Cham. Le danze rituali del Tibet: una Mostra fantastica
E’ incredibile, quanta bellezza possono celare mostre non osannate dai media e quanta conoscenza ti propongono per migliorare la tua sensibilità e il tuo cuore verso gli altri. In quest’ambito, sebbene Venezia offra a piene mani una serie di lodevoli iniziative, a parte la Mostra di architettura che è il campo principe per i turisti che provengono da ogni dove, vi sono due o tre cose di cui assolutamente dovrò scrivere e che faranno la gioia di quanti vogliono migliorare i confronti con i “lontani”. Per esempio, delle danze rituali del Tibet., di cui ora si possono ammirare le bellissime foto al Museo di Storia Naturale.
La Mostra ha una storia piuttosto lunga dietro le spalle, è cominciata a gennaio 2013 con la presentazione del volume “Lung Ta Universi Tibetani - Tibetan Universes ”che è un’introduzione al complesso mondo della cultura buddhista, visto attraverso uno dei suoi aspetti più simbolici - le danze rituali eseguite nei monasteri himalayani di cultura buddhista-tibetana. Ed il museo al Fondaco dei Turchi, da sempre aperto a tali tematiche, è la sede più adatta ad ospitare il progetto che promuove una suggestiva indagine attraverso lo straordinario spaccato di usi e costumi, spiritualità, antropologia ed etnologia di una delle popolazioni più affascinanti del pianeta.
Allestita al piano terra presso la Galleria dei Cetacei, realizzata con il coordinamento di Mauro Bon e Luca Mizzan, del Museo di Storia Naturale – Muve e visitabile con l’orario e il biglietto dello stesso museo, la mostra è composta da 52 pannelli stampati su tela ed è suddivisa in otto sezioni, così come le tematiche principali individuate dagli autori: La danza della mente, Cos’è un “Cham”, Dove quando perché, I danzatori, I costumi e le maschere, I personaggi, Musica e orchestra monastica, Il pubblico delle danze rituali.
I Cham, ovvero le danze rituali eseguite dai monaci buddhisti e da quelli appartenenti al Bon, l'antica religione autoctona del Tibet, rappresentano uno degli aspetti più affascinanti e meno conosciuti della cultura tibetana; aspetto che per la ricchezza e la complessità dei suoi elementi simbolici è stato spesso non compreso e male interpretato in Occidente.
La policromia di costumi, maschere e ornamenti, i suoni profondi e drammatici degli strumenti musicali, la potenza simbolica dei movimenti dei danzatori e le stesse valenze archetipiche delle "storie meravigliose" raccontate tramite i Cham, sono comunicazioni che toccano con forza il cuore e la mente di quanti assistono alla sacra rappresentazione. La maggior parte delle danze rituali viene eseguita pubblicamente nei cortili dei monasteri davanti a un gran pubblico che, a volte, giunge da luoghi distanti settimane o mesi di cammino. Tutte le fasi del Cham sono scandite dal suono di un'orchestra monastica, la cui composizione può variare da cinque-sei elementi a oltre una ventina. Gli strumenti usati dall'orchestra sono per lo più i cembali (rolmo), i tamburi a manico (nga), le trombe telescopiche (dung-chen) e quelle corte (gya-ling). La danza rituale fa parte dell'addestramento interiore del praticante e comprende anche meditazioni, visualizzazioni ed elaborate tecniche di concentrazione.
Il Cham si può definire, usando il nostro linguaggio, una sorta di meditazione in movimento. Per suo tramite il danzatore – come appare chiaramente anche dalle splendide immagini immortalate da Giampietro Mattolin - aiutato dalla musica, da apposite, preghiere e dal simbolismo dei costumi che indossa, entra in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta. Infatti ogni danzatore esegue la danza di un preciso personaggio del pantheon tantrico e con esso stabilisce un legame profondo.
Il monaco, grazie al potere del Cham, "diventa" la divinità stessa, si identifica completamente e, tramite questa identificazione, ne acquisisce le qualità fondamentali raggiungendo così una superiore consapevolezza spirituale: è in questo stato mentale completamente purificato e trasfigurato che egli deve danzare. Attraverso la meditazione in rapporto alla divinità il praticante tantrico purifica dunque la sua intera struttura psico-fisica e quindi "protegge" quelle che vengono chiamate le tre basi: corpo, parola e mente.
Cosa si propongono i due artisti Mattolin e Verni con il Museo di Storia Naturale di Venezia, favorire la conoscenza dei tratti essenziali della cultura tibetana presso il più ampio pubblico, nella consapevolezza che l’eredità del Tibet appartiene non soltanto alle donne e agli uomini che abitano il “Tetto del Mondo” ma anche all’umanità intera.
Chi sono gli artisti
Piero Verni, scrittore e giornalista, è tra i fondatori dell’Associazione Italia-Tibet di
cui è stato il primo presidente. Profondo conoscitore delle civiltà orientali e delle culture indo-himalayane, da oltre vent'anni compie viaggi di studio e ricerca in India, Tibet e nella regione himalayana. Ha scritto una biografia autorizzata del Dalai Lama ed è l’autore del volume "Le terre del Buddha", pubblicato dal Touring Club.
Giampietro Mattolin, viaggiatore e fotografo da più di trent’anni, ha conosciuto luoghi remoti in tutti i continenti attraverso innumerevoli viaggi. Privilegia gli "scatti" legati alle esperienze di viaggio, cogliendo l’essenza dei particolari nei paesaggi, nelle persone e nelle situazioni che ne sono protagoniste. Ha fondato l’Associazione “Heritage - oltre i confini” allo scopo di sensibilizzare e promuovere, con eventi culturali, l’interesse verso quelle minoranze etniche il cui patrimonio culturale rischia di scomparire.
Informazioni generali
Sede: Venezia, Museo di Storia Naturale Santa Croce 1730
Periodo: 14 Giugno – 24 Agosto 2014
Ingresso con l’orario e biglietto del museo 10 - 18 (biglietteria 10 – 17) Chiuso lunedì
Biglietti: Intero: 8,00 euro, Ridotto: 5,50 euro