fauna: l'uomo.

Nel modo migliore.

Altro esempio: l'energia. 

Vitale per la società contemporanea. 

Vitale per il Paese l'energia idroelettrica che la nostra provincia gli fornisce mandandogli quasi i nove decimi di quella localmente prodotta. Indispensabili le linee ad alta tensione. 

Ma perché devono esserci oltre 1700 Km di elettrodotti, di cui quasi la metà ad alta tensione, quando ce ne potrebbero essere molti di meno? Qui non c'é solo la questione ambientale, ma anche quella della tutela della salute nonché della tutela dei legittimi interessi di tanti valtellinesi e valchiavennaschi che, con l'allargamento imminente della fascia di rispetto, vedranno i loro terreni, se oggi definiti edificabili dai Piani Regolatori, perdere significativamente di valore.

Una decina di anni fa il BIM, chi scrive Presidente, aveva appurato la possibilità di ridurre la selva di elettrodotti, concentrando il trasporto nell'area milanese su una sola linea. Per l'ENEL la cosa era possibile con un importo presumibile di circa 350 miliardi autofinanziabili capitalizzando i risparmi di esercizio e di perdite e utilizzando fondi europei appositi. La cosa non ebbe però stranamente seguito, non so per quali ragioni, in ogni caso sicuramente non perché l'ENEL avesse cambiato idea.

Le opere lineari sono parte essenziale di un Piano Territoriale. Quindi strade, ferrovie, elettrodotti, gasdotti. Non possono però essere i progettisti a procedere su questa linea di una previsione di eliminazione di parte cospicua delle linee ad alta tensione, perché a monte occorrerebbe verificare se quello che era possibile allora lo sia ancora adesso.

Ultima annotazione parlando di elettrodotti. Tempo fa era stato stimato che in provincia sotto le linee di uno solo dei tre maggiori produttori idroelettrici era necessario tagliare ogni anno 60.000 piante. Ricordiamo che in occasione dei mondiali di sci di Bormio era stato montato un caso nazionale per il taglio di cosiddette 4000 piante, di cui, è bene ricordare, solo 45 avevano diametro superiore ai 45 cm.

Evidentemente queste 60.000 piante in zona-tralicci di uno solo dei produttori, con le altre, devono essere di serie C, anzi di serie Z, perché di queste non se ne è mai occupato nessuno, forse per un ambientalismo strabico?

DAL 1970 AD OGGI

Tematica vastissima, si diceva, inversamente proporzionale all'intensità del dibattito e degli approfondimenti su di essa. Il Presidente della Provincia, che avrà inevitabilmente la responsabilità del Piano, dato che non si tratta certamente di tema che possa essere delegato, è lo stesso on. Tarabini che all'inizio degli anni '70, in una con il compianto avv. Venosta, sollecitava il Presidente del BIM sen. Valsecchi a predisporre un Piano Territoriale della provincia. 

Si trattava di un'intuizione giusta e preveggente, anche se l'obiezione del Presidente del BIM a sua volta aveva una sua fondatezza. Sosteneva il Presidente del BIM che un Piano del genere, di cui non disconosceva la validità, avrebbe dovuto però essere supporto da supporti legislativi e normativi che non esistevano (esisteva solo, nella legge 1150, il Piano intercomunale, altra cosa). Avevano ragione entrambi. 

Ora il caso ha voluto che a 30 anni di distanza lo stesso on. Tarabini abbia lui la possibilità, e la responsabilità, del piano. Non sarebbe male, anche se magari lo ha già fatto, se nel momento dell'avvio egli rivisitasse il Piano che aveva predisposto una ventina di anni fa la Comunità Montana unica della Valtellina, quanto di meglio allora realizzato in Italia, colpevolmente rimasto nei cassetti di funzionari del Pirellone e dunque mai entrato in vigore. Sono passati 20 anni, anzi ne vanno considerati 30 per avere ora un Piano moderno, datato 2010, ma alcune cose restano attuali, in particolare la metodologia usata, assolutamente in antitesi allora con quella generalmente usata, quella dei "piani-libro", molto utili alle cartiere per il consumo di carta ed anche alle dattilografe per la mole di lavoro da svolgere, ma spesso inadatti alla realtà, e fondata su un coinvolgimento, mirato, rivelatosi estremamente positivo.

ALEA JACTA EST (e guardiamo al Superenalotto)

In ogni caso "alea jacta est". Il dado ha sei facce e vorremmo proprio, come tutti dovrebbero volere, che arrivati al termine la faccia risultante sia, come al Superenalotto, quella del sei.

E' quello che è giusto tocchi a valtellinesi e valchiavennaschi, anche perché le potenzialità ci sono e sarebbe veramente un peccato, e una colpa nei confronti dei nostri figli, che esse venissero, anche solo in parte, sprecate.


Alberto Frizziero


GdS fine agosto 2001

AGGIORNAMENTO DEL 9 SETTEMBRE DOPO LA
SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SUI POTERI DEL PARCO DELLO
STELVIO
La sentenza del Consiglio di Stato che ha escluso la
competenza della Provincia di Bolzano (e quindi ciò vale anche
per la Regione Lombardia) in materia ambientale-paesistica,
sancendo il potere esclusivo del Parco condiziona certamente il
Piano Territoriale-Paesistico. Prendendo le cose alla lettera si
tratterebbe infatti di un Piano provinciale a sovranità
limitata che si arresta, sul versante ambientale-paesistico, al
confine del Parco, il che significa, per fare un esempio, al
limite della vecchia statale in comune di Sondalo.

L'argomento meriterebbe ampia trattazione, che non é qui
possibile data la già ampia trattazione svolta. Diremo solo che
un nodo-chiave é senz'altro la gerarchia degli strumenti di
pianificazione. Sotto questo profilo il Piano Territoriale deve
ricomprendere anche il territorio dei Parchi. Non sarebbe
possibile altrimenti. Non é neppure possibile però fare un
Piano che arrivi sino ai confini delle provincie di Brescia e
Bolzano nonché della Svizzera per la parte territoriale mentre
sul versante paesistico scatta la competenza, e la
pianificazione, del Parco!

Diremo inoltre che questa nuova situazione, se si vuol essere
razionali ed evitare guai in serie, richiederebbe un
aggiustamento legislativo, nazionale, dato che sono interessati
tutti i Parchi del Paese, e regionale, appropriato.

                       

                         




                                            



                                             

Dalla provincia